Se l’alternativa è amare gli altri
di Enzo Bianchi
Foto di Toa Heftiba su Unsplash |
La Repubblica - Altrimenti 22 giugno 2020
Altrimenti: chi pensa e comprende il mondo così, è anche capace di vivere altrimenti. In questo senso, è universale una legge deducibile dall’esperienza: quando non si vive come si pensa, si finisce per pensare come si vive! Ma da dove nasce una vita “altra”, alternativa? Essenzialmente dal fatto che “la terra non basta”. Proprio quando sperimentiamo questo – e prima o poi capita a tutti –, allora noi umani sogniamo una terra altra, un nuovo cielo e una nuova terra.
L’altrimenti è stato espresso nella storia attraverso la categoria della profezia, anche in ottica laica: il profeta intravede ciò che ancora non c’è e indica una possibilità di abitare la terra altrimenti, soprattutto nel senso di una convivenza non più minacciata da violenza, ingiustizia, oppressione… Per fare questo la profezia deve anzitutto far uscire dal rimosso ed esprimere tutto ciò che contraddice l’umanizzazione. In altri termini, deve mettere in atto una contestazione che sia un’operazione di verità radicale e, come tale, consenta l’apertura di una strada verso una situazione altra, inedita.
Più in particolare, tanti sono i modi di vivere altrimenti che sono apparsi e appaiono nelle varie culture. Si tratta di utopie, cioè di indicazioni di non luoghi, secondo l’etimologia di questa parola? Oppure di esperienze utopico-pratiche, quali realizzazioni parziali, e tuttavia parabole eloquenti di uno scopo capace di rendere dinamica la vita personale e quella della polis? Non sto pensando a vite eroiche o eclatanti, ma a esistenze quotidiane di uomini e donne che si declinano come vere opere d’arte, secondo le belle parole di Paul Verlaine: “La vita umile dai lavori uggiosi e facili è frutto d’una scelta che richiede molto amore”.
Ecco allora emergere una possibilità di vita altra, praticata da sempre e ancora oggi, anche se da minoranze. In questo breve spazio posso solo tracciare una sua esigenza irrinunciabile, da cui discendono tutte le altre: dare il primato all’amore rispetto alla legge. È vero che ogni communitas abbisogna di una legge e che la libertà di ogni suo membro necessita di un limite alla soggettività e all’arbitrio, quale riconoscimento dell’altro. Se c’è un legame, c’è anche una legge che lo regola. Tuttavia, resta sempre possibile far regnare l’amore sulla legge necessaria, non certo contraddicendo la legge ma inverandola in modo creativo e rispettoso della libertà.
Si può vivere altrimenti, all’insegna di un’abbondanza della gratuità, della non reciprocità rispetto alla legge, e soprattutto ponendo all’interno della giustizia l’istanza del perdono e della riconciliazione. Solo così è generata la possibilità della com-passione, del soffrire con l’altro, vera opera d’arte dell’amore. Non è un caso – e lo dico da uomo e da cristiano – che Gesù di Nazareth, nel consegnare un mandato ai suoi seguaci, abbia lasciato come sintesi finale “il comandamento nuovo”, cioè ultimo e definitivo, dopo il quale non ve ne sono altri: “Amatevi gli uni gli altri”. Questo è sempre possibile, sotto ogni cielo. Questa la fonte della vita “altra”.
Pubblicato su: La Repubblica