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mercoledì 26 giugno 2024

COME PUÒ UN RAGAZZO UCCIDERE?




Ecco a Pescara l'ennesima tragedia che lascia tutti senza parole: l'efferato omicidio di un sedicenne compiuto da due coetanei. Sento la tentazione di trovare spiegazioni che possano allontanarmi, come genitore, dall'eventualità di trovarmi in situazione anche lontanamente affini a questo dramma. Come educatori e genitori pensiamo ai figli o agli alunni per i quali abbiamo delle responsabilità educative, ai loro funzionamenti e anche ai loro malfunzionamenti e ci chiediamo se mai potrebbero compiere un gesto simile o trovarsi coinvolti in una situazione dove la coscienza e la consapevolezza del bene e del male svanisca o forse risulti inesistente.

Leggendo in un articolo l'affermazione che per essere genitori serve avere fortuna mi interrogo, prima di tutto come mamma, se riconoscermi o meno in questa visione. Io credo che nessuno educatore può determinare la salvezza e il futuro di chi sta crescendo. Educare significa costruire ogni giorno il meglio con i minori che guardano a noi per orientarsi nella vita. Conosco infiniti genitori che quotidianamente provano a mettercela tutta nell'educare eppure soffrono terribilmente vedendo i figli farsi del male e perseverare in situazioni problematiche per il loro benessere e per il benessere delle persone che stanno loro vicine. Come due ragazzi siano potuti arrivare a un gesto così brutale, dopo vicende che la giustizia ricostruirà chiaramente, è una domanda senza risposta. Come può un ragazzo minorenne, un figlio, uccidere; o colludere con l'uccisione di un altro minore? Che cosa non ha funzionato? Come la tua mente ha potuto oscurare la voce della coscienza?

Ogni giorno come genitori seminiamo tracce per orientare il cammino dei nostri figli. Cerchiamo di tenere il contatto ma oggi più che mai questo contatto è condizionato da mille fattori diversi. Siamo genitori spesso deboli perché la nostra voce arriva alla mente dei figli in mezzo a molte altre voci, il loro cuore e il loro pensiero è nutrito da illusioni, promesse, che spesso contravvengono ai nostri insegnamenti. E che potere abbiamo noi? Spesso pur mettendocela tutta, pur continuando a fare domande, a puntare gli occhi sulla vita dei minori, ci accorgiamo di perdere terreno, li vediamo allontanarsi, sentiamo che la nostra voce non penetra dentro loro. Io non conosco i genitori dei ragazzi coinvolti in questa tragedia ma immagino il loro dolore. Immagino il dolore straziante dei genitori di Christopher e penso allo sconcerto degli altri genitori. L'augurio per chi è rimasto vivo è quello di spegnere tutte le voci che hanno reso possibile questo orrore e sentirne appieno il dolore. La salvezza può passare solo da questo dolore ormai insanabile. Niente potrà riportare in vita il ragazzo ucciso. Sopravvivere a questa tragedia significa portare dentro di sé il dolore lacerante per quello che è stato e l'impegno quotidiano per rendere onore alla memoria di chi non avrà più la possibilità di continuare a vivere.

Noi genitori dobbiamo continuare a educare senza smettere mai, senza giudicare e senza chiamarci fuori. Dobbiamo piuttosto stringerci sempre più saldamente in un'alleanza educativa che sorregge e incoraggia anche di fronte a drammi come questi. Io credo che educare un figlio più che di fortuna abbia bisogno di fede e speranza e solo insieme possiamo tenerle.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Barbara Tamborini 25/06/2024)

martedì 25 giugno 2024

Gaza. “Almeno 21mila bambini dispersi, detenuti o sepolti sotto le macerie”

Gaza. “Almeno 21mila bambini dispersi, detenuti o sepolti sotto le macerie”

La denuncia di Save the Children che ha raccolto alcune stime riguardanti i bambini colpiti dal conflitto. “Non c'è un posto sicuro a Gaza. Ogni giorno troviamo bambini soli ed è sempre più difficile aiutarli”

Foto: Agenzia Dire

Si stima che almeno 21 mila bambine e bambini siano dispersi nel caos della guerra a Gaza. È quasi impossibile raccogliere e verificare le informazioni nelle condizioni attuali in cui si trova Gaza, ma si stima che almeno 17 mila bambini siano separati e non accompagnati e che circa 4 mila siano probabilmente sotto le macerie, mentre un numero imprecisato si trova in fosse comuni. Altri sono stati fatti sparire con la forza, un numero indefinito dei quali detenuti e trasferiti fuori da Gaza, mentre le loro famiglie non sono a conoscenza del luogo in cui si trovano, tra segnalazioni di maltrattamenti e torture. Questo l’allarme lanciato da Save the Children, l’organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro, i cui team di protezione riferiscono che gli ultimi sfollamenti causati dall'offensiva a Rafah hanno causato la separazione di altri bambini dalle loro famiglie e aumentato ulteriormente la preoccupazione di queste ultime e dell’intera comunità.

"Ogni giorno troviamo bambini soli ed è sempre più difficile aiutarli. Lavoriamo con i nostri partner per identificare i minori soli e rintracciare le loro famiglie, ma non ci sono strutture sicure per loro. Non c'è un posto sicuro a Gaza. Riunire i minori con la loro famiglia è difficile, poiché le ostilità in corso limitano il nostro accesso alle comunità e costringono costantemente le persone a spostarsi - ha dichiarato un esperto di protezione di Save the Children a Gaza -. I vicini e i membri delle famiglie allargate che hanno accolto i bambini soli stanno lottando per dare loro un riparo, cibo e acqua. Molti si trovano con estranei, o completamente soli, e questa situazione li espone al rischio di subire violenze, abusi, sfruttamento".

In seguito agli ultimi attacchi delle forze israeliane a Rafah sono state segnalate numerose vittime. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno riferito di "persone intrappolate in tende di plastica in fiamme" e "bruciate vive", mentre il Ministero della Sanità di Gaza ha parlato di "corpi bruciati e non identificabili". Save the Children evidenzia che l’identificazione da parte dei parenti è quasi impossibile nel momento in cui intere famiglie sono state allontanate e le restrizioni all'ingresso impediscono l'accesso delle attrezzature e degli esperti necessari. Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, dal 7 ottobre sono stati uccisi più di 14 mila bambini, per circa la metà di questi non è ancora stata completata l’identificazione. Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, sono stati trovati di recente bambini anche nelle fosse comuni e molti corpi mostrano segni di tortura e di esecuzioni sommarie, oltre a potenziali casi di persone sepolte vive.

Da ottobre sono stati uccisi almeno 33 bambine e bambini israeliani, mentre non è chiaro se ce ne siano tra quelli ancora tenuti in ostaggio a Gaza. Al 9 giugno, circa 250 minori palestinesi della Cisgiordania risultano nel sistema di detenzione militare israeliano, ma le loro famiglie non sono in grado di confermare il luogo in cui si trovano e il loro stato di salute a causa delle ulteriori restrizioni sulle visite introdotte da ottobre. Le Nazioni Unite hanno ricevuto numerose segnalazioni di detenzioni di massa, maltrattamenti e sparizioni forzate di migliaia di persone, tra cui bambini. "Le famiglie sono straziate dal fatto di non sapere dove si trovino i loro cari. Nessun genitore dovrebbe scavare tra le macerie o in fosse comuni in cerca del corpo del proprio figlio. Nessun bambino dovrebbe essere solo, senza protezione, in una zona di guerra, detenuto o tenuto in ostaggio - ha dichiarato Jeremy Stoner, Direttore di Save the Children per il Medio Oriente -. I minori dispersi ma ancora vivi sono vulnerabili, corrono gravi rischi di protezione e devono essere rintracciati. Vanno protetti e riuniti alle loro famiglie. per quanto riguarda i bambini che hanno perso la vita, la loro morte deve essere registrata in modo ufficiale, le famiglie informate, vanno rispettati i riti di sepoltura e ricercate le responsabilità. Come molti hanno sottolineato, Gaza è diventata un cimitero di bambini, con migliaia di dispersi il cui destino è sconosciuto. Chiediamo un'indagine indipendente e che i responsabili siano chiamati a rispondere. Abbiamo un disperato bisogno di un cessate il fuoco per trovare e sostenere le bambine e i bambini sopravvissuti e per evitare che altre famiglie vengano distrutte".
(fonte: Redattore Sociale 24/06/2024)


Mons. Gianfranco Ravasi Le parole shock di Gesù / 14 Dare e avere

Mons. Gianfranco Ravasi
Le parole shock di Gesù / 14
 
Dare e avere  
 

A chi ha sarà dato ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere
(Luca 8,18)

Gesù, con questa dichiarazione, cede forse alla logica dell’accumulo propria del capitalismo selvaggio? La frase è abbastanza strana in bocca a colui che ha sempre celebrato il distacco dalle ricchezze, che è stato in compagnia costante di chi era indigente, che non possedeva neppure una pietra come guanciale. Tuttavia, i vangeli ripetono ben cinque volte questa frase, sia pure con varianti. Noi abbiamo scelto le parole riferite da Luca dopo la parabola del seminatore (e così fanno anche Marco e Matteo). Una dichiarazione analoga è posta a suggello della parabola dei talenti (Matteo, 25, 14-30) o delle mine, che erano monete d’oro (Luca, 19, 12-27): «A chiunque ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha».

Certo, l’esperienza di base da cui parte Gesù è probabilmente di tipo economico, ma egli la trasfigura in simbolo adattandola a una lezione di taglio morale. Lo si vede chiaramente nella parabola dei talenti: chi ne aveva dieci e li aveva fatti fruttare riceve anche l’unico talento dell’amministratore inerte e inetto. Detto in altri termini, non basta ricevere i doni divini, custodirli e goderne; è necessario rispondere con l’impegno personale trasformandoli e mettendoli in opera. Grazia divina e libertà umana devono essere in sinergia.

Significativa è la precisazione di Luca: la persona indifferente e pigra perde «anche ciò che crede di avere». Il dono divino non è una pietra preziosa da custodire in uno scrigno, è una realtà viva, una qualità personale. Essa, se viene lasciata ferma e statica, lentamente svapora, si dissolve e rimane il vuoto dell’anima. Interessante è anche il legame con la parabola del seminatore e con l’insegnamento di Gesù in genere, legame sottolineato dai tre evangelisti sinottici — come è noto — che incastonano il detto di Cristo proprio nel discorso in parabole. Luca, infatti, premette alla frase da noi citata questo appello: «Fate attenzione a come ascoltate». Ecco, chi ha un cuore, una mente, un orecchio aperti e ricchi di disponibilità alla comprensione e all’accoglienza della Parola di Dio, riceverà un dono grandioso. La sua esistenza sarà nella pienezza, mentre chi ha un animo gretto e meschino diverrà ancor più misero e vuoto, perdendo anche l’illusorio possesso che tiene affondato dentro di sé, sterile come un freddo gioiello. Un cuore ricco di sensibilità, di volontà, di amore, di adesione si allarga in una straordinaria fioritura e abbondanza; un cuore rinchiuso in se stesso s’impoverisce sempre più, s’immiserisce e lentamente cessa di battere.
(fonte: L'Osservatore Romano 8 giugno 2024)

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Vedi anche i post precedenti:

lunedì 24 giugno 2024

Natività di S. Giovanni Battista Quale nome?

Antonio Savone

Natività di S. Giovanni Battista
Quale nome?


“Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce”, ci ricorda il vangelo di Mc. Dio è sempre all’opera, anche quando tutto sembrerebbe irrimediabilmente compromesso, quando tutto è nel segno della impossibilità conclamata. E oggi, in questa solennità della Nascita di S. Giovanni Battista, tocchiamo con mano come Dio si faccia strada in una storia che conosce il dramma della sterilità, il dramma, cioè, di non vedere un futuro perché il tempo della fecondità è stato abbondantemente superato.

Proprio la vicenda di Giovanni suggerisce un diverso modo di stare di fronte alla storia. Qualcuno pretenderebbe di imporgli il nome del padre Zaccaria, che significa “Dio ricorda”, ma Elisabetta è perentoria: “No, si chiamerà Giovanni”, che significa “Dio fa grazia”. È solo Dio a darci il nome vero, ad assegnare, cioè, il nostro posto e il nostro compito nella storia, nessun altro. A chi pretenderebbe accostare la vita e leggerla solo a partire dalle abitudini, dalle tradizioni consolidate, dal clan, viene ricordato che nessuno è padrone indiscusso del mistero di un’esistenza. Il compito di ognuno di noi è aiutare a scoprire il vero nome (quello nostro e quello di chi ci è affidato) che ci è assegnato e portarlo a compimento,.

Cosa viene a dire a noi questa differenza di nomi? Chiamarlo come suo padre significava leggere il presente a partire dal passato. Quante volte c’è un passato che incombe e condiziona! Della serie: puoi forse aspettarti qualcosa di diverso con simili premesse?

Chiamarlo con un nome nuovo, invece, suggerisce la consapevolezza che l’intervento di Dio non è relegato soltanto in una storia memorabile e gloriosa ma è ancora all’opera: Dio non cessa di intervenire a favore del suo popolo. Il problema, semmai, è accorgersene e riconoscerlo. Quando l’angelo annuncia la nascita di Giovanni attribuisce a quest’ultimo un compito ben preciso, quello di “convertire il cuore dei padri verso i figli”. Ci saremmo aspettati l’inverso. Eppure, Giovanni ricorda che è il presente a gettare nuova luce sul passato, a dare un senso a ciò che sembrava non averne alcuno. È il qui e ora a farci comprendere che davvero “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”, persino il limite della vecchiaia di Zaccaria e quello della sterilità di Elisabetta. E se ci fosse un modo diverso di leggere i nostri limiti, quello che a noi sembra, cioè, solo un ostacolo, un impedimento? È la vita nuova che accade sotto i nostri occhi a restituirci la giusta prospettiva con cui accostare ciò che è stato.

Dare il nome “Giovanni” al bambino significa confessare che per quanto nessuno nasca senza bagagli, nessuno è schiavo dei suoi condizionamenti pregressi. Quel figlio ormai inatteso non è l’ultimo anello di una storia passata a cui dovrà essere sempre debitore ma è il frutto insperato a cui la storia passata deve guardare prendendo atto che, pur tra mille resistenze, dubbi e incredulità, Dio si fa strada tra gli uomini.

Laddove noi saremmo convinti che non c’è soluzione di continuità, il vangelo attesta che Dio interrompe un meccanismo condizionato da un certo fatalismo: “Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome”, obiettano i parenti e i vicini come a voler ricordare che le cose devono restare immutate.

Che Dio continui a far grazia vuol dire che non c’è fatalismo che tenga: ad influire su di noi non saranno soltanto gli inevitabili condizionamenti di un ambiente o di una cultura ma molto di più quelli della grazia, dell’opera stessa di Dio. Tra ciò che precede il nostro venire alla luce e ciò che ne consegue c’è il mirabile intreccio tra l’azione di Dio e la mia libertà.

La mia esistenza non è un libro chiuso il cui indice è stato già stilato. Se non mi sottraggo alla presenza di Dio nella mia vita, le pagine migliori sono tutte ancora da scrivere. Basti pensare al buon ladrone: una storia inevitabilmente segnata dal male, conosce un esito diverso per l’incontro con la Grazia all’ultimo istante. Non sono chiamato ad essere quello che qualcuno ha già scritto ma sono chiamato a diventare quello che Dio desidera per ciascuno di noi: “luce delle nazioni”. Ciascuno è chiamato ad aprire strade di novità lì dove il Signore lo ha posto.

Come Giovanni, anche il nostro compito è quello di preparare la via al Signore. Non siamo chiamati a proporre noi stessi ma a fare in modo che altri possano gustare la gioia di conoscere il Signore.

“Lui deve crescere, io diminuire”: non ci spaventi, perciò, tutto ciò che sembra ridimensionare pretese e aspettative nostre.
(fonte: A Casa di Cornelio 23/06/2024)


«VI RACCONTO IL SOGNO DI PADRE PAOLO DALL'OGLIO, UOMO DEL DIALOGO E DELLA PACE»

«VI RACCONTO IL SOGNO DI PADRE PAOLO DALL'OGLIO,
UOMO DEL DIALOGO E DELLA PACE»

Il regista Fabio Segatori ha girato un docufilm sul religioso di cui si sono perse le tracce dal luglio 2013, quando è stato rapito in Siria. Materiali di repertorio, interviste ai famigliari e a chi l'ha conosciuto, sequenze ricostruite con attori compongono il ritratto di una figura coraggiosa, appassionata, votata all'incontro fra cristianesimo e islam, dalla parte degli ultimi. La Rai lo manderà in onda il 17 novembre, giorno del suo compleanno

La foto di padre Paolo dall'Oglio esposta al Campidoglio.

IL DOCUFILM SU PADRE DALL'OGLIO DI FABIO SEGATORI

Il regista Fabio Segatori. 
“Il 17 novembre 1954 è nato un uomo di dialogo e di pace: questo dobbiamo festeggiare”. Il regista viterbese Fabio Segatori, in occasione dei settant’anni dalla nascita di padre Paolo Dall’Oglio, ne racconta la vita, al contempo semplice e incredibile, e la specificità spirituale dell’agire in un docufilm per la Rai in onda proprio il giorno del suo compleanno.

Padre Dall’Oglio, missionario gesuita romano fortemente impegnato nel dialogo interreligioso con il mondo islamico, fondatore nel 1991 della comunità monastica di Deir Mar Musa, un luogo in cui cattolici, ortodossi e musulmani potessero convivere. Di lui, pubblicamente critico verso le repressioni del regime siriano, si sono perse le tracce più di dieci anni fa a Raqqa, dove era impegnato in trattative per la liberazione di un gruppo di ostaggi. “Stiamo ultimando le riprese. La conferenza stampa molto probabilmente sarà in Vaticano, a settembre”, racconta Fabio Segatori.

COME È STATO COSTRUITO IL DOCUFILM

“Il film ha la durata di cinquantadue minuti. È un lavoro importante, dettagliato, integra fluidamente materiali autentici e ricostruzioni di finzione con l’intento di restituire in modo coinvolgente l’avventura umana di padre Dall’Oglio, vissuta per la fede, la pace e la giustizia. Il racconto audiovisivo si basa sull’integrazione di materiali di repertorio e di sequenze ricostruite con attori che si alternano a interviste a persone straordinarie, con due o tre lauree, seguaci di padre Dall’Oglio che nella vita hanno lasciato tutto per andare a vivere nel deserto siriano, in un monastero del 1100 affrescato che lui aveva scoperto nel 1982, allora diroccato. Chiamando i suoi amici scout a raccolta, pietra su pietra lo ha riedificato. Il fulcro della storia sarà proprio la scoperta e il restauro di questo monastero abbandonato, dove si formerà una comunità di ragazzi e ragazze di diverse parti del mondo che, guidati dal suo carisma, si dedicheranno a una vita nel deserto di preghiera, lavoro manuale e accoglienza dell’altro al servizio dell’armonia islamo-cristiana”.

SAN FRANCESCO REINCARNATO IN PADRE DALL'OGLIO

È una storia dei nostri anni, ma dal sapore medievale. “È come se fosse lo stesso spirito di San Francesco a reincarnarsi in un ragazzone di circa un metro e ottanta dei tempi moderni. Padre Dall’Oglio, voglio parlarne al presente, è un personaggio colorito, esuberante, molto simpatico, che parla più lingue, perfettamente l’arabo, che dà il cuore per una causa. Abbiamo restaurato filmati rarissimi. Ci sono molti suoi interventi che sono reperibili negli archivi della Rai e di altre televisioni di tutto il mondo, incluse le ultime drammatiche trasmissioni da lui registrate per Orient News tra il 2012 e il 2013, fino a pochi giorni prima della scomparsa. I ricordi degli amici ricostruiscono il puzzle della sua vita: dall’infanzia spensierata nei mesi estivi a Rocca di Mezzo all’adolescenza nei turbolenti anni ’70, fino alla vocazione e alla passione per il Medio Oriente e la Siria. È anche la storia di un’Italia cattolica che non va di moda raccontare, pura, senza dietrologie. Il suo carattere impetuoso fatto di convinzioni, slanci, testimonianze coraggiose, a volte accompagnate da profondo sconforto di fronte alle difficoltà, unitamente a contrasti talora con autorità religiose, l’ordine dei gesuiti o tra i membri della comunità stessa, sono l’ossatura della sua esperienza di dialogo in un momento in cui il mondo sembra diventato una polveriera. La sua presa di posizione, la sua lotta a favore del popolo siriano e della democrazia, il suo tentativo di dialogare con il mondo islamico, la sua rabbia, la sua fede, il suo voler essere sempre integro, onesto, fino alla scomparsa a Raqqa. Ho utilizzato quello che in gergo tecnico si chiama compositing digitale per unire repertori e scene live action, con le innovative soluzioni di linguaggio già adottate nel docufilm Lussu, con Renato Carpentieri e Galatea Ranzi, finalista ai Nastri d’Argento 2022. Vengo dal cinema spettacolare: il primo che non si deve annoiare sono io”, spiega il regista.

LE TESTIMONIANZE SUL GESUITA

Fra i tanti intervistati autorevoli, Francesca e Immacolata Dall’Oglio, padre Jacques Mourad, padre Vincenzo d’Adamo, Riccardo Cristiano, Gianni Piccinelli, suor Deema Fayyad, padre Jihad Youssef. “Quello che trasmettono dai loro occhi e la profondità di pensiero sono il vero effetto speciale del film. Lo sguardo è un po’ una mia ossessione. Io voglio sempre vedere gli occhi ben illuminati per capire chi sono i miei interlocutori”, continua Segatori. “Tutti loro sono convinti che mettendosi a pregare su questa terrazza che domina il deserto siriano prima o poi la pace arrivi. Cosa che può sembrare folle se non fosse per una sicurezza nel loro parlare e agire che mi ha quasi trascinato in maniera contagiosa. In un momento in cui tutto è cinico, vedere che c’è qualcuno che con la preghiera cuce la pace come se fosse un lavoro all’uncinetto, con pazienza amanuense, mi ha cambiato. Quanto a Francesca, la sorella, è una combattente. In dieci anni dalla scomparsa non ha mai accettato l’idea che fosse morto, da lì il suo appello a continuare a cercarlo. Padre Dall’Oglio era consapevole che rischiava la vita. Quando è scoppiata la guerra civile in Siria e arrivavano al monastero persone torturate, ha preso posizione contro il regime di Assad. Questo fatto lo ha messo in minoranza, perché la comunità cristiana, che girava nei quartieri borghesi di Damasco, era protetta dal regime. Lui, invece, ha preso le parti dei poveri, degli ultimi, che molto spesso erano più sensibili al richiamo dell’Isis. Paradossalmente, da visionario qual era, ha cercato un dialogo con l’Isis. È, infatti, col nemico che bisogna fare pace: questa la sua sfida un po’ donchisciottesca. Solo che quando ha cercato di trattare con l’Isis è scomparso”.

UN FILM SULLA CROCIATA DEI BAMBINI

Raccontarne la figura è stata un’esigenza per Segatori. “Dal 1987 ho un sogno che spero di poter realizzare. Ho scoperto una storia, La crociata dei bambini, realmente accaduta nel 1212, quando una colonna di settemila bambini partì dalla Francia e dalla Germania alla conquista del Santo Sepolcro, sperando di liberare la Terra Santa. Questi bambini furono venduti come schiavi a Genova e a Marsiglia dagli occidentali cristiani. Solo alcuni di loro finirono alla corte di al-Kamil, dove, invece, furono presi come interpreti. Dagli arabi impararono la tolleranza, fin quando arrivò San Francesco d’Assisi che riportò alcuni di loro in Europa. Questa parabola sul dialogo interreligioso l’ho scritta nel 1987 e tutta la mia carriera è stata organizzata per riuscire un giorno a realizzarne un film. Ho poi conosciuto una principessa russa amica di padre Dall’Oglio, che per prima mi parlò di lui. Il fatto che questo grande gesuita dedicasse la vita al dialogo interreligioso tra cristianesimo e islam è stato un segno del destino. Dopo le torri gemelle e le contrapposizioni tra mondo musulmano e cristiano degli ultimi decenni l’esigenza del dialogo è sempre più centrale. Sono questioni di cui si parla poco sul piano culturale e spirituale. Il dialogo interreligioso non è una questione: è la questione. Lo scontro di civiltà non ce lo possiamo permettere. Tutto quello che sta succedendo in Siria, in Israele è talmente grave che sta creando una nuova barbarie. Gli appelli del Santo Padre ancora sono inascoltati. Per me è una cosa incomprensibile e inaccettabile”.

L'ESEMPIO DEL PADRE DI PAOLO DALL'OGLIO

Conclude: “L’avvocato Cesare Dall’Oglio, papà di Paolo, figura di primo piano di militante cattolico, componente della Direzione della Dc nel governo De Gasperi, fu uomo di rigore morale e impegno civile. Paolo Dall’Oglio è cresciuto con questo esempio. C’è stata un’epoca in cui i nostri politici avevano una dedizione al servizio della collettività, cosa di cui oggi c’è molto bisogno soprattutto per i giovani. È possibile fare bene il proprio lavoro senza tornaconto personale. Esistono anche le persone così e bisogna raccontarle, altrimenti sembra che non esistano”.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Francesca Fiocchi 17/06/2024)

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Per saperne di più vedi anche il post (all'interno altri link a quelli precedenti):


Papa Francesco: «Nei momenti di prova, so fare memoria delle volte in cui ho sperimentato, nella mia vita, la presenza e l’aiuto del Signore?» Angelus del 23 giugno 2024 (Testo e video)

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 23 giugno 2024




Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Oggi il Vangelo ci presenta Gesù sulla barca con i discepoli, nel lago di Tiberiade. Arriva all’improvviso una forte tempesta e la barca rischia di affondare. Gesù, che stava dormendo, si sveglia, minaccia il vento e tutto ritorna alla calma (cfr Mc 4,35-41).

Ma in realtà non si sveglia, lo svegliano! Con tanta paura, sono i discepoli a svegliare Gesù. La sera prima, era stato Gesù stesso a dire ai discepoli di salire in barca e attraversare il lago. Loro erano esperti, erano pescatori, e quello era il loro ambiente di vita; ma una tempesta poteva metterli in difficoltà. Sembra che Gesù voglia metterli alla prova. Comunque, non li lascia soli, sta con loro sulla barca, tranquillo, anzi, addirittura dorme. E quando si scatena la bufera, con la sua presenza li rassicura, li incoraggia, li incita ad avere più fede e li accompagna oltre il pericolo. Ma possiamo fare questa domanda: Perché Gesù si comporta così?

Per rafforzare la fede dei discepoli e per renderli più coraggiosi. Essi infatti, escono da questa esperienza più consapevoli della potenza di Gesù e della sua presenza in mezzo a loro, e dunque più forti e più pronti ad affrontare gli ostacoli, le difficoltà, compresa la paura di avventurarsi ad annunciare il Vangelo. Superata con Lui questa prova, sapranno affrontarne tante altre, fino alla croce e al martirio, per portare il Vangelo a tutte le genti.

E anche con noi Gesù fa lo stesso, in particolare nell’Eucaristia: ci riunisce attorno a Sé, ci dona la sua Parola, ci nutre con il suo Corpo e il suo Sangue, e poi ci invita a prendere il largo, per trasmettere a tutti quello che abbiamo sentito e condividere con tutti quello che abbiamo ricevuto, nella vita di ogni giorno, anche quando è difficile. Gesù non ci risparmia le contrarietà ma, senza mai abbandonarci, ci aiuta ad affrontarle. Ci fa coraggiosi. Così anche noi, superandole con il suo aiuto, impariamo sempre più a stringerci a Lui, a fidarci della sua potenza, che va ben oltre le nostre capacità, a superare le incertezze e le esitazioni, le chiusure e i preconcetti, con coraggio e grandezza di cuore, per dire a tutti che il Regno dei Cieli è presente, è qui, e che con Gesù al nostro fianco possiamo farlo crescere insieme al di là di ogni barriera.

Chiediamoci allora: nei momenti di prova, so fare memoria delle volte in cui ho sperimentato, nella mia vita, la presenza e l’aiuto del Signore? Pensiamo: Quando arriva qualche tempesta, mi lascio travolgere dall’agitazione oppure mi stringo a Lui, - ci sono tante tempeste interiori – per ritrovare calma e pace, nella preghiera, nel silenzio, nell’ascolto della Parola, nell’adorazione e nella condivisione fraterna della fede?

La Vergine Maria, che accolse con umiltà e coraggio la volontà di Dio, ci doni, nei momenti difficili, la serenità dell’abbandono in Lui.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

saluto tutti voi, romani e pellegrini dell’Italia e di vari Paesi.

In particolare saluto i fedeli di Sant Boi de Llobregat (Barcellona) e quelli di Bari. Saluto i partecipanti alla manifestazione “Scegliamo la vita”, il coro “Edelweiss” della Sezione Alpini di Bassano del Grappa, e i ciclisti di Bollate venuti in bicicletta.

Continuiamo a pregare per la pace, specialmente in Ucraina, Palestina, Israele. Guardo la bandiera di Israele. Oggi l’ho vista quando venivo dalla Chiesa dei Santi Quaranta Martiri, è una chiamata alla pace! Preghiamo per la pace! Palestina, Gaza, il Nord del Congo… Preghiamo per la pace! E la pace in Ucraina, che soffre tanto, che sia la pace! Lo Spirito Santo illumini le menti dei governanti, infonda in loro saggezza e senso di responsabilità, per evitare ogni azione o parola che alimenti lo scontro e puntare invece con decisione a una soluzione pacifica dei conflitti. Ci vuole negoziazione.

L’altro ieri è venuto a mancare Padre Manuel Blanco, un francescano che da quarantaquattro anni abitava nella Chiesa Santi Quaranta Martiri e San Pasquale Baylon a Roma. È stato superiore, confessore, uomo di consiglio. Ricordando lui, vorrei fare memoria di tanti fratelli francescani, confessori, predicatori, che hanno onorato e onorano la Chiesa di Roma. Grazie a tutti loro!

E a tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Guarda il video



domenica 23 giugno 2024

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli


XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

23 giugno 2024 

Per chi presiede

Fratelli e sorelle, Dio ha reso leggibile il suo amore per tutta l’umanità nell’esistenza concreta di Gesù di Nazareth. Conquistati dal suo amore, più forte della morte, e resi figli di Dio in Lui, innalziamo al Padre le nostre preghiere ed insieme diciamo:

R/   Ravviva la nostra fede, o Padre

  

Lettore

- Tu, o Padre, non lasci mai sola la tua Chiesa, che il tuo Figlio Gesù ha inviato nel mondo per testimoniare la presenza del tuo Regno nella storia degli uomini. Aiutala a non temere i grandi cambiamenti d’epoca e i dolorosi rivolgimenti politici. Donale di comprendere che la perdita di potere o di privilegi non è un fallimento, ma una grazia per poter annunziare, in verità e con coraggio profetico, il Vangelo della pace e della fraternità. Preghiamo.

- Ti affidiamo, o Padre, il faticoso servizio di papa Francesco. Riempilo del tuo Santo Spirito, perché possa guidare la tua Chiesa in questi tempi difficili e condurla verso una forma un po’ più fraterna e sinodale. Preghiamo.

- Ricordati, o Padre, di tutti i conflitti e le guerre presenti nel mondo. Ricordati dei massacri e delle distruzioni in Ucraina e in Palestina. Ti affidiamo le sofferenze di quelle popolazioni ormai stremate e senza futuro. Preghiamo.

- Ti preghiamo, o Padre, anche per noi, per le nostre incoerenze, per le nostre indifferenze, per la nostra mancanza di fiducia in Te. Sii vicino a quanti sono provati dalla malattia o dalla perdita del lavoro. Benedici e sostieni quei badanti e quelle badanti che si prendono cura delle nostre persone anziane. Preghiamo.

- Davanti a te, o Padre fonte della vita, ci ricordiamo dei nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ci ricordiamo dei numerosi femminicidi nelle famiglie, degli immigrati morti nel Mar Mediterraneo, di coloro che muoiono sul posto di lavoro. Accogli tutti, o Padre, nella tua eterna misericordia. Preghiamo.


Per chi presiede

Noi ti benediciamo, o Dio nostro Padre, perché con l’evento della Pasqua di Gesù hai salvato il mondo dal naufragio della morte, donandogli la vita nuova nel tuo Figlio Gesù. Esaudisci le nostre preghiere e colma le nostre speranze, se le ritieni conformi alla tua volontà. Te lo chiediamo per Gesù Cristo nostro Fratello e Signore, nei secoli dei secoli.  AMEN.


Non ti importa che siamo perduti?

Non ti importa che siamo perduti?

La “barca di Pietro” travolta dalla scristianizzazione: il testo ci offre alcuni dettagli che ci rivelano un senso un po’ inatteso


Un brano super famoso, la tempesta sedata, interpretato spesso per indicare la situazione attuale della Chiesa nel mondo: la “barca di Pietro” travolta dalla scristianizzazione, il timore di essere “perduti” come cristiani e la domanda quasi accusatrice a Gesù stesso: “Non ti importa? Che si potrebbe tradurre: non sembra che tu metta molte energie su questo rischio che noi viviamo. Poi la risposta di Gesù a salvare la situazione, che noi immediatamente percepiamo come traduzione del suo essere Signore della natura e della storia. Volendo, però, restare in questa interpretazione di fondo, il testo ci offre alcuni dettagli che ci rivelano un senso un po’ inatteso.

Il primo. Da bravi pescatori che da decenni sul quel lago si guadagnano da vivere, i discepoli sanno bene che queste “tempeste” possono essere molto intense, ma di breve durata. E di certo, hanno imparato strategie per minimizzare il danno e il rischio. Ma dell’applicazione di queste non c’è traccia nel testo, anche se si può ipotizzare che siano state attuate. Piuttosto, sembra che la domanda dei discepoli nasca da un dettaglio: Gesù sta “placidamente” dormendo. Come a dire: mentre noi ci facciamo in quattro per “salvarci”, tu non percepisci nemmeno questo pericolo. La domanda dei discepoli, perciò, sembra più un rimprovero che una vera richiesta di aiuto.

Ma Gesù non ha timore della “tempesta”. Non sembra essere preoccupato di quelle cose che noi reputiamo segnali del rischio di essere persi come cristiani. Calo delle vocazioni sacerdotali, calo delle presenze alla vita sacramentale, perdita di peso sociale e culturale della Chiesa, presunte derive teologiche anche da parte delle autorità ecclesiali, beghe di potere interno di una Chiesa accartocciata su di sé, percezione della scristianizzazione della società e aumento dei comportamenti immorali… ecc. Di tutto ciò Gesù non ha timore. Noi invece sì. Il che mostra già una prima sfasatura tra il nostro modo di interpretare la realtà e quello di Cristo e ci ributta la domanda su di noi, esattamente come Cristo fa: “non avete ancora fede?” A dire che la percezione del pericolo incombente nasce dalla nostra mancanza di fede, non dai dati oggettivi della realtà.

Il secondo dettaglio. Gesù sta dormendo nella “parte inferiore” (etimo di poppa v. 38) della barca. Nella realtà forse si stava riposando. Ma in questa interpretazione sembra che Lui non abbia il posto che gli compete, dentro la barca di Pietro, la “parte inferiore”. Che questo possa essere connesso con la paura di essere perduti? A cosa cerchiamo di affidarci nella tempesta? Mobilitiamo strategie di riduzione del danno, o proviamo a rimettere Cristo al centro? Ci fa figura la nostra paura o la sua presenza? Credo che anche qui sia più la nostra percezione del suo essere “nel sonno”, che non il dato reale, dovremmo saperlo: “Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele” (Sal 121,4). E allora risuona di nuovo la sua domanda a noi: “non avete ancora fede?”.

Ma come? Dopo tutti i segni che hanno visto (i cap. 2 e 3 di Mc sono pieni di guarigioni) ancora non si fidano? Sembra proprio così. E c’è un altro dettaglio a segnalarcelo. Quando Gesù si sveglia vede lo stato emotivo in cui si trovano i discepoli di fronte alla tempesta e Mc lo descrive usando un verbo che va tradotto con l’espressione essere bloccati dalla timidezza. Stranamente invece, dopo che Gesù ha calmato la tempesta, la reazione dei discepoli è descritta da Mc con un altro verbo: essere presi dalla voglia di fuggire per l’enorme spavento. Davvero strano: di fronte alla tempesta, ci blocchiamo, di fronte all’amore imprevedibile di Gesù, vorremmo fuggire.

Allora forse la domanda di Gesù ai discepoli e a noi mira a qualcos’altro. Non tanto al passaggio dal non credere al credere, ma da quel credere in cui ci serviamo di Dio per “far tornare” i conti, per sapere chi siamo, per opporci al nemico di turno, per ottenere i nostri obiettivi, per sentirci migliori… a quella fede in cui davvero serviamo Dio e ci lasciamo prendere dal suo amore imprevedibile e assoluto. Un ultimo dettaglio ci porta qui. Gesù apre il brano facendo un invito tradotto con: “passiamo all’altra riva”. In realtà sarebbe: “attraversiamo verso l’oltre” (v. 35 letterale). Cioè, proprio nella tempesta, proprio in questa condizione in cui temiamo di essere perduti, abbiamo la possibilità di accedere ad un livello di fede che sta oltre la media adesione religiosa, dove ci consegniamo a lui, alla sua forza amorevole che si manifesta sopravanzando ogni nostro desiderio e ogni nostra paura, tanto da far “saltare” per aria le sicurezze umane della nostra vita.

Di fronte a questo è ovvio che vorremmo “scappare”, è ovvio che ci spaventiamo molto di più che sentire di non valere più come cristiani. Ma il cammino di fede va proprio in quella direzione, perché quando pensiamo di aver capito chi è Cristo e cosa vuole da noi, la realtà (e lui dietro di essa), si incaricherà di costringerci a porci di nuovo la domanda finale: “Ma chi mai è costui?”
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Gilberto Borghi 23/06/2024)


"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 31 - 2023/2024 anno B

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B 

Vangelo:

Mc 4,35-41

Dopo la narrazione delle parabole del chicco di grano e del granellino di senapa, Gesù mette alla prova la fede dei suoi discepoli per sapere se hanno compreso la Parola appena proclamata. La risposta toglie ogni dubbio: i discepoli non hanno capito nulla. La crescita e lo sviluppo del Regno di Dio non stanno nelle mani dell'uomo, tanto meno sono frutto del caso. Nelle difficoltà, che mai mancheranno, Gesù esorta i suoi a non avere paura degli eventi, ad avere fiducia che, in ogni avvenimento, anche nel più tragico, sono sempre nelle mani del Padre. E' Lui che tiene saldamente in mano il timone della storia e la vita dei suoi figli. Nessuna notte, nessuna tempesta (simboli biblici del male), nessuna persecuzione, potrà mai impedire la realizzazione del Regno. Non c'è tempesta che possa sommergere e affondare la piccola barca della Chiesa, anche se le onde la sovrastano, fino a quando in essa sarà presente Gesù, anche se sembra dormire. In realtà, chi dorme è solo la nostra fede in Lui. Le angosce, le paure della Chiesa nascono dal non avere ancora compreso chi è Gesù. La domanda: «Chi è costui?», risuonerà lungo tutto il Vangelo di Marco fin sotto la croce (dove troverà risposta per bocca di un pagano), conducendo il lettore alla scoperta non di una dottrina, non di un catechismo, non di una nuova idea su Dio, ma all'incontro con una Persona: «Gesù, Messia, Figlio di Dio» (1,1), potenza di Dio e unico salvatore del mondo.

sabato 22 giugno 2024

UN GRANELLO DI QUIETE - La fede non è una assicurazione contro le burrasche della vita; le tempeste non si evitano e non si fuggono, si attraversano... Dio è presente, ma a modo suo... Non agisce al posto mio, ma insieme a me... - XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Ronchi

UN GRANELLO DI QUIETE


La fede non è una assicurazione contro le burrasche della vita;
le tempeste non si evitano e non si fuggono, si attraversano...
Dio è presente, ma a modo suo... 
Non agisce al posto mio, ma insieme a me...


In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all'altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui.Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che siamo perduti?».Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?». Mc 4, 35-41


UN GRANELLO DI QUIETE
 
La fede non è una assicurazione contro le burrasche della vita; le tempeste non si evitano e non si fuggono, si attraversano... 
Dio è presente, ma a modo suo... Non agisce al posto mio, ma insieme a me

La nostra vita è come il mare di Galilea, a volte calmo e a volte in tempesta, ma le nostre instabili e piccole barche sono state costruite non per restare ancorate in porto, ma per prendere il largo.

Siamo tutti naviganti, non possiamo fare a meno di attraversare il lago. “Passiamo all’altra riva” dice Gesù, e i discepoli accolgono il suo invito e si mettono in barca: e lo presero con sé, così com’era. Gesù è talmente stanco che nella traversata si addormenta.

Improvvisa sul lago si scatena la tempesta. E Gesù dorme:, affidandosi ai suoi ragazzi, loro sì esperti di lago.

Non ti importa che moriamo? La risposta, senza parole, è raccontata dai gesti “minacciò il vento, parlò al mare, che assicurano a ciascuno: mi importa di te, mi importa la tua vita, tu sei importante. Mi importano i passeri del cielo e tu vali più di molti passeri, mi importano i gigli del campo e tu sei più bello di loro. Tu mi importi al punto che ti ho contato i capelli in capo e tutta la paura che porti nel cuore. E sono qui. A farmi argine e confine alla tua paura. Sono qui nel riflesso più profondo delle tue lacrime.

La fede non è una assicurazione contro le burrasche della vita; le tempeste non si evitano e non si fuggono, si attraversano.

Perché avete così tanta paura? Dio non è altrove e non dorme. È già qui, sta nelle braccia degli uomini, forti sui remi; sta nella presa sicura del timoniere; è nelle mani che svuotano l’acqua che allaga la barca; negli occhi che scrutano la riva, nell’ansia che anticipa la luce dell’aurora. Il Signore salva attraverso persone (R. Guardini).

Dio è presente, ma a modo suo; vuole salvarmi, ma lo fa chiedendomi di mettere in campo tutte le mie capacità, tutta la forza del cuore e dell’intelligenza.

I discepoli vogliono un Dio che spazzi via le tempeste, e subito!

E invece Dio si fida di loro e li accompagna nel mezzo della burrasca. Non agisce al posto mio, ma insieme a me; non mi esenta dalla traversata, ma mi accompagna nell’oscurità. Non mi custodisce dalla paura, ma nella paura. Così come non ha salvato Gesù dalla croce, ma nella croce.

Perché avete paura? Non avete ancora fede? I discepoli hanno fede sì, ma nel Dio che risolve i problemi, che tappa i buchi della nostra fragilità, lui invece scava pozzi di coraggio e dignità.

Non avete fede? Credere nel miracolo non è vera fede; troppo facile, troppo comodo. Quanta gente ha più fede nei miracoli che in Dio! “No, credere a Pasqua non è vera fede. Troppo bello sei a Pasqua. Fede vera è al venerdì santo....” (D. M. Turoldo).

Fede è perseverare nella burrasca. E dopo che ha fatto tutto ciò che poteva al cristiano si apre lo spazio di un di più, un qualcosa che Lui solo ha, una pace sul mare, il miracolo imprevisto, il vento che tace, lo scintillio della fiducia negli altri. Il di più di Dio, che non sta in riva al lago ad osservare, ma è presente nel buio, come granello di luce nella notte, granello di quiete, di fiducia, di bonaccia. Che inonda di pace perfino le nostre tempeste.


Veglia preghiera migranti morti. Card. Matteo Maria Zuppi: "Non si può morire di speranza!"

Veglia preghiera migranti morti.
 
Card. Matteo Maria Zuppi: 
"Non si può morire di speranza!"





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Card. Zuppi "diritto asilo in Europa insicuro su navi trafficanti"

“Una madre non si arrende, trova le risposte e aiuta a trovarle. Non si può morire di speranza. Spesso ci chiediamo ‘dove è finito Dio?’. Ma la domanda è un’altra, dove è finito l’uomo. Dio è sulla barca e ci insegna a difendere sempre la dignità di ogni essere umano”. Lo ha detto la sera di mercoledì 19 giugno, nella basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma, il card. Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, alla veglia ecumenica di preghiera “Morire di speranza”, organizzata dalla comunità di Sant’Egidio con Centro Astalli, Caritas, Migrantes, Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, Acli, Simo, Comunità Papa Giovanni XXIII e Acse, in memoria di quanti perdono la vita nei viaggi verso l’Europa. Una veglia “funebre” per tutti coloro che non l’hanno potuta avere perché sono morti nel fondo del Mediterraneo, nel caldo del deserto e nel buio della notte per loro: sono state accese decine di candele, accanto alla croce di legno ricavata dal legno di barche naufragate fissata al centro dell’altare. Sulle sedie, nella navata, ogni fedele regge una gerbera rossa o arancione o gialla, per ricordare la vita e la speranza di chi cercava l’Europa.
Servizio di Marco Calvarese
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La Comunità di Sant'Egidio, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, in tanti luoghi d'Europa e Africa si raccoglie insieme alle comunità dei migranti nelle veglie di preghiera ecumeniche "Morire di speranza", per ricordare i tanti, troppi, che sono morti nei disperati viaggi della speranza e che purtroppo continuano a morire nel tentativo di arrivare in Europa.
Riportiamo un primo elenco, in aggiornamento, delle iniziative in corso

Leggi tutto:

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Card. Zuppi: non facciamo annegare la nostra umanità


Pubblichiamo l’omelia che il Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, ha pronunciato il 19 giugno a Roma, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, in occasione della Veglia ecumenica di preghiera “Morire di speranza”, in memoria dei migranti che perdono la vita nei viaggi verso l’Europa.

Ricordiamo e preghiamo. E quanto ci aiuta la preghiera, affidare al Signore questi suoi fratelli più piccoli e quindi nostri fratelli! Tutti piccoli e poveri Cristi. Possiamo forse dimenticare? La Chiesa è una madre. Solo una madre. Qualcuno cerca tante spiegazioni, spesso per offenderla o per usarla. L’unica è questa, la più semplice e vera, quella che descrive – con tutte le povertà e le contraddizioni umane – questa nostra madre che amiamo e che ama. Questa madre, affidata da Gesù a tutti noi, chiede di essere amata, capita, sostenuta, difesa, resa migliore con il nostro amore (ad una madre non servono dichiarazioni o ragionamenti, ma amore, perché dona tutto quello che ha solo per amore). La madre non può dimenticare i suoi figli. Tutti. È questa la dignità infinita con cui riveste la debolezza della vita, fragile e bellissima sempre e per tutti. Come una madre piange, cerca, si dispera per i suoi figli che non sono più e vuole che nessuno si perda più. Non smette di amare i suoi figli – non una statistica, un’indagine, un’audizione – i suoi 2454 figli, persone diventate profughi, che in un anno – da giugno 2023 ad oggi – hanno perso la vita nel Mediterraneo e lungo le vie di terra, cercando di raggiungere l’Europa, alla ricerca di un futuro migliore. In fondo per loro, ma quello diventa anche il nostro futuro e se lo vogliamo migliore. Non li dimentica questa madre perseverante, insistente, molesta per chi giudica e interpreta anche il dolore, ma senza fermarsi e lasciarsi ferire e cambiare. E quanta insolenza! Chi ha perso un figlio lo sa.

La Chiesa è libera di dire che sono stati lasciati soli, che non ci siamo presi di cura di loro, che abbiamo sciupato risorse, addirittura abbiamo lucrato sul loro dolore, tradendo le attese e gli impegni. È libera di rivendicare che le sue lacrime sono lacrime e basta: non sono di una parte, ma per chi ama la parte, l’unica per una madre che mette per davvero al centro la persona, la dignità infinita di questa, unica e speciale come ogni figlio per una madre. Per questo non accetta le inutili spiegazioni e giustificazioni perché l’unica paura che ha è quella di perdere uno dei suoi figli piccoli, di non fare abbastanza, di cercare di fare tutto il possibile.

Guardando la sua e loro sofferenza ritroviamo tutti il senso di umanità e di dignità, per non smarrirlo nel penoso narcisismo, nell’ignoranza volgare e rozza. Perdendo la loro, in realtà, perdiamo la nostra dignità. Una madre è libera di ripetere che l’illegalità si combatte con la legalità. Ricordiamo perché non possiamo abituarci a persone che muoiono nell’angoscia dell’immensità del mare, nel freddo della notte, nel caldo che toglie il respiro del deserto, per la sete, umiliati nel corpo da predoni e schiavisti. I diritti sono sempre tali e la loro vicenda ci ricorda che “una parte dell’umanità vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati” (FT 22). Guai a rendere i diritti riferimenti inutili, tradendo impegni e responsabilità. Il diritto d’asilo in Europa e in Italia continua a navigare insicuro sulle navi di trafficanti, anziché essere tutelato da una operazione europea di soccorso in mare e di intelligente gestione di un fenomeno che non è transitorio, che è sempre stato e le cui proporzioni richiedono lungimiranza, determinazione, visione, governo. Il Mediterraneo che diventa di nessuno rinnega se stesso e quella legge del mare che da sempre lo ha definito. Speriamo vi sia una diversa attenzione e solidarietà tra i singoli Paesi e dell’Europa davvero unita, ad iniziare dal nuovo Parlamento europeo, perché su questi temi, squisitamente e solamente umanitari, non ci si divida. Solo l’altro giorno 66 persone sono disperse e tra queste 26 bambini, perché erano soprattutto famiglie afghane – e anche questo dovrebbe suscitare una reazione. Questa sera ricorderemo nomi e luoghi, perché ognuno è un pezzo dell’unica e irripetibile immagine di Dio, di quel mosaico straordinario che, se ricomposto nell’amore, permette di capire la bellezza della persona e la bellezza di Dio. Non vogliamo far annegare la nostra umanità e vogliamo localizzare ciascuno nell’immensità dell’abbandono. In tutto il mondo le stime indicano in almeno 8565 le persone morte nei viaggi della speranza nel 2023, il dato più alto in assoluto dal 2016. Sono 1.886 quanti hanno perso la vita nel deserto del Sahara e sulla rotta marittima verso le Canarie. Scappavano dall’inferno e la vita è diventata un inferno.

Leggiamo dal giornale di oggi: “Dieci anni e il cuore già a pezzi. Non ha più accanto sua madre, suo padre e la sua sorellina ed è disperata. Non fa che chiedere di loro, non sa che sono caduti in acqua e hanno dovuto arrendersi allo strapotere del mare; tre dei tanti corpi perduti per sempre nel Mediterraneo. Chi l’ha guardata sbarcare dice che non c’era niente negli occhi lucidi di quella bambina arrivata ieri mattina a Roccella Jonica. Sembravano spenti. Un momento di pausa dal pianto. Uno solo. Poi di nuovo lacrime. Di solitudine ma anche di sofferenza fisica, perché era così disidratata da avere dolori insopportabili alle braccia; sintomi che a inizio soccorso avevano convinto i medici che fossero spezzate. Ce la faremo, era il mantra di quelle famiglie, molte delle quali venivano da posti alla fine dei diritti umani come l’Afghanistan o l’Iran. Ma poi il mare è diventato grosso, sulla barca c’è stata un’esplosione, quella carretta ha cominciato a imbarcare acqua e la speranza è via via naufragata assieme alle vite della povera gente finita in mare. Il comandante della guardia Costiera di Roccella Jonica si è sobbarcato 24 ore di lavoro senza sosta per seguire le operazioni dei suoi uomini. Dice che «i naufraghi stavolta erano tutti particolarmente provati», che «mentre intervieni sei addestrato per mantenere lucidità e professionalità» ma che poi, «quando torni a casa, la sera, porti con te l’umanità con la quale hai avuto a che fare, come l’immagine di quella bambina, così piccola e già così sola e disperata». In Pediatria ci hanno concesso di stare con lei a lungo, le infermiere la coccolano, la trattano da regina. Ma lei non vuole né giocattoli né giocare. Si lamenta e urla perché vuole la mamma e la sorellina». Concetta, della Croce Rossa, sospira. Pausa. Poi dice: «Ho sentito mio marito poco fa. Quando starà bene vorremmo ospitarla da noi, in attesa che si decida sul suo futuro». Un raggio di sole in mezzo al cielo cupo di questo naufragio”.

Ecco il Venerdì Santo che ricordiamo oggi, ma ecco anche l’umanità che vogliamo, anticipo della luce di Pasqua, dell’amoree più forte del male. Una madre, appunto. Essi scappano dall’inferno. Resteremmo noi nell’inferno? Un pezzo di paradiso, di pace, è come quell’immagine di sogno che è in realtà la nostra preghiera, per cui un ragazzo solleva una donna caduta nel deserto, non l’abbandona e la fa volare, portandola con un dito, quello dell’amore. Un pezzo di paradiso, l’inizio della bonaccia è salvare e aiutare a restare. Non facciamo mai mancare un pezzo di paradiso. Lo può fare anche una mamma di Roccella. Lo possiamo tutti.

Ricordiamo l’Ucraina con poco meno di 6 milioni di rifugiati nei Paesi europei e con 4 milioni di profughi interni. Il Sudan, i palestinesi di Gaza, un milione e settecentomila sfollate internamente più volte, la Siria che rimane la più grande crisi di rifugiati al mondo, l’Afghanistan. Pregare ci aiuta a non abituarci, a provare i sentimenti della madre, a vergognarci della durezza del cuore, a tornare umani, perché parlare con Dio amore ci fa trovare quello che abbiamo perduto o che è sepolto sotto tanta paura e banale insipienza. Una madre trova le risposte e aiuta a trovarle: i corridoi umanitari, di lavoro, universitari, una gestione finalmente non emergenziale, la formazione che garantisce diritti e doveri (e bisogna garantire tutti e due) sono le risposte di una madre che non si rassegna, che ha speranza, non la perde e fa vivere, non morire. Perché non si può morire di speranza e se lasciamo che questo avvenga vuol dire che è morta in noi.

Anche Gesù cerca l’altra riva, si mette in viaggio e quindi accetta il rischio di questo. Siamo tutti viaggiatori, pellegrini in questa nostra vita che non può restare dove è perché deve cercare sempre l’altra riva. Gesù sembra che dorma, ma chi dorme in realtà sono i discepoli, agitati e dimentichi perché senza fede oppure banalmente addormentati su se stessi quando la tempesta non riguarda loro. Spesso ci interroghiamo su dove è finito Dio, su come è possibile che muoiano dei bambini, scandalo per cui i loro angeli sono al cospetto di Dio. Davvero la domanda è un’altra: dove è finito l’uomo, perché Dio lo sappiamo dove sta: sulla barca con loro. E Gesù ci insegna a difendere sempre, ovunque, la dignità inviolabile e infinita dell’essere umano. Sempre, in tutte le età e per tutti.

Giovanni Crisostomo parlava così: “Così agiscono quelli che attraversano il mare grande e spazioso: se la loro nave viene sospinta da venti favorevoli, si allietano di tanta pace, ma se vedono da lontano un’altra imbarcazione in difficoltà, non trascurano la sfortuna di quegli estranei, badando solo al proprio utile: fermano la nave, gettano le ancore, calano le vele, lanciano tavole, gettano corde, affinché chi sta per essere sommerso dalle onde aggrappandosi a una di queste possa sfuggire il naufragio. Imita dunque anche tu i naviganti, o uomo; anche tu navighi un mare grande e spazioso; l’estensione della vita presente: un mare pieno di animali e pirati, pieno di scogli e picchi, un mare agitato da molti marosi e tempeste. E anche in questo mare molti spesso fanno naufragio. Quando dunque vedi qualche navigante che per qualche accidente diabolico sta per perdere il tesoro della sua salvezza, è agitato tra i flutti, sta per sommergersi, ferma la tua nave; anche se ti affretti altrove, preoccupati della sua salvezza, trascurando le tue cose. Chi sta per annegare non può ammettere dilazione o lentezza. Accorri dunque velocemente, strappalo subito dai flutti, metti tutto in movimento per tirarlo su dal profondo della rovina. Anche se mille occupazioni ti sollecitassero, nessuna ti sembri più necessaria della salvezza di un misero, se volessi differirla anche un poco, la violenta tempesta lo perderebbe. In queste disgrazie, dunque, è necessaria molta prontezza; molta prontezza e molta cura sollecita. Siamo dunque pieni di premura verso i nostri fratelli. Questo è il punto principale della nostra vita cristiana, questo è il distintivo che non solo fa vedere la nostra realtà, ma anche corregge e purifica le nostre membra pervertite. Questa è la prova più grande della fede: Da questo infatti tutti conosceranno che siete miei discepoli – è detto – se vi amerete l’un l’altro (Gv 13,35). L’amore sincero si dimostra non mangiando insieme, non parlandosi alla buona, non lodandosi a parole, ma osservando e preoccupandosi di ciò che è utile al prossimo, sorreggendo chi è caduto, tendendo la mano a chi giace incurante della propria salvezza e cercando il bene del prossimo più del proprio. L’amore non guarda ai propri interessi, ma prima che ai propri guarda a quelli del prossimo, per vedere, attraverso quelli, i propri”.

Sia così. Per noi e per loro, sia speranza per loro e per noi. Amen
(fonte: CEI 20/06/2024)

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