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venerdì 9 gennaio 2015

Francesco e la Chiesa dei poveri

I poveri, gli ultimi, le periferie. Espressioni ormai diventate familiari grazie al magistero di papa Francesco – un esempio sono i commenti successivi all’annuncio dei nuovi porporati – eppure non dovrebbero rappresentare una sorpresa, almeno all’interno della Chiesa cattolica. Oltre al forte richiamo evangelico, esisteva tutto un movimento sorto negli anni del Concilio che si può indicare con il termine di “Chiesa dei poveri”, un movimento che, come scrive il vescovo emerito di Ivrea Luigi Bettazzi (già ausiliare di Bologna e fondatore e primo presidente di Pax Christi) «sembrava un po’ assopito».

Per lui – che era stato il più giovane vescovo al Concilio e ora ha passato la boa dei 90 anni – diventa un impegno morale il «raccontare» non solo l’avventura del Vaticano II, ma anche la storia della Chiesa dell’epoca, in particolare quel “Patto delle catacombe”, sottoscritto nel 1965 dai partecipanti alla celebrazione presso Santa Domitilla (chiamato semplicemente Schema XIV), al fine di impegnarsi solennemente a «vivere secondo lo stile ordinario», «rinunciare per sempre all’apparenza e alla realtà della ricchezza», al possesso di beni, ai titoli, ai privilegi: in altre parole una scelta di povertà.

In un testo che, com’è suo stile, non lascia spazio a nostalgia, e tantomeno a retorica, Bettazzi prende le mosse da uno scritto del 2001 sullo stesso tema per attualizzarlo alla luce dei due anni di pontificato Bergoglio, un papa che già nel nome, e poi nel comportamento e nelle sue parole, rilancia a livello planetario la Chiesa dei poveri.
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Eppure, se «la Chiesa dei poveri è la Chiesa che rinuncia a sicurezze e privilegi per preoccuparsi delle persone», già nella Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte Giovanni Paolo II scriveva: «Dobbiamo per questo fare in modo che i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come a casa loro. Non sarebbe questo stile la più efficace presentazione della buona novella del regno?» (n.50).

Solo oggi però stiamo scoprendo, quasi autentica sorpresa, che «l’ambito più caratteristico nello stile di papa Francesco è proprio quello che si rifà alla Chiesa dei poveri», uno stile di Chiesa - denuncia con una certa amarezza Bettazzi - «come noi, vescovi del Concilio, non siamo riusciti a fare».

Quando tutto sembrava «assopito», ecco un papa che «non cita spesso il Concilio, ma lo vive». E, se «non si può parlare di povertà se non si ha esperienza dei poveri», conclude citando p. Arrupe, papa Francesco rappresenta davvero «un dono dello Spirito».



Intervista a mons. Bettazzi