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domenica 23 giugno 2024

Non ti importa che siamo perduti?

Non ti importa che siamo perduti?

La “barca di Pietro” travolta dalla scristianizzazione: il testo ci offre alcuni dettagli che ci rivelano un senso un po’ inatteso


Un brano super famoso, la tempesta sedata, interpretato spesso per indicare la situazione attuale della Chiesa nel mondo: la “barca di Pietro” travolta dalla scristianizzazione, il timore di essere “perduti” come cristiani e la domanda quasi accusatrice a Gesù stesso: “Non ti importa? Che si potrebbe tradurre: non sembra che tu metta molte energie su questo rischio che noi viviamo. Poi la risposta di Gesù a salvare la situazione, che noi immediatamente percepiamo come traduzione del suo essere Signore della natura e della storia. Volendo, però, restare in questa interpretazione di fondo, il testo ci offre alcuni dettagli che ci rivelano un senso un po’ inatteso.

Il primo. Da bravi pescatori che da decenni sul quel lago si guadagnano da vivere, i discepoli sanno bene che queste “tempeste” possono essere molto intense, ma di breve durata. E di certo, hanno imparato strategie per minimizzare il danno e il rischio. Ma dell’applicazione di queste non c’è traccia nel testo, anche se si può ipotizzare che siano state attuate. Piuttosto, sembra che la domanda dei discepoli nasca da un dettaglio: Gesù sta “placidamente” dormendo. Come a dire: mentre noi ci facciamo in quattro per “salvarci”, tu non percepisci nemmeno questo pericolo. La domanda dei discepoli, perciò, sembra più un rimprovero che una vera richiesta di aiuto.

Ma Gesù non ha timore della “tempesta”. Non sembra essere preoccupato di quelle cose che noi reputiamo segnali del rischio di essere persi come cristiani. Calo delle vocazioni sacerdotali, calo delle presenze alla vita sacramentale, perdita di peso sociale e culturale della Chiesa, presunte derive teologiche anche da parte delle autorità ecclesiali, beghe di potere interno di una Chiesa accartocciata su di sé, percezione della scristianizzazione della società e aumento dei comportamenti immorali… ecc. Di tutto ciò Gesù non ha timore. Noi invece sì. Il che mostra già una prima sfasatura tra il nostro modo di interpretare la realtà e quello di Cristo e ci ributta la domanda su di noi, esattamente come Cristo fa: “non avete ancora fede?” A dire che la percezione del pericolo incombente nasce dalla nostra mancanza di fede, non dai dati oggettivi della realtà.

Il secondo dettaglio. Gesù sta dormendo nella “parte inferiore” (etimo di poppa v. 38) della barca. Nella realtà forse si stava riposando. Ma in questa interpretazione sembra che Lui non abbia il posto che gli compete, dentro la barca di Pietro, la “parte inferiore”. Che questo possa essere connesso con la paura di essere perduti? A cosa cerchiamo di affidarci nella tempesta? Mobilitiamo strategie di riduzione del danno, o proviamo a rimettere Cristo al centro? Ci fa figura la nostra paura o la sua presenza? Credo che anche qui sia più la nostra percezione del suo essere “nel sonno”, che non il dato reale, dovremmo saperlo: “Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele” (Sal 121,4). E allora risuona di nuovo la sua domanda a noi: “non avete ancora fede?”.

Ma come? Dopo tutti i segni che hanno visto (i cap. 2 e 3 di Mc sono pieni di guarigioni) ancora non si fidano? Sembra proprio così. E c’è un altro dettaglio a segnalarcelo. Quando Gesù si sveglia vede lo stato emotivo in cui si trovano i discepoli di fronte alla tempesta e Mc lo descrive usando un verbo che va tradotto con l’espressione essere bloccati dalla timidezza. Stranamente invece, dopo che Gesù ha calmato la tempesta, la reazione dei discepoli è descritta da Mc con un altro verbo: essere presi dalla voglia di fuggire per l’enorme spavento. Davvero strano: di fronte alla tempesta, ci blocchiamo, di fronte all’amore imprevedibile di Gesù, vorremmo fuggire.

Allora forse la domanda di Gesù ai discepoli e a noi mira a qualcos’altro. Non tanto al passaggio dal non credere al credere, ma da quel credere in cui ci serviamo di Dio per “far tornare” i conti, per sapere chi siamo, per opporci al nemico di turno, per ottenere i nostri obiettivi, per sentirci migliori… a quella fede in cui davvero serviamo Dio e ci lasciamo prendere dal suo amore imprevedibile e assoluto. Un ultimo dettaglio ci porta qui. Gesù apre il brano facendo un invito tradotto con: “passiamo all’altra riva”. In realtà sarebbe: “attraversiamo verso l’oltre” (v. 35 letterale). Cioè, proprio nella tempesta, proprio in questa condizione in cui temiamo di essere perduti, abbiamo la possibilità di accedere ad un livello di fede che sta oltre la media adesione religiosa, dove ci consegniamo a lui, alla sua forza amorevole che si manifesta sopravanzando ogni nostro desiderio e ogni nostra paura, tanto da far “saltare” per aria le sicurezze umane della nostra vita.

Di fronte a questo è ovvio che vorremmo “scappare”, è ovvio che ci spaventiamo molto di più che sentire di non valere più come cristiani. Ma il cammino di fede va proprio in quella direzione, perché quando pensiamo di aver capito chi è Cristo e cosa vuole da noi, la realtà (e lui dietro di essa), si incaricherà di costringerci a porci di nuovo la domanda finale: “Ma chi mai è costui?”
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Gilberto Borghi 23/06/2024)