Tragedia nella tragedia
Nel cuore il dramma dei 94 morti in mare, davanti le coste di Steccato di Cutro, a febbraio dell’anno scorso. Negli occhi i resti di quel caicco che aveva trasportato 180 disperati dalla Turchia verso l’Italia. «Mai più la vergogna di Cutro», «mai più il naufragio dei diritti», quelli alla vita, a migrare, a un futuro, si gridò allora. Eppure le immagini della Guardia Costiera italiana hanno immortalato una data, 17 giugno 2024, e un’ora, 6:12 (Utc +2). Sono quelle dei soccorsi subito dopo un’altra strage di migranti a due passi dalla Calabria, i cui contorni si sono chiariti col passar delle ore. Almeno 66 le persone disperse, di cui 26 sono bambini, anche di pochi mesi: una tragedia nella tragedia, di piccole vite umane inghiottite assieme alle altre dalle onde del mar Ionio, e di disperata solitudine, come quella di una bambina di 10 anni sopravvissuta, che nella sciagura ha perso la madre, il padre e la sorellina.
Il racconto di quanto successo è reso dalle testimonianze, e di fatto dai volti scioccati, proprio degli 11 superstiti. Erano un’ottantina in tutto le persone a bordo della barca a vela che si è rovesciata ieri notte — pare dopo un incendio al motore — a 120 miglia dalle coste calabre, in area di responsabilità Sar italiana, al limite di quella di competenza della Grecia. Perlopiù famiglie afghane, ma anche iraniani e iracheni partiti almeno 8 giorni prima dalla Turchia, proprio come successe al caicco di Cutro. È stata una nave francese a lanciare un “may-day” dopo aver ricuperato 12 persone che si trovavano sul veliero semiaffondato. La Guardia costiera italiana ha raccolto l’allarme, inviando sul posto un aereo e due motovedette, una delle quali ha preso a bordo i superstiti e li ha portati a Roccella Ionica. Una donna è morta durante le operazioni. Le ricerche di chi manca all’appello sono ancora in corso, la procura di Locri sta investigando, mentre un team di Medici senza frontiere ha offerto assistenza psicologica ai migranti sbarcati. «La scena — raccontano gli operatori — era straziante, davanti a noi persone traumatizzate, il dolore si toccava con mano». Lo stesso dolore che hanno riportato i soccorritori che a Lampedusa, stanotte, hanno accolto i 51 migranti tratti in salvo in un’altra operazione a circa 40 miglia dall’isola siciliana, insieme ai corpi di 10 persone ritrovate senza vita sull’imbarcazione in legno a bordo della quale il gruppo viaggiava.
Poche ore dopo il G 7 di Borgo Egnazia che ha lanciato una coalizione “per prevenire e contrastare il traffico di migranti” e alla vigilia della Giornata mondiale dei rifugiati del 20 giugno, «profondo cordoglio» per le decine di vittime dei nuovi incidenti nel Mediterraneo è arrivato dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dal Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), secondo cui solo quest’anno nel Mediterraneo centrale si contano oltre 800 tra morti e dispersi, una media di 5 al giorno.
Non solo numeri, ma anche volti e individui, come ci ricorda di continuo Papa Francesco. «Serve un sussulto di umanità», ha evidenziato padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli. «Queste tragedie avvengono davanti ai nostri occhi. Eppure nulla si muove», ha aggiunto, evidenziando come servano «lungimiranza, visione e responsabilità», perché «limitarsi a misure di contenimento, costose in termini economici e di vite umane, non è la soluzione». «Occorrono politiche strutturali che impediscano simili tragedie», ha affermato don Rigobert Elangui, direttore dell’ufficio pastorale Migrantes della diocesi di Locri-Gerace, che ieri si è recato al porto di Roccella Ionica. Da Sant’Egidio, reiterato l’appello ad allargare i canali di ingresso regolari.
(fonte: L'Osservatore Romano 18 giugno 2024)