Domenica del Corpus Domini - A
Eucaristia, comunione e fraternità
a cura della Fraternità Carmelitana
di Barcellona P.G.
1. Ascolto orante
del vangelo di Giovanni (6,51-58).
1.
La Domenica del Corpus Domini ci fa
sostare ancora nel clima del tempo pasquale. Il Corpus Domini, che segue la Domenica della SS. Trinità, continua ad
aprire il nostro sguardo alla contemplazione del Dio cristiano, il quale manifesta
la sua presenza nella storia degli uomini come Dio che è Comunione e Relazione nel
corpo donato per la vita del mondo
del suo Figlio Gesù.
Il “corpo” e la “carne”, riferiti al
Figlio Gesù, indicano la totalità della persona vista nella sua dimensione di
umanità debole e fragile (“carne”) e nella sua dimensione di relazione
(“corpo”), poiché – lo sappiamo – è con il “corpo” che l’essere umano comunica
e si relaziona con gli altri esseri umani, con tutte le altre creature e con il
creato. Perciò è nel corpo donato del Figlio Gesù, fatto pane vivente per la
vita del mondo, che si rivela il volto di Dio Comunione e Relazione.
Con questa consapevolezza entriamo,
allora, nella nostra liturgia domestica
e apriamo con fiducia il vangelo di Giovanni al cap. 6. Facciamo una breve pausa di silenzio, chiedendo allo Spirito
che ci apra alla comprensione di questo scritto che contiene la Parola di Dio
per noi oggi.
Adesso leggiamo
attentamente e con calma la pagina del cap. 6 dal verso 51 fino al verso 58.
2.
Siamo di fronte ad un passaggio importante del grande discorso sul Pane di vita
che Gesù pronuncia nella sinagoga di Nazareth (luogo di ascolto e di
spiegazione della Parola di Dio), dopo l’evento della condivisione dei cinque
pani d’orzo e dei due pesci a favore di una folla numerosa (cf. Gv 6,1-13). Il grande
discorso di Gesù è mosso dalla richiesta dei presenti riguardo al pane di Dio
donato per la vita del mondo («Signore, donaci sempre questo pane»: Gv 6,34), a
cui lui aveva poco prima accennato (cf. Gv 6,32-33), e si dispiega – con
momenti di dialogo – dal versetto 35, fino al versetto 66.
Il discorso è articolato in tre parti.
Nella prima, Gesù si presenta come il vero pane donato da Dio, a cui bisogna dare
la nostra adesione, su cui porre la nostra fede-fiducia (cf. Gv 6.35-47). Nella
seconda, Gesù afferma che è la sua persona umana relazionale a comunicare la
vita di Dio al mondo (cf. vv. 48-59). Nella terza, rivolta ai discepoli, Gesù
afferma che le sue parole non sono “dure”, perché donano lo Spirito e la Vita
di Dio (cf. vv. 60-66).
3.
La liturgia di questa domenica si sofferma sulla seconda parte del discorso, in
particolare sui versetti 51-58. Qui Gesù con chiarezza afferma che per avere la
vita di Dio che è vita di comunione,
bisogna mangiare il pane che è la sua “carne”
e bisogna bere il suo “sangue”. Non
si tratta di antropofagia o cannibalismo, ma – come avevano ben compreso i
presenti, i quali rimangono molto perplessi – di due eventi fondamentali della
vita di Gesù: l’Incarnazione e la Pasqua.
- Nell’Incarnazione, Gesù, Parola di Dio e Figlio
di Dio, assume la nostra condizione umana debole e fragile (“carne”), e abita
la nostra complessa storia umana, mostrando, attraverso la sua umanità, il
volto di Dio e compiendo le opere di Dio. «Il verbo si è fatto carne e venne ad
abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14); egli, «a quanti lo hanno accolto, ha dato il
potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12) e di lasciarsi generare da Dio (cf.
Gv 1,13).
- Nella Pasqua, Gesù, fedele al progetto del
Padre, dona tutta la sua esistenza, tutta la sua vita (“carne” e “sangue”), per
far nascere un’umanità nuova. E infatti, dalla Croce Gesù dona lo Spirito (cf.
Gv 19,30) e dona la Vita di Dio («sangue ed acqua» escono dal suo fianco
trafitto: Gv 19,34) per l’umanità; sotto la Croce nasce la Chiesa, nel segno dell’accoglienza
reciproca, della comunione vitale tra la Madre e il discepolo amato (cf. Gv 19,26-27)
– figura esemplare di tutti i discepoli – che nella cena pasquale pose il suo
capo sul grembo di Gesù, come segno di comunione intima e profonda (cf. Gv 13,25).
Ebbene, Gesù suscita la perplessità dei
presenti, perché sta affermando che la salvezza viene dal dono di sé di un uomo normale, di un uomo debole e fragile.
Per i presenti questo è intollerabile, anzi è un sacrilegio. I presenti
rifiutano l’Incarnazione come presenza di un Dio che si fa umano e rifiutano la
Croce come evento Pasquale di salvezza. Per loro il segno che rimanda alla
Parola che salva è la manna, che Dio
donò nel deserto (cf. Gv 6,49.58).
Invece i progetti di Dio
non si omologano ai pensieri degli umani. Nei progetti di Dio, la Parola rimane
sempre la Parola che salva, ma ora avviene una svolta dalla quale non si
ritorna indietro: questa Parola che in Gesù si è fatta umanità e che nel
Corpo-carne-sangue di Gesù si fa pane vivente che dona al mondo la vita, questa
stessa Parola apre al mondo la salvezza,
cioè la possibilità concreta di vivere le relazioni umane nella prospettiva
della comunione, della condivisione,
della fraternità-sororità. Per dirla con altre parole: il Cristo, pane
vivente, sazia la nostra fame di
comunione, di condivisione, di solidarietà.
Per questo l’apostolo Paolo (leggi la
seconda lettura: 1Cor 10,16-17) sottolinea con chiarezza che mangiare il “pane
spezzato” (cioè donato e condiviso) e bere al calice del vino-sangue significa
entrare in un rapporto di comunione
interpersonale con il Corpo di Cristo Gesù, vale a dire diventare anche noi,
pur essendo molti, il corpo di Cristo, ovvero la sua Chiesa, il suo popolo, e nello
stesso tempo entrare in comunione con
tutta l’umanità, perché per tutti
Cristo è morto e risorto.
Ed è significativa anche la pagina del
Deuteronomio (leggi la prima lettura: Dt 8,2-3.14-16), dove Dio si è fatto
compagno di viaggio del suo popolo nel faticoso cammino nel deserto. E in che
modo? Innanzitutto, aiutandolo a fare discernimento
dei pensieri e dei progetti che il popolo coltivava nel cuore, se erano
veramente conformi alla volontà di Dio. Poi nutrendolo della manna per saziare la sua fame e
donandogli l’acqua per saziare la sua
sete. Infine, ricordandogli che il cammino nel deserto è un cammino dove si
cresce nella libertà, e quella manna-pane disceso dal cielo aiuta a saziare la
nostra fame di libertà, e nel contempo ci libera da tutte le forme di
schiavitù, anche quelle di una religiosità infantile e immatura, fatta di paure,
di pregiudizi e di arcaiche purità rituali.
Ecco la valenza del dono di Cristo, pane
vivente per la vita del mondo, dono offerto a tutti, senza nessuna
discriminazione.
4.
L’unica condizione che Gesù pone è quella di ascoltare con cura la sua Parola, di sedersi con rispetto alla sua tavola, di accogliere questo pane come un dono e di mangiarlo, vale a dire di assimilare, di “metabolizzare” lo stile di vita di questo pane che, attraverso l’azione dello Spirito Santo, è stato
trasformato sacramentalmente nel Corpo di Gesù.
Se prestiamo attenzione, queste condizioni
delineano il momento culmine della Liturgia Eucaristica della S. Messa,
costituito dalla comunione al corpo del
Signore, dove i fedeli, accompagnati dal canto, si mettono in processione verso l’altare, processione
strettamente connessa con quella precedente della presentazione delle offerte,
accompagnata anch’essa dal canto.
Nel momento della comunione al Corpo del
Signore siamo chiamati, in obbedienza al comando di Gesù, “a prendere e a
mangiare” il suo Corpo («Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo
offerto in sacrificio per voi»). Come nella Liturgia della Parola –
sull’esempio del profeta Ezechiele (cf. Ez 3,13), del veggente dell’Apocalisse
(cf. Ap 10,8-11) e dei discepoli attorno alla mensa del Signore – abbiamo
“preso e mangiato” la Parola di Dio contenuta nelle S. Scritture, così ora nella
Liturgia Eucaristica “prendiamo e mangiamo” la “Parola fatta carne”, il Corpo
donato di Cristo.
Che cosa vuol dire “prendere”? Vuol dire “accogliere
un dono” con umiltà, rispetto e gratitudine come pellegrini e mendicanti; e
in effetti, la processione verso l’altare indica proprio questo: Cristo si fa
pane per l’umanità pellegrina e mendicante in cammino nel mondo e verso il
Regno di Dio che viene.
Che cosa vuol dire “mangiare”? Vuol dire assimilare,
interiorizzare, “metabolizzare” lo stile di vita del Corpo donato del
Signore Gesù, facendo nostre le sue scelte, le sue attenzioni, rendendo più
autentiche, più vere e più umani e umanizzanti le nostre relazioni con gli
altri, così come ha fatto lui, vivendo come figli e figlie e come fratelli e
sorelle, così come ha vissuto lui.
5.
Ora, che “prendere” voglia dire “accogliere”, è testimoniato dal fatto che, a
partire dal III secolo fino a tutto il Primo Millennio, era prassi rituale
nelle Chiese latina e orientale al momento della comunione ricevere il pane
consacrato nelle mani, stando in piedi (poiché siamo figli della
risurrezione), stendendo le mani in avanti e ponendole a forma di croce come un trono (sotto la mano sinistra la mano destra
e con questa prendere il pane consacrato e comunicarsi).
Ci sono numerose catechesi mistagogiche dei
padri della chiesa (oggi facilmente accessibili) che mettono in risalto il
significato spirituale ed esperienziale del prendere-ricevere e portare alla
bocca e di rispondere “Amen”. Le riassumiamo così.
Prendere-accogliere
nella mano
il corpo del Signore impegna tutti a lasciare che sia lui a purificare le
modalità sporche e disumane del nostro agire:
se il nostro agire è spesso opaco, ambiguo, disonesto, violento, arrogante,
superbo, ricevendo il corpo del Signore, “farmaco di immortalità”, deve
diventare “pulito” dentro, trasparente, sincero, leale, onesto, umile, mite,
dialogante, costruttivo…
Portare
alla bocca
(o anche riceverlo direttamente nella bocca) il corpo del Signore impegna tutti
a lasciare che sia lui a purificare le modalità sporche e disumane del nostro comunicare: se il nostro comunicare
spesso vomita calunnie, menzogne, odio religioso, etnico e razziale, volgarità
omofobe e misogini, ricevendo il corpo del Signore, “farmaco di immortalità”, deve
diventare “pulito” dentro, deve dire la verità, deve amare il prossimo come se
stesso, cioè sentendolo parte di sé, della sua umanità, deve saper dire parole
di comunione, di fraternità e di giustizia.
Rispondere
“Amen”,
prima di prendere-accogliere e portare alla bocca il Corpo di Cristo, significa
fondare la propria vita sulla sua, diventando anche noi corpo di Cristo, come
persone e come Chiesa popolo di Dio, ma anche come creature umane, poiché
Cristo, che ha assunto la nostra umanità debole e fragile, è morto per la
salvezza di tutta l’umanità, facendo di ogni uomo e donna un nostro fratello e
una nostra sorella.
6.
Purtroppo, con l’inizio del Secondo Millennio la prassi rituale descritta sopra
è stata progressivamente abbandonata e si è introdotta quella del ricevere la
comunione in ginocchio e direttamente in bocca. Nel contempo la comunione
durante la celebrazione eucaristica andava via via estinguendosi per
privilegiare la comunione spirituale, anche perché della Messa il momento sul
quale porre quasi tutta l’attenzione era la consacrazione e il vedere l’Ostia
innalzata dal sacerdote. E così viene sempre meno la partecipazione attiva dei
fedeli, si accentua nei fedeli il sentimento della propria indegnità a scapito
della gioia del comunicare all’eucaristia, si perdono l’eloquenza di quei gesti
che sono significativi per una celebrazione eucaristica che è convinto alla
cena del Signore Sposo e Agnello, il quale è Lui stesso che invita al banchetto
pasquale per donarsi Lui stesso in cibo e bevanda.
Nella Chiesa cattolica latina l’uso di
poter ricevere il pane consacrato nelle mani è stato reintrodotto da alcuni
decenni, ritornando così alla prassi del Primo Millennio e mantenendo nel
contempo l’uso di poter ricevere la comunione direttamente nella bocca, senza
ritenere come indegna la mano…
O mistero di
salute
che dal Padre ci è
donato,
sua Parola fatta
carne,
vero cibo di ogni
uomo.
È venuto sulla
terra
a sconfiggere la
morte,
fatto carne sangue
vita,
consegnato
dall’amore.
Or per nascita è
compagno,
per la mensa è
nutrimento,
e riscatta per la
morte,
nostro premio per
il Regno.
Pur vittima
essenziale,
che riassume tutto
l’uomo:
nell’amore dei
fratelli
il mistero ancor
rivela.
Gesù Cristo,
nostro amico,
dona a tutti noi
il tuo amore:
o fratello e
insieme Dio,
per te grazie lodi
e gloria.
(Davide Turoldo)
Preghiamo adesso con il Salmo 147, che loda Dio perché si prende
cura del suo popolo nutrendolo del suo pane.
2. Intercessioni
Fratelli e sorelle, la Parola
del Signore e la mensa del suo Corpo e del suo Sangue fanno di noi un corpo
solo: la sua Chiesa. Uniti strettamente al Signore Gesù come tralci alla vite,
innalziamo al Lui con fiducia le nostre preghiere ed insieme diciamo:
R/ Donaci la tua vita, Signore
Fa’, o Signore Gesù, che la tua
Chiesa, tuo Corpo, possa essere sempre più conforme al mistero che celebra.
Tutta la sua vita, il suo modo di organizzarsi, il suo stare in questo mondo
sia sempre un perenne rendimento di grazie al Padre tuo, donatore di ogni bene,
perché tutti abbiano a saziarsi. Preghiamo.
- Guarda, o Signore Gesù, il
cammino di tutte le Chiese cristiane, che ogni domenica si radunano nel tuo
Nome per ascoltare la tua Parola e cibarsi del tuo Corpo donato. Fa’ che cresca
in ognuna di esse il desiderio di comunione con le altre confessioni e la
volontà di superare le reciproche incomprensioni. Preghiamo.
- Volgi, o Signore Gesù, il tuo
sguardo su questo mondo che tu ami. Sii vicino a quei due terzi dell’umanità,
che riesce a stento a sopravvivere. Abbatti l’arroganza dei potenti, suscita
nel cuore dei governanti un vero impegno, perché risorse e mezzi siano messi a
disposizione dei più deboli e degli esclusi. Il tuo Santo Spirito guidi le
menti degli scienziati verso il rispetto della vita e di ogni essere umano.
Preghiamo.
- Ti affidiamo, o Signore Gesù,
il nostro Paese e questa faticosissima ripartenza sociale ed economica.
Illumina i politici, perché abbiano il coraggio di scelte, che aprano al futuro
e non si limitino a curare l’andamento dei sondaggi elettorali. Dona a noi e ad
ogni cittadino e ad ogni cittadina un maggior senso di responsabilità nei
confronti del bene del Paese, che è il bene di tutti. Preghiamo.
- Davanti a te, Signore Gesù
Pane di Vita, assieme ai nostri parenti e amici defunti, ci ricordiamo delle
vittime del coronavirus [pausa di
silenzio, e poi riprendere a leggere →];
ci ricordiamo anche di coloro che muoiono di fame perché non hanno cibo a
sufficienza. Dona a tutti, o Signore Gesù, di entrare nel tuo Regno e di gustare
il tuo banchetto di vita e di pace. Preghiamo.
-
Pregare il Padre Nostro…
-
Concludere con la seguente preghiera:
Signore Gesù, che ci hai
lasciato come memoriale il segno semplice ed eloquente del “pane spezzato” e
del “calice versato”, segni di una vita donata e condivisa, fa' che viviamo
sempre con intensità e riconoscenza il sacramento dell’Eucaristia, in comunione
con tutti i nostri fratelli e sorelle nelle fede e in umanità. Te lo chiediamo
perché tu sei nostro Signore e Fratello, pane vivente nei secoli dei secoli.
AMEN
- PREGARE IN FAMIGLIA - Preparare in casa l’“angolo della preghiera” a cura della Fraternità Carmelitana di Barcellona P.G.