UDIENZA GENERALE
18 gennaio 2017
Ha il nome di un fiore, il “nontiscordardime”, l’iniziativa promossa da Vicariato di Roma, ospedale pediatrico Bambino Gesù e Cooperativa operatori sanitari associati (Osa) in collaborazione con l’Università cattolica del Sacro Cuore. Si tratta di due camper che si occupano di portare informazione, prevenzione e cura ai bambini e agli anziani nelle periferie romane. Papa Francesco le ha benedette — alla presenza dell’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato — prima dell’udienza generale di mercoledì 18, nel cortile alle spalle dell’aula Paolo VI.
L’unità mobile - come riporta l'Osservatore Romano - per gli anziani entrerà in servizio effettivo il 28 gennaio, nella parrocchia di San Filippo Neri alla Pineta Sacchetti, ed è stata donata dal Papa grazie ai fondi dell’obolo di San Pietro. L’altra unità, alla quale il Pontefice ha in parte contribuito, è già in servizio dall'anno scorso e ha assistito fino a oggi 983 bambini. Come spiega la dottoressa Rosaria Giampaolo, responsabile del dipartimento pediatrico dell’ospedale Bambino Gesù, il camper ha già visitato circa diecimila ragazzi delle parrocchie romane delle zone della Tiburtina, Borghesiana, Casilina e Castel Romano.
Il Papa è quindi arrivato in Aula Paolo VI poco prima delle 9.40. Ad attenderlo una folla festosa di migliaia di persone, per nulla scoraggiati dalla lunga attesa al freddo dal lato dell’ex Sant’Uffizio prima di entrare. Francesco è stato benevolmente “strattonato” da un lato all’altro delle transenne, mentre percorreva a piedi il corridoio centrale dell’aula. Tra le soste più significative, quella per benedire, imponendo le mani, la pancia di una giovane donna in attesa, che ha ricambiato con un ampio sorriso la tenerezza del gesto e il dono di due rose bianche. Più volte con i fedeli il Papa ha praticato il “gioco” dello scambio dello zucchetto, divenuto ormai abituale nelle udienze. Moltissimi i bambini, i ragazzi e i giovani presenti oggi, ognuno di loro con un dono singolare: i più piccoli hanno regalato al Papa i loro abituali compagni di gioco, come un cavalluccio di plastica, i più grandi gli hanno consegnato messaggi o libri. Anche le coppie di sposi freschi di nozze si sono avvicinati a Francesco per ricevere la sua benedizione.
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La Speranza cristiana - 7. Giona: speranza e preghiera
Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Nella Sacra Scrittura, tra i profeti di Israele, spicca una figura un po’ anomala, un profeta che tenta di sottrarsi alla chiamata del Signore rifiutando di mettersi al servizio del piano divino di salvezza. Si tratta del profeta Giona, di cui si narra la storia in un piccolo libretto di soli quattro capitoli, una sorta di parabola portatrice di un grande insegnamento, quello della misericordia di Dio che perdona.
Giona è un profeta “in uscita” ed anche un profeta in fuga! E’ un profeta in uscita che Dio invia “in periferia”, a Ninive, per convertire gli abitanti di quella grande città. Ma Ninive, per un israelita come Giona, rappresentava una realtà minacciosa, il nemico che metteva in pericolo la stessa Gerusalemme, e dunque da distruggere, non certo da salvare. Perciò, quando Dio manda Giona a predicare in quella città, il profeta, che conosce la bontà del Signore e il suo desiderio di perdonare, cerca di sottrarsi al suo compito e fugge.
Durante la sua fuga, il profeta entra in contatto con dei pagani, i marinai della nave su cui si era imbarcato per allontanarsi da Dio e dalla sua missione. E fugge lontano, perché Ninive era nella zona dell’Iraq e lui fugge in Spagna, fugge sul serio. Ed è proprio il comportamento di questi uomini pagani, come poi sarà quello degli abitanti di Ninive, che ci permette oggi di riflettere un poco sulla speranza che, davanti al pericolo e alla morte, si esprime in preghiera.
Infatti, durante la traversata in mare, scoppia una tremenda tempesta, e Giona scende nella stiva della nave e si abbandona al sonno. I marinai invece, vedendosi perduti, «invocarono ciascuno il proprio dio»: erano pagani (Gn 1,5). Il capitano della nave sveglia Giona dicendogli: «Che cosa fai così addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo» (Gn 1,6).
La reazione di questi “pagani” è la giusta reazione davanti alla morte, davanti al pericolo; perché è allora che l’uomo fa completa esperienza della propria fragilità e del proprio bisogno di salvezza. L’istintivo orrore del morire svela la necessità di sperare nel Dio della vita. «Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo»: sono le parole della speranza che diventa preghiera, quella supplica colma di angoscia che sale alle labbra dell’uomo davanti a un imminente pericolo di morte.
Troppo facilmente noi disdegniamo il rivolgerci a Dio nel bisogno come se fosse solo una preghiera interessata, e perciò imperfetta. Ma Dio conosce la nostra debolezza, sa che ci ricordiamo di Lui per chiedere aiuto, e con il sorriso indulgente di un padre, Dio risponde benevolmente.
Quando Giona, riconoscendo le proprie responsabilità, si fa gettare in mare per salvare i suoi compagni di viaggio, la tempesta si placa. La morte incombente ha portato quegli uomini pagani alla preghiera, ha fatto sì che il profeta, nonostante tutto, vivesse la propria vocazione al servizio degli altri accettando di sacrificarsi per loro, e ora conduce i sopravvissuti al riconoscimento del vero Signore e alla lode. I marinai, che avevano pregato in preda alla paura rivolgendosi ai loro dèi, ora, con sincero timore del Signore, riconoscono il vero Dio e offrono sacrifici e sciolgono voti. La speranza, che li aveva indotti a pregare per non morire, si rivela ancora più potente e opera una realtà che va anche al di là di quanto essi speravano: non solo non periscono nella tempesta, ma si aprono al riconoscimento del vero e unico Signore del cielo e della terra.
Successivamente, anche gli abitanti di Ninive, davanti alla prospettiva di essere distrutti, pregheranno, spinti dalla speranza nel perdono di Dio. Faranno penitenza, invocheranno il Signore e si convertiranno a Lui, a cominciare dal re, che, come il capitano della nave, dà voce alla speranza dicendo: «Chi sa che Dio non cambi, […] e noi non abbiamo a perire!» (Gn 3,9). Anche per loro, come per l’equipaggio nella tempesta, aver affrontato la morte ed esserne usciti salvi li ha portati alla verità. Così, sotto la misericordia divina, e ancor più alla luce del mistero pasquale, la morte può diventare, come è stato per san Francesco d’Assisi, “nostra sorella morte” e rappresentare, per ogni uomo e per ciascuno di noi, la sorprendente occasione di conoscere la speranza e di incontrare il Signore. Che il Signore ci faccia capire questo legame fra preghiera e speranza. La preghiera ti porta avanti nella speranza e quando le cose diventano buie, occorre più preghiera! E ci sarà più speranza. Grazie.
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Saluti:
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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. ... A tutti formulo l’auspicio che la visita alla Città Eterna stimoli ciascuno ad approfondire la Parola di Dio per poter riconoscere in Gesù il Salvatore.
Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. Oggi inizia la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che quest’anno ci fa riflettere sull’amore di Cristo che spinge alla riconciliazione. Cari giovani, pregate affinché tutti i cristiani tornino ad essere un’unica famiglia; cari ammalati, offrite le vostre sofferenze per la causa dell’unità della Chiesa; e voi, cari sposi novelli, fate esperienza dell’amore gratuito come è quello di Dio per l’umanità.
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