Il 2023 annus horribilis per il numero di conflitti:
ben 59 sparsi in 34 Stati
Mai così tante guerre
Mai così tante guerre nel mondo come oggi. L’Istituto di ricerca per la pace di Oslo (Prio), nell’ultimo rapporto diffuso ieri, offre una panoramica approfondita di quella “terza guerra mondiale a pezzi” su cui tante volte Papa Francesco ha cercato di sensibilizzare i leader politici e l’opinione pubblica globale.
Il 2023 è stato l’anno con il maggior numero di conflitti dal 1946: ben 59 sparsi in 34 Paesi. Gli ultimi tre anni, secondo il rapporto del Prio, sono stati i più cruenti per numero di vittime dalla fine della Guerra fredda. Ad alimentare questo dato drammatico sono state in particolare tre guerre: quella nella regione settentrionale etiope del Tigray, quella in Ucraina e quella a Gaza. La guerra nel Tigray ha causato ben 286.000 morti nei biennio 2021-2022. Così tanti che, dopo gli accordi di pace del novembre 2022, c’è stato un calo complessivo nel numero dei morti nel mondo per i conflitti nel 2023, nonostante le 71.000 vittime in Ucraina (solo lo scorso anno) e le 23.000 vittime in meno di tre mesi dopo l’esplosione del conflitto tra Israele e Hamas a Gaza.
Anche il 2024 in corso si prospetta particolarmente cruento, visto che queste due guerre disastrose non trovano soluzione così come un altro grave conflitto, quello esploso nell’aprile 2023 in Sudan, che continua a insanguinare l’Africa. Proprio l’Africa è il continente con il maggior numero di conflitti a livello statale, ben 28, seguita dall’Asia con 17, dal Medio Oriente con 10, dall’Europa con 3 e dalle Americhe con 1 (la Colombia). Il numero dei conflitti in Africa è quasi raddoppiato rispetto a dieci anni fa e nell’ultimo triennio si sono avuti più di 330.000 morti legati alla guerra. Tra questi conflitti quello legato alle violenze di Boko Haram in Nigeria o quello che imperversa nell’est della Repubblica Democratica del Congo. In Asia vengono segnalati in particolare il conflitto tra giunta militare al potere e ribelli in Myanmar e quello nell’isola filippina di Mindanao. «L’aumento dei conflitti statali può essere in parte attribuito alla diffusione dello Stato islamico in Asia, Africa e Medio Oriente, così come al crescente coinvolgimento di altri attori non statali, come il gruppo Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin» nel Sahel e in Africa occidentale, afferma Siri Aas Rustad, ricercatrice presso il Prio e autrice principale del rapporto. «Questa situazione rende sempre più difficile per le agenzie umanitarie e le organizzazioni della società civile orientarsi nel panorama dei conflitti e migliorare la vita della popolazione», fa notare l’autrice del rapporto.
Per quanto riguarda i conflitti non statali, ovvero quelli che non vedono direttamente coinvolto il governo di uno Stato, il numero maggiore viene individuato in America Latina dove il rapporto segnala un aumento delle violenze ad esempio in Messico e Brasile.
Dal Medio Oriente, infine, arrivano alcuni dati su tendenze contrastanti. Per la prima volta dal 2015, quello in Yemen non viene più categorizzato come un conflitto e in Siria si è assistito a un calo delle violenze. Ma la progressiva diminuzione del numero dei conflitti nella regione si è invece interrotta, passando da otto a dieci tra il 2022 e il 2023. Il Medio Oriente nel 2022 ha registrato poco più di 5.000 decessi legati ai combattimenti, il numero più basso dal 2011. Tuttavia, lo scorso anno, il numero è salito nuovamente a circa 26.000, con quasi 23.000 di questi decessi registrati a Gaza. «I dati del Medio Oriente lasciano sperare che la violenza estrema e i conflitti complessi come quelli in Siria possano diminuire — conclude l’autrice del rapporto —. Tuttavia, è preoccupante che emergano sempre più spesso nuovi conflitti estremamente violenti».
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Valerio Palombaro 11 giugno 2024)