Bologna, chiesa di San Giovanni in Monte
10/04/2022
10/04/2022
Gesù entrando nella Città Santa cavalca un asino. Non un cavallo, ma l’animale della semplice gente comune, quella della campagna. Non è nemmeno suo. Lo chiede in prestito. Non si presenta certo come gli uomini importanti, quelli dei saluti nelle piazze e delle apparenze. Non è annunziato da persone che preparano e impongono. Per la nostra generazione è l’invisibile e indispensabile sostegno mediatico, la fabbrica delle notizie che costruisce profili, orienta le masse, crea consenso e allo stesso tempo distrugge con poco, a libro paga degli interessati.
Gesù non si esibisce come amano fare gli uomini di potere, mostrando la forza di sicurezze esteriori per difendersi e sentirsi sicuri. Si presenta proprio come chiede ai suoi: grande perché serve. I discepoli capirono solo dopo che Gesù dava compimento all’annuncio dei profeti. Zaccaria, infatti, aveva detto: “Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto sopra un puledro d’asina” (Gv 12, 15; cfr. Zc 9, 9). Ma il testo continua e proclama che questo re “Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme; l‘arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti” (Zc 9, 10).
Ecco il re che accogliamo oggi, così diverso dai re di questo mondo, che portano la guerra perché si mettono d’accordo sui soldi ma poi litigano tra loro. Abbiamo bisogno di pace e di pace vera. Della pace, come tante altre cose, ce ne accorgiamo solo quando mancano! Accade perché siamo orgogliosi e fragili. Chi accoglie Gesù sono principalmente i bambini. Con gioia. Davvero se non diventiamo come loro non entriamo nel regno dei cieli. Convertirci è aprirci alla gioia, fare spazio a Gesù, liberandoci dalle tante tristezze dell’adulto, dallo scetticismo di Nicodemo, dalle tante interpretazioni intelligenti su di noi, quelle che spiegano tante cose di come siamo fatti, che indagano con raffinata intelligenza sulle cause, ma non sanno darci quello che serve per davvero, spiegarci come si rinasce, perché parlano molto dell’amore ma non lo vivono.
Dobbiamo diventare bambini lasciandoci riempire il cuore dal vento dello Spirito, quello che noi, che crediamo di controllare tutto, non sappiamo da dove viene e dove va. Lo Spirito è il vento che spazza le nebbie dell’amore per noi stessi, della tentazione di farci re da soli, di imporre il proprio io. Gesù ama e quindi si pensa per l’amato. Non si sacrifica: ama e quindi si sacrifica. Non ha paura. Ama e il suo amore è più forte della paura, ama più il prossimo che la paura. Gesù è figlio e si affida ad un padre, non un orfano che conta solo su se stesso e non vuole perdere nulla. Non lasciamoci intimorire dai farisei che vogliono azzittire i piccoli, infastiditi come il fratello maggiore per una festa di sola misericordia, sospettosi di qualsiasi entusiasmo, perché i farisei si entusiasmano solo per le loro apparenze, per le convenienze, per la loro considerazione e non per la gioia di bambini che fanno festa perché cercano la pace e riconoscono chi ama per davvero.
Viviamo giorni difficili, drammatici. Abbiamo bisogno della pace. Aspettiamo un re di pace, che non inganni, che non si imponga urlando. Ci accorgiamo della realtà, drammatica, pesante, che appare drammatica così com’è. Il mondo è un ospedale e la vita vera è segnata sempre dalla lotta contro il male. Questo ci spaventa perché ci chiede di scegliere. Abbiamo creduto che combatterlo fosse solo un fatto di perfezionamento individuale, in fin dei conti facoltativo tanto che possiamo vivere e scegliere come ci pare, perché in fondo il criterio è solo soggettivo e individuale. Il male invece è oggettivo, ci rende tutti fragili, contrappone l’amore per noi stessi a quello per il prossimo e per Dio.
Il male fa girare tutto intorno al nostro io. Chi ama si pensa per l’altro. Il male nasconde e rende difficile l’amore riempiendoci di paure, orgogli, rancori, chiusure, pregiudizi, banalità, di cose che finiscono per diventare più importanti delle persone. È il male che fa credere che “andrà tutto bene”, con la sorda convinzione che il male sia un’esagerazione, che si vince con poco, che basta capirlo.
Oggi, davanti a questa immensa sofferenza che ci raggiunge – quando muore un uomo muore il mondo intero – capiamo l’incredibile scelta di Gesù di farsi uomo. È il contrario della pandemia: un amore per tutti, la salvezza per tutti, l’arca di Noè nel diluvio, la nuova ed eterna alleanza.
La finitezza ci fa misurare quello che siamo non per umiliarci, per svuotarci, ma per essere forti nella debolezza, non deboli proprio perché ci crediamo forti. Ricordarlo non è motivo di tristezza, ma di consapevolezza, di gioia vera, non finta. Apriamo il cuore a questo Re di pace, che possiamo disprezzare per idolatrare qualche potente di turno ma che è l’unica pace perché affronta il male e lo vince. Egli farà sparire i carri da guerra e i cavalli da battaglia, spezzerà gli archi ed annuncerà la pace.
Guardiamo a Lui, che sarà innalzato sull’albero della croce, per essere salvi. Papa Benedetto ha scritto: «La croce è l’arco spezzato, in certo qual modo il nuovo, vero arcobaleno di Dio, che congiunge il cielo e la terra e getta un ponte sugli abissi e tra i continenti. La nuova arma, che Gesù ci dà nelle mani, è la Croce – segno di riconciliazione, di perdono, segno dell’amore che è più forte della morte. Ogni volta che ci facciamo il segno della Croce dobbiamo ricordarci di non opporre all’ingiustizia un’altra ingiustizia, alla violenza un’altra violenza; ricordarci che possiamo vincere il male soltanto con il bene e mai rendendo male per male». La Croce è Dio che rende l’uomo uomo pienamente amato, forte della vera forza di Dio e dell’uomo: l’amore. Non troviamo la vita impadronendoci di essa, ma donandola. L’amore è donare se stessi. Lasciamoci commuovere dall’amore anche se il mondo lo uccide con la forza della guerra e della sua terribile disumanità. In questa Pasqua così vera passiamo dall’amore per noi stessi all’amore per Gesù e per il prossimo per rinascere ad una vita nuova, per liberare il mondo dal demone del male, per costruire la pace, per essere fratelli tutti con Gesù, nostro fratello.
Il ramoscello di ulivo che abbiamo tra le mani è gioia di accoglierlo e scelta di essere artigiani di pace.
Ci aiuti Maria, nostra Madre e Madre di Dio affidata a ciascuno di noi. Con la sua intercessione facciamo nostra la preghiera di Papa Francesco: «Tu, stella del mare, non lasciarci naufragare nella tempesta della guerra. Tu, arca della nuova alleanza, ispira progetti e vie di riconciliazione. Tu, “terra del Cielo”, riporta la concordia di Dio nel mondo. Estingui l’odio, placa la vendetta, insegnaci il perdono. Liberaci dalla guerra, preserva il mondo dalla minaccia nucleare. Regina della famiglia umana, mostra ai popoli la via della fraternità. Regina della pace, ottieni al mondo la pace».
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Veglia delle Palme
Servizio 12 porte
Omelia Veglia delle Palme - Bologna, basilica di San Petronio - 09/04/2022
Viviamo tutti in una notte profonda, che avvolge la vita di tanti, ombra di morte che segue i passi degli uomini e per la quale è sorto dall’alto il sole che sorge. È una notte che spegne la vita di tanti. La campana suona per ognuno di noi, perché la loro morte ci ricorda che siamo parte della stessa umanità e quindi chiunque esso sia richiama la nostra umanità. E se non la sentiamo, la ignoriamo, pensiamo non ci riguardi, restiamo noi con l’amara solitudine dell’inferno, della vita che si chiude in se stessa perché non sa aprirsi nell’amore.
La notte scende nel cuore, lo fa smarrire, lo riempie di rassegnazione, disperazione, rabbia, finisce per non riconoscere più il prossimo. Eppure noi siamo fatti per la luce, veniamo alla luce, cerchiamo la luce. Se la guerra è la notte che spegne la vita, la pace è luce che la accende tutta, la permette, desidera e prepara il futuro. Quanto abbiamo bisogno di Gesù, luce del mondo, in questa notte di pregiudizi che oscurano l’altro, di nazionalismi che giustificano l’odio e lo producono, di irrazionale e compulsiva affermazione di sé!
Nella notte cerchiamo sentinelle del mattino, testimoni della verità e del bene, di amore gratuito, di sentimenti umani per tutti, di persone che non si lasciano irretire dal potere del male, dalla sua logica spietata, disumana e disumanizzante.
La Settimana Santa che inizia oggi la viviamo con un’intensità tutta particolare. Capendo la notte, capiamo la grandezza dell’amore di Gesù. Gesù si lascia deporre in una terra di morte e si lascia innalzare sulla croce perché gli uomini morsi dal serpente del male non muoiano. Dopo il buio della pandemia del Covid sperimentiamo la notte dove vince quello che Gesù chiama il “potere delle tenebre” (Lc 22,53), la pandemia della guerra che irride la vita, rende il nostro fragile e bellissimo fiore oggetto, priva di qualsiasi dignità la persona.
Il potere delle tenebre viola e cancella la vita, spegne i sentimenti più ordinari, fa morire la pietà, eccita l’orgia dell’affermazione di sé, l’euforia delle armi e della violenza, come in una droga di forza che stordisce e acceca. Ma sempre chi di spada ferisce di spada perisce, perché la spada non può dare la vita, la toglie solamente. Ecco, capiamo la notte che vive Gesù, vittima per le vittime (Mt 27,45), quando a “mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio”.
Chiediamo luce come Nicodemo per cambiare questo mondo vecchio, segnato da odore di morte e da troppe luci finte, ingannevoli, alleate delle tenebre. “Tutta la nostra vita è come questa lunga notte di lotta e di preghiera”, disse Papa Benedetto XVI. Proprio come Nicodemo che ci ha accompagnato in questi mesi e ci ha portato ad incontrare di nuovo Gesù, paurosi come siamo, scettici in fondo, presi dalla “stanchezza della speranza”, condizionati dalla nostra presunzione ed esperienza, ma anche mendicanti di futuro, di protezione, di senso. Nicodemo ci ha portato da Gesù proprio di notte, in un’ora inaspettata, come questa e ci ha fatto capire come Gesù aspettava proprio noi, ci accoglie, ascolta e parla, non ci manda via, ci guarisce dalla rassegnazione e ci insegna a cercare la luce vera di un amore fino alla fine.
Alla fine dell’esistenza non ci aspetta la notte, il naufragio, perché Gesù è la luce e “in noi palpita un seme di assoluto”. “Avvolto di notte entrai nel tuo cielo con bende di vento fasciasti la carne mia ruvida sorda con voce rugiada bagnasti la terra mia polvere secca”, scrive don Maurizio Mattarelli di Nicodemo. Dopo l’incontro con Gesù capisce poco alla volta che per rinascere bisogna morire, affrontare il limite, il male, la morte. Accetterà di rinunciare alla sua posizione sociale, sceglierà poco alla volta di seguire Gesù e di stare con Lui, comprenderà pienamente la grandezza del suo amore sotto la sua croce.
Seguiamolo anche noi, non perché abbiamo capito tutto ma perché conquistati da un amore così grande, raggiunti da quel vento che non smette di rinnovarci, di donare l’innocenza a dei peccatori come siamo. Volgiamo il nostro sguardo a Colui che hanno trafitto, Gesù. Le immagini di morte che ci raggiungono dall’Ucraina sono stazioni della via dolorosa di Gesù. Esse ci chiedono di restare con Lui e con loro, di stamparle nel cuore, di cambiare dissociandoci da un mondo come questo, anche negli atteggiamenti esteriori. Lasciamoci conquistare da Lui e con Lui costruiamo e difendiamo la pace. “Di fronte al pericolo di autodistruggersi, l’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia”. Questo momento dipende da noi e inizia in noi. Aiutiamo a costruire come Noè questa arca che protegge i piccoli, custodisce la vita, arca di Fratelli tutti dove “non si impara più l’arte della guerra” (Is 2,4). Non pensiamo di salvarci scappando o preoccupandoci solo di noi. Il vero ramoscello di ulivo è Gesù, la nostra pace che abbatte i muri di divisione. Chi ama Lui ama il prossimo. Soffriamo con chi soffre e lo possiamo fare solo per amore e perché c’è tanta insopportabile sofferenza che chiede compassione, di farla nostra, di essere anche solo condivisa, perché la sofferenza da soli o nell’indifferenza è insopportabile.
Il ramoscello di ulivo che abbiamo sia come l’arcobaleno dell’alleanza di pace e lo sia il nostro cuore mite, artigiano di pace, esso stesso un ramoscello di ulivo offrendo simpatia immensa a tutti, specie chi è sofferente. Porgiamolo a tutti. Regaliamolo con l’amabilità che annulla la divisione e fa vedere che l’umanità non è finita e diventa riflesso di quella che Dio ci ha messo dentro e che la pandemia vuole cancellare. Che nel ramoscello che abbiamo tra le mani, nel cuore, negli occhi, nelle orecchie, sulla bocca, tutti possano vedere che è finito il diluvio. C’è un grande bisogno di persone vere, di amore concreto, di buone notizie che liberino dalle fake news che tanto confondono.
Non parliamo di pace, facciamo la pace. Portiamo pace dove c’è divisione; chiediamo e diamo perdono; circondiamo di compagnia chi è solo; disarmiamo i cuori violenti o semplicemente duri o maleducati con la fermezza dell’amore forte, intelligente, umano, semplice. E sarà luce nella notte.