Pakistan: altre 187 Asia Bibi in attesa di giudizio.
Ncjp, “legge sulla blasfemia strumento per colpire le minoranze”
Attualmente sono 187 i casi di cristiani accusati di aver profanato il Corano o diffamato Maometto. Il dato viene fornito al Sir dalla Commissione nazionale giustizia e pace (Ncjp) della Conferenza episcopale pakistana. La legge sulla blasfemia, ricorda la Commissione, “limita fortemente la libertà di religione e di espressione. Nella quotidianità, infatti, viene spesso usata come strumento per perseguitare le minoranze religiose”. Il caso di Sawan Masih, condannato a morte
Pakistan: Manifesto della Ncjp contro la legge sulla blasfemia (Foto Sir/Rocchi)
(Per il Sir: Daniele Rocchi da Lahore 13/02/2019)
Sawan, Zafar, Shamshad, Amoon, Nabil, Shafqat, Qaiser, Shagufta, e altri ancora: in Pakistan la vicenda di Asia Bibi non è un caso isolato. Secondo la Commissione nazionale giustizia e pace (Ncjp) della Conferenza episcopale pakistana, sono attualmente 187 i casi di cristiani accusati di aver profanato il Corano o diffamato Maometto.
Commissione nazionale giustizia e pace (Ncjp)
Una situazione allarmante, che non riguarda solo i cristiani. Dal 1987 alla fine del 2017, le persone accusate di blasfemia sono 1.534. Di queste 774 sono musulmane, 501 ahmadi (minoranza islamica), 219 cristiane, 29 indù e 11 di altre fedi. I numeri sono emersi durante un incontro a Lahore tra una delegazione di Aiuto alla Chiesa che soffre – Italia (Acs), guidata dal direttore Alessandro Monteduro, e una rappresentanza della Ncjp, coordinata dal direttore esecutivo Cecil S. Chaudhry. L’incontro, cui era presente anche il Sir, è servito per fare il punto sulla condizione dei cristiani in Pakistan a partire proprio dalla contestata legge sulla blasfemia che, secondo la Ncjp,
“limita fortemente la libertà di religione e di espressione. Nella quotidianità, infatti, viene spesso usata come strumento per perseguitare le minoranze religiose”.
La legge sulla blasfemia è un’eredità dell’ordinamento dell’Impero britannico del 1947, anno di nascita dello Stato pakistano. Inizialmente la norma (art. 295 del Codice penale) prevedeva il carcere o una sanzione amministrativa per chi “dolosamente e deliberatamente oltraggi, con parole, scritti o altre rappresentazioni, qualsiasi religione”. Risale al 1986 l’aggiunta di due commi, il 295 B che prevede l’ergastolo “per chi offende il Corano o ne danneggi una copia in tutto o in parte o lo utilizzi per scopi illeciti” e il 295 C che commina “la pena capitale o carcere a vita e/o multa per chiunque offenda il nome o la persona del Profeta Muhammad con parole, scritti o altre rappresentazioni”. Dal 1990 per il comma 295 C viene applicata solo la pena di morte.
Esemplare è la vicenda di Asia Bibi, la donna cristiana di Ittanwali, nel Punjab, denunciata per blasfemia da due sue colleghe di lavoro e da un imam, Qari Mohammad Salim. Un calvario cominciato nel 2009 e terminato con la piena assoluzione lo scorso 31 ottobre. Ma per una Asia Bibi assolta ci sono ancora 187 cristiani che attendono di essere giudicati. “La legge sulla blasfemia – spiega il direttore della Ncjp – distrugge le vite degli accusati, anche se non vengono giustiziati. È una norma che viene usata dai radicalisti islamici per definire questioni personali o perseguire vendette.
Quando dei cristiani sono accusati di presunta blasfemia, tutti i cristiani della zona vengono incriminati.
Ne deriva un sempre più diffuso senso di insicurezza che spinge le minoranze religiose pakistane a lasciare il Paese”. I numeri a riguardo sono chiari: nel 1947 le minoranze nel Paese raggiungevano il 30% della popolazione. Nel 1998 la percentuale è scesa al 3%. “Quando un islamico viene accusato di blasfemia e chiede perdono, la società è pronta a perdonare. Sarà solo lui a subire le conseguenze – afferma Chaudhry – ma se l’accusa riguarda un cristiano, i musulmani attaccano tutta la comunità cristiana, bruciando interi quartieri”.
Il caso Sawan Masih, condannato a morte.
Ne sanno qualcosa gli abitanti cristiani della “Joseph Colony” di Lahore, attaccati, nel marzo 2013, da circa 3mila musulmani che cercavano di catturare il giovane cristiano Sawan Masih accusato di aver offeso il Profeta Maometto. “Il 9 marzo, dopo la preghiera del venerdì una folla di musulmani ha dato fuoco all’intero quartiere distruggendo quasi 300 abitazioni e due chiese”, è il ricordo di padre Emmanu el Yousaf, presidente dell’Ncjp durante la visita delle delegazione Acs-Italia all’insediamento oggi ricostruito grazie agli aiuti del governo e restituito alle famiglie cristiane. Ma se gli 83 uomini ritenuti colpevoli del rogo sono stati tutti liberati, Masih è stato condannato a morte nel 2014 e attende ancora oggi il processo di appello. “Le udienze vengono continuamente rinviate – spiega il suo avvocato Tahir Bashir – l’ultima era stata fissata per il 28 gennaio scorso, ma il giudice non si è presentato. Ora una nuova udienza è fissata per il 27 febbraio”. Come per Asia Bibi, rileva Acs-Italia, anche per Sawan non mancano delle irregolarità. La denuncia è stata presentata da un suo amico musulmano, Shahid Imran, in seguito ad una lite. Ma soltanto due giorni dopo sono stati presentati due testimoni che in realtà non erano presenti al momento delle presunte offese a Maometto.
Da sx, Younis Masih, accusato e poi prosciolto da accuse blasfemia
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“Le accuse a Sawan sono strumentali – spiega padre Yousaf – in realtà il vero scopo era di cacciare i cristiani da questo quartiere, i cui terreni sono ambiti perché vicino a fabbriche siderurgiche e siti industriali”.
Intanto, da quasi sei anni, la moglie di Sawan, Sobia, cresce da sola i loro tre figli. “Non so perché abbiano incolpato mio marito so soltanto che l’uomo che lo accusa era un suo amico con il quale aveva litigato. Sawan è innocente!”.
Al centro: la moglie di Asif Pervaiz. Il marito è in carcere in attesa di giudizio |
Qualcosa ora potrebbe cambiare. Almeno così sperano dalla Ncjp. “Dopo la revisione del verdetto di Asia Bibi – rivela Chaudhry – i casi di blasfemia vengono trattati con più cautela nel timore di errori nel giudizio da parte dei tribunali”. “Un effetto positivo” che potrebbe avere come conseguenza anche quella di riformare e regolamentare la controversa legge che, è bene ricordarlo, trova un’opposizione molto forte nelle formazioni islamiste. Il forum degli avvocati Khatm-e-Nubuwwat (Movimento per la difesa del Profeta) ha ribadito che “chiunque commetta blasfemia, deve incorrere in un’unica punizione, la morte. Non vi è alternativa”. Il suo capo, Ghulam Mustafa Chaudhry, ha difeso Mumtaz Qadri che nel gennaio 2011 aveva ucciso il governatore del Punjab Salman Taseer, dopo che quest’ultimo aveva messo in discussione la legge anti-blasfemia nel tentativo di difendere Asia Bibi. Stessa sorte per il cattolico Shahbaz Bhatti, ministro per le Minoranze religiose, assassinato il 2 marzo 2011 da un commando di fondamentalisti.
“La libertà di Asia Bibi è la vittoria della libertà religiosa”
conclude Monteduro. “Il modo con il quale governo e forze di polizia hanno gestito le settimane successive all’assoluzione di Asia Bibi fa ben sperare. Le violenze dei gruppi estremisti sono state represse e sanzionate con numerosi arresti. Ci aspettiamo dunque che dal Pakistan giungano presto nuovi segnali a difesa della libertà religiosa. Per farlo, occorre tuttavia quanto meno ridimensionare la portata della legge sulla blasfemia. Per ciò che compete ad Acs, continueremo a sostenere le vittime, e i loro familiari, davanti alla cosiddetta Legge Nera”.
“Acs non dimenticherà questi 187 uomini e donne detenuti per blasfemia”.
(fonte: Sir 13/02/2019)