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sabato 2 aprile 2022

Ministri ordinati, anzitutto profeti di consolazione - Mons. Luigi RENNA, Arcivescovo di Catania

Ministri ordinati, 
anzitutto profeti di consolazione 
 Mons. Luigi RENNA,
 Arcivescovo di Catania

Meditazione ai presbiteri
 in tempo di Quaresima 
 5 marzo 2022



Carissimi fratelli presbiteri, 
il cammino quaresimale culmina nella Celebrazione del Triduo Santo e per noi c’è un appuntamento molto importante durante la Messa Crismale, quello della rinnovazione delle promesse sacerdotali. Se la Veglia pasquale ci vedrà uniti ai nostri fratelli e alle nostre sorelle con i quali condividiamo il sacerdozio battesimale, a rinnovare la nostra fede e la nostra appartenenza a Cristo, nonché la nostra rinuncia al peccato, durante la Messa del Crisma noi faremo memoria dell’ordinazione presbiterale e saremo invitati a rinnovare le nostre promesse sacerdotali. Ognuno risponderà in prima persona con la sua storia, con i suoi anni, ma saremo insieme, come fratelli, attorno alla stessa Mensa. Condividiamo la stessa storia di salvezza, siamo nella stessa Chiesa diocesana e per questo non siamo mai soli, anche magari quando nei momenti più difficili avvertiamo la solitudine. Ognuno dirà grazie al Signore per la fedeltà che ci permette di avere, ciascuno con i propri anni: padre Andrea e padre Nunzio solo dopo pochi mesi dal giorno in cui sono state imposte loro le mani, fino ai più anziani del nostro presbiterio. A questo gesto del rinnovare il nostro “sì” per amore, vogliamo prepararci insieme, ritenendolo che sia un tutt’uno con il cammino quaresimale del presbitero. 
   Rinnoveremo le promesse nel momento storico che tutta l’umanità sta vivendo, ma anche nella vicenda personale che caratterizza ciascuno: le nostre piccole vite si intrecciano con la grande storia, e sono guidate da un Dio che le consacra e fa sì che anche questa sia una storia di salvezza. Vi propongo di meditare su due brani del profeta Geremia, ripensando al nostro ministero, che oggi più che mai, è chiamato a trovare vie di annuncio e di consolazione nei confronti di una umanità che è molto provata, sia dalla pandemia che dalle conseguenze della guerra, ma anche da una profonda crisi valoriale, che impoverisce non solo le tasche, ma anche le coscienze. Come non rimanere scossi davanti alla notizia di sabato scorso, quando veniva resa nota la triste vicenda di una bambina venduta sessualmente per cibo e denaro al suo padrino, un uomo che ha accompagnato quella figliola all’altare per il sacramento dell’iniziazione cristiana e poi ha violato l’immagine e somiglianza di Dio che è in lei, la sua dignità umana e la promessa di essere egli stesso un testimone di fede? Fin quando ci indigneremo per storie, come queste saremo sulla retta vita, perché come dice Sant’ Agostino, la speranza ha due bellissime figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle”.
    Vi invito a soffermarvi su due brani del profeta Geremia, perché la rinnovazione delle nostre promesse nasca dall’ascolto della Parola. Geremia, è quel profeta di cui ho davanti agli occhi l’immagine scolpita da Donatello per il campanile di Giotto a Firenze: la figura slanciata, con la fronte corrucciata e le labbra serrate, in una espressione che dice preoccupazione e fortezza insieme. Indubbiamente Geremia è un profeta, più di altri, di tempi difficili: passò dall’entusiasmo della riforma religiosa del re Giosia, nell’anno 622, quando aveva circa venticinque anni, ad una fase critica e drammatica, quella che seguì all’omicidio del re voluta dal Faraone, la decadenza religiosa e dei costumi di Israele, la minaccia dell’invasione dei Babilonesi, la caduta di Gerusalemme. La sua profezia però non termina con il disastro politico, come quella dei profeti di corte, ma va oltre: quando tutto è perduto, egli annuncia una seconda alleanza, con un testo che per noi cristiani è di somma importanza, perché annuncia la nuova ed eterna alleanza: “Ecco verranno giorni, dice il Signore, nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò un’alleanza nuova” (Ger 31,31).
 Vogliamo chiedere a Geremia: “Cosa è chiamato a fare un ministro di Dio in tempi difficili?” 

1. Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per il paese e non comprendono (Ger 14, 20) 
   Vi propongo di meditare il testo di Ger 14, 17-22, che incontriamo anche come Cantico nella liturgia delle ore. 
[17] Tu riferirai questa parola:
 "I miei occhi grondano lacrime 
notte e giorno, senza cessare, 
perché da grande calamità 
è stata colpita la figlia del mio popolo,
 da una ferita mortale. 
[18] Se esco in aperta campagna, 
ecco i trafitti di spada; 
se percorro la città, 
ecco gli orrori della fame. 
Anche il profeta e il sacerdote
si aggirano per il paese e non sanno che cosa fare. 
[19] Hai forse rigettato completamente Giuda, 
oppure ti sei disgustato di Sion? 
Perché ci hai colpito, e non c'è rimedio per noi?
 Aspettavamo la pace, ma non c'è alcun bene, 
l'ora della salvezza ed ecco il terrore! 
[20] Riconosciamo, Signore, la nostra iniquità, 
l'iniquità dei nostri padri: 
abbiamo peccato contro di te. 
[21] Ma per il tuo nome non abbandonarci, 
non render spregevole il trono della tua gloria.
Ricordati! Non rompere la tua alleanza con noi. 
[22] Forse fra i vani idoli delle nazioni c'è chi fa piovere? 
O forse i cieli mandan rovesci da sé? 
Non sei piuttosto tu, Signore nostro Dio? 
 In te abbiamo fiducia,
 perché tu hai fatto tutte queste cose".

       Dopo aver descritto la siccità con le sue catastrofiche conseguenze, ed aver preso le distanze dai falsi profeti, Geremia si sente interpellato da Dio: “Tu riferirai loro questa parola” (Ger 14, 17). Prima di lui si erano levate altre voci, quelle dei profeti di corte, che annunciavano quello che il re voleva si dicesse e quello che la gente voleva sentirsi dire. Le prime parole sono di compassione: il profeta piange giorno e notte, condivide il dolore del popolo, mentre si aggira impotente per le strade della città e per le campagne. Il Signore all’inizio chiede al suo inviato semplicemente di condividere il dolore, senza proferire oracoli. 
       Poi una immagine molto forte: anche il profeta e il sacerdote si aggirano per il paese “senza comprendere” (Ger 14,18). La traduzione CEI del 2008, più fedele della precedente, che parla di un “non sanno cosa fare”, sposta la nostra attenzione non sul fare, ma sul comprendere e sul discernimento, tanto che anche la traduzione in lingua corrente ci dà: “si aggirano senza capirci più nulla”. Il sacerdote, chiamato a celebrare il culto, sembra muto davanti a questa situazione inedita, sembra non saper più pregare. E il profeta non comprende più né il presente, né il futuro, non si sa spiegare, in definitiva, il progetto di Dio. Questa situazione lascia il popolo senza punti di riferimento, senza coloro che rappresentano la voce del Signore in mezzo al suo popolo. Ma perché il sacerdote e il profeta non comprendono più? Abbiamo alcuni testi che ci aiutano a capire cosa succede nel loro cuore. I primi sono presenti nei Salmi. “Ma l’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono” (Sal 48,13). E’ la situazione di chi ha il cuore così occupato da altro, dai suoi beni, che è divenuto ottuso ed insensibile. Questo può accadere sempre nella nostra vita, ma il testo di Geremia credo non si riferisca a questo. Più calzante sembra la situazione che troviamo nel Salmo 72,22: “Io ero stolto e non capivo, davanti a te stavo come una bestia”: l’incomprensione, paragonata a quella di una creatura senza ragione e capacità di discernere, è data dalla difficoltà della situazione e dallo smarrimento davanti alle avversità. E’ il sentimento che prende i cuori dei due discepoli di Emmaus, per i quali egli li apostrofa: “Anòetoi (cioè senza il nous, che è la ragione) kai bradeis tes kardias (lenti di cuore) tou pistein (nel credere)” (Lc 24,25). Di fronte alle complessità delle situazioni, dobbiamo riconoscere che non abbiamo risposte preconfezionate, e che se credessimo diversamente, cadremmo nella saccenteria. Una buona affermazione di umiltà, che ci assimila a questi profeti e sacerdoti, può essere l’inizio di una comprensione rinnovata della nostra missione. Troppo facilmente si discetta su questioni che sono complesse, senza un adeguato silenzio e ascolto della Parola che preceda le parole umane.
     Il sacerdote e il profeta possono non comprendere anche per loro colpa. Come non pensare a quelle “malattie spirituali” di cui ha parlato papa Francesco negli auguri alla Curia romana il 22 dicembre del 2014?Credo che faccia bene fare l’esame di coscienza ritornando su di esse, e davanti a questo brano biblico e confrontarci con alcune espressioni. 
    Quella che parla della sclerocardia, ad esempio:


C’ è anche la malattia dell’“impietrimento” mentale e spirituale: ossia di coloro che posseggono un cuore di pietra e la “testa dura” (cfrAt7,51); di coloro che, strada facendo, perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e non “uomini di Dio” (cfrEb3,12). È pericoloso perdere la sensibilità umana necessaria per piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono! È la malattia di coloro che perdono “i sentimenti di Gesù” (cfrFil2,5) perché il loro cuore, con il passare del tempo, si indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo (cfrMt 22, 34- 40). Essere cristiano, infatti, significa “avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil2,5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità. 

Possiamo anche ripensare a quello che il papa dice dell’alzheimer spirituale

C’è anche la malattia dell’“alzheimer spirituale”: ossia la dimenticanza della propria storia di salvezza, della storia personale con il Signore, del «primo amore» (Ap 2,4). Si tratta di un declino progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap alla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie. Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore; in coloro che non hanno il senso “deuteronomico” della vita; in coloro che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni, capricci e manie; in coloro che costruiscono intorno a sé muri e abitudini diventando, sempre di più, schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani. 

  Come fa il profeta a convertirsi per ritornare ad essere fedele al Signore? 
 Condividendo gli interrogativi della gente e facendoli diventare preghiera. Ci sono ben cinque domande che sono rivolte all’Altissimo, e che si sciolgono in un’affermazione fatta di fiducia: “Noi speriamo in te, Signore Dio nostro, perché solamente tu fai tutte queste cose” (Ger 14,22). L’invocazione è corale, di tutto il popolo: “Noi speriamo…” Il profeta qui non parla più in prima persona, ma diventa voce e cuore del popolo di Dio, comprende che, nonostante tutto, il Signore non abbandona, sta guidando la storia. La sua parola non è imparata sui libri, ma passa attraverso la condivisione della sorte del suo popolo. Egli per primo si è svegliato e diventa a sua volta sentinella. 

2. Gesti profetici che aprono al futuro 
  Come dicevo, i capitoli 30-31, che nella Bibbia di Gerusalemme vengono definiti “libro della consolazione”, sono importanti per tutta la storia della salvezza, perché in essi si comincia a parlare di una nuova alleanza. Il cardinal Martini, in maniera lapidaria, afferma: “Geremia 31,31-34 è il passo più importante di tutto l’Antico Testamento”. Subito dopo questi versetti, al capitolo 32, c’è un segno profetico molto eloquente:

[1] Parola che fu rivolta a Geremia dal Signore nell'anno decimo di Sedecìa re di Giuda, cioè nell'anno decimo ottavo di Nabucodònosor.[2] L'esercito del re di Babilonia assediava allora Gerusalemme e il profeta Geremia era rinchiuso nell'atrio della prigione, nella reggia del re di Giuda, [3] e ve lo aveva rinchiuso Sedecìa re di Giuda, (…)] Geremia disse: Mi fu rivolta questa parola del Signore:[7] "Ecco Canamèl, figlio di Sallùm tuo zio, viene da te per dirti: Comprati il mio campo, che si trova in Anatòt, perché a te spetta il diritto di riscatto per acquistarlo".[8] Venne dunque da me Canamèl, figlio di mio zio, secondo la parola del Signore, nell'atrio della prigione e mi disse: "Compra il mio campo che si trova in Anatòt, perché a te spetta il diritto di acquisto e a te tocca il riscatto. Compratelo!". Allora riconobbi che questa era la volontà del Signore [9] e comprai il campo da Canamèl, figlio di mio zio, e gli pagai il prezzo: diciassette sicli d'argento. [10] Stesi il documento del contratto, lo sigillai, chiamai i testimoni e pesai l'argento sulla stadera. [11] Quindi presi il documento di compra, quello sigillato e quello aperto, secondo le prescrizioni della legge. [12] Diedi il contratto di compra a Baruc figlio di Neria, figlio di Macsia, sotto gli occhi di Canamèl figlio di mio zio e sotto gli occhi dei testimoni che avevano sottoscritto il contratto di compra e sotto gli occhi di tutti i Giudei che si trovavano nell'atrio della prigione. [13] Diedi poi a Baruc quest'ordine: [14] "Dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Prendi i contratti di compra, quello sigillato e quello aperto, e mettili in un vaso di terra, perché si conservino a lungo. [15] Poiché dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Ancora si compreranno case, campi e vigne in questo paese". 

    E’ una situazione paradossale: la città è cinta di assedio, Geremia è in prigione, ma esercita il diritto di prelazione nella compravendita di un campo appartenente alla sua famiglia. E’ evidentemente un gesto simbolico: comprare un campo mentre sembra tutto finito. Dopo l’acquisto, secondo l’uso ebraico di cui abbiamo conoscenza grazie ai documenti trovati a Qumram, il contratto viene chiuso in un vaso di creta perché si conservi a lungo. L’acquisto del campo e la conservazione del documento, sono gesti pieno di speranza che vengono spiegati subito dopo: “Si compreranno ancora casa, campi e vigne”. Il vero profeta non dice solo parole, ma compie gesti che fanno intravedere il ritorno del popolo di Israele dalla schiavitù. Dio sancirà un’alleanza nuova, caratterizzata dall’interiorità della Legge ormai scritta nel cuore e non su tavole di pietra. 

3. Le promesse da rinnovare e il “qui ed ora” della nostra vocazione: come consolare? 
Il Giovedì Santo, nella Messa Crismale, riascolteremo le parole con cui la liturgia ci chiede di rinnovare la nostra adesione a Cristo e di esercitare fedelmente il nostro  ministero. Ma ogni anno, nel “qui ed ora” del nostro tempo e della nostra storia, sentiamoci interpellati in maniera diversa. Io credo che il Signore e la Chiesa oggi ci chiedano di rinnovare la fedeltà ad un ministero di consolazione, simile a quello di Geremia, il profeta che “sa cosa fare” anche nei momenti difficili. 
     Il Signore ci chiama ad aprire gli occhi su tante situazioni: ci sono anzitutto le morti, con i vuoti che hanno lasciato in tante famiglie. Guardiamo alla Terra, segnata dalla pandemia e la guerra, un mondo malato in cui abbiamo avuto la pretesa di vivere da persone sane, come ci ha ricordato papa Francesco, ma un mondo che non ha imparato nulla dall’epidemia, perché ora non è il virus ad uccidere, ma le bombe. Ma quanti di noi hanno imparato dalla pandemia? Di cosa abbiamo fatto tesoro? Sotto i nostri occhi ci sono poi le disuguaglianze sociali che sono quelle della nostra terra e del mondo intero, sulle quali il papa ci ha invitato ad aprire gli occhi con la Fratelli tutti, riproponendo in chiave interreligiosa la parabola evangelica del Buon Samaritano. C’è poi una situazione sociale di scarsa fiducia nel futuro, caratterizzata dall’inverno demografico, che è frutto non solo della pandemia, ma di una progettualità sulla famiglia che è quasi assente nelle nuove generazioni, per motivi economici e culturali: l’annuncio del Vangelo della famiglia si fa urgente. Sta emergendo la questione dei giovani come persone da “consolare” per deficit di speranza sul loro futuro e perché vittime di un consumismo che sta svuotando chi non ha il supporto di educazione ed accompagnamento. Altro che la siccità di Gerusalemme e l’assedio! Eppure la nostra missione continua, e l’annuncio della nuova alleanza che si è realizza in Cristo è posta sulle nostre labbra e richiede gesti profetici anche da noi!
     Geremia ci insegna ad aprire il cuore a queste problematiche e alle ansie del mondo contemporaneo. Il Signore Gesù fa di più, perché ha compassione della folla:“E Gesù, sbarcato, vide una grande folla e ne ebbe compassione, perché erano come pecore senza pastore; e prese a insegnare loro molte cose.” (Mc 6,34).Non apro lo scenario di una nuova condizione del cattolicesimo che si profila nel futuro, ma semplicemente sento che dobbiamo raccogliere la sfida di questo cambiamento epocale, cominciando dalla comprensione di tutto in spirito di fede e dalla condivisione delle domande della nostra gente. Lo richiede la grandezza della nostra vocazione, tesoro posto in vasi di argilla. 

    Da qui nascono alcuni atteggiamenti
  Vivere la preghiera e la celebrazione dei sacramenti come un tempo in cui sperimentiamo la consolazione di Dio: è la dinamica di una vita spirituale nella quale riceviamo per poter dare. La fedeltà alla preghiera quotidiana non solo in termini quantitativi ( il breviario è a posto! Anzi, non usiamo più questa parola riduttiva, perché è liturgia delle ore!), ma qualitativi, di un dialogo con il Signore che gli permette di toccare la nostra vita e di “consolarci”: “ Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio” (2 Cor 1, 3-4).

    Il secondo atteggiamento ce lo suggerisce la Spe salvi di Benedetto XVI, che ci dice che il “compatire” è il luogo di apprendimento della speranza. Ecco le sue parole, nutrite dalla citazione di san Bernardo: “Bernardo di Chiaravalle ha coniato la meravigliosa espressione: Impassibilis est Deus, sed non incompassibilis – Dio non può patire, ma può compatire. L'uomo ha per Dio un valore così grande da essersi Egli stesso fatto uomo per poter com-patire con l'uomo, in modo molto reale, in carne e sangue, come ci viene dimostrato nel racconto della Passione di Gesù. Da lì in ogni sofferenza umana è entrato uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; da lì si diffonde in ogni sofferenza la con-solatio, la consolazione dell'amore partecipe di Dio e così sorge la stella della speranza” (Spe salvi, 39).La speranza, nella mia comunità, nasce dalla mia capacità di compatire, dall’ascolto, dalla ricerca condivisa delle attese dei poveri. Credo che dovremmo valorizzare maggiormente il sacramento della riconciliazione, come tempo nel quale creare una relazione spirituale, nella quale non si ha la fretta di ascoltare la confessione dei peccati, ma si aiuta la persona a cercare il Signore e ad orientarsi nelle scelte di vita. Da questo punto di vista la confessione dei ragazzi e degli adolescenti, che sembra la più semplice e a volte viene vissuta con una certa routine, va valorizzata negli anni dell’iniziazione cristiana, non certamente con un fare inquisitorio, ma dialogico, che aiuti la giovane persona a saper scrutare i propri sentimenti, e a guardare alla vita come a un cammino di sequela. In questo accompagnamento tanti scoprono la loro vocazione! Questo ministero richiede tempo e sapienza. 
      Ma tutto questo non può realizzarsi senza un serio esame di coscienza, così come nella rinnovazione delle promesse battesimali c’è la rinuncia a Satana, così dobbiamo fare la nostra rinuncia alle malattia dell’“impietrimnento” mentale e spirituale e dell’alzhaimer spirituale. E aggiungo, anche allo stile di vita: un’auto, un vestito, la frequenza nei locali, sono uno schiaffo alla povera gente e rendono torpido come il grasso il nostro cuore! Il nostro ministero è chiamato a “contagiare” altre persone, soprattutto nel mondo dell’associazionismo, che resiste e va aiutato a formarsi e a testimoniare la speranza, in un ministero di consolazione che nel laicato riveste svariate forme. Ma la gente, se non ci vedrà credibile, semplice, umile, sobria, non crederà alle nostre parole! 
    Vi auguro di poter sperimentare la carezza di Dio che è la sua consolazione, il suo incoraggiamento in tutto ciò che vi angustia; vi auguro di poter sperimentare come Giuseppe di Nazareth, il coraggio creativo di chi guarda al futuro e sa dare forma alla fantasia dello Spirito. Vi auguro che possiate vivere giorni di consolazione perché la gente ha bisogno di voi, ministri di Dio per cui si è pregato, atteso e a cui la gente guarda con speranza. E non vi pesino gli anni! 
Ricordate Don Tonino Bello, che una volta disse ai suoi seminaristi: 
“Noi nasciamo vecchi, bisogna cercare di morire giovani. 
Dobbiamo vivere nel presente come uomini venuti dall’avvenire”