Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani
18-25 gennaio 2015
“Dammi un po’ d’acqua da bere”
(Giovanni 4, 7)
La proposta di preghiera e di riflessione che in questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ci arriva dal Brasile, e per la quale siamo riconoscenti ai nostri fratelli che testimoniano la fede al di là dell’Oceano, ci porta quest’anno a sederci tutti attorno al pozzo di Giacobbe: forse affaticati per il viaggio, come Gesù, forse incuriositi, turbati, ma anche aperti alla conoscenza di quell’uomo capace di un discorso chiaro e profondo, così come succede alla donna di Samaria. È l’evangelista Giovanni a presentarci questo racconto (4,1-42), che costituisce il tema di fondo di quest’anno.
LETTURE BIBLICHE E COMMENTO
PER OGNI GIORNO DELLA SETTIMANA
VI GIORNO
TESTIMONIANZA: Gesù disse: “[…] l’acqua che io gli darò, diventerà in lui una sorgente che dà la vita eterna” (Giovanni 4, 14)
Esodo 2, 15-22 Mosé al pozzo di Madian
Anche il faraone ne venne a conoscenza e cercava Mosè per farlo morire. Mosè allora fuggì lontano e andò ad abitare nella regione di Madian. Mosè si era fermato vicino a un pozzo. Il sacerdote di Madian aveva sette figlie, che erano solite venire ad attingere l’acqua. Riempivano gli abbeveratoi e davano da bere al gregge del padre. Spesso venivano anche alcuni pastori che le cacciavano via.
Mosè quel giorno le protesse e abbeverò il gregge. Quando tornarono dal padre, Ietro, egli domandò: — Come mai oggi siete tornate così presto? Ed esse risposero: — Un Egiziano ci ha liberate dai pastori, ha attinto l’acqua per noi e abbeverato il gregge. Egli disse alle figlie: — Dov’è quell’uomo? Perché l’avete lasciato? Chiamatelo a mangiare qualcosa con noi! Da quel giorno Mosè si fermò presso quella famiglia. Ietro gli diede in moglie sua figlia Sipporà. Essa diede a Mosè un figlio che egli chiamò Ghersom (Emigrato) perché diceva: «Sono un emigrato in terra straniera!».
Salmo 91 [90], 1-16 Il canto di coloro che trovano rifugio nel Signore
Tu che trovi rifugio nell’Altissimo,
trascorri la notte sotto la sua protezione,
di’ al Signore, l’Onnipotente:
«Tu sei mia difesa e salvezza.
Sei il mio Dio: in te confido!».
È vero: il Signore ti libererà
dalle trappole dei tuoi avversari,
dalla peste malefica.
Ti darà riparo sotto le sue ali,
in lui troverai rifugio,
la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza.
Non temerai i pericoli della notte,
né la freccia scagliata di giorno,
la peste che si diffonde nelle tenebre,
la febbre che colpisce in pieno giorno.
Mille potranno morire al tuo fianco,
diecimila alla tua destra,
ma tu non sarai colpito!
Basterà che tu apra gli occhi
e vedrai come Dio punisce i malvagi.
«Signore, tu sei il mio rifugio!».
Ti sei messo al riparo dell’Altissimo,
e non ti accadrà nulla di male,
nessuna disgrazia toccherà la tua casa.
Il Signore darà ordine ai suoi angeli
di proteggerti ovunque tu vada.
Essi ti porteranno sulle loro mani
e tu non inciamperai
contro alcuna pietra.
Camminerai su leoni e vipere,
metterai sotto i tuoi piedi
leoncelli e draghi.
«Egli si affida a me — dice il Signore —
lo libererò, lo proteggerò,
perché mi conosce.
Quando mi invocherà, gli risponderò.
Sarò con lui in ogni pericolo,
lo salverò e lo renderò onorato.
Gli donerò una vita lunga e piena,
gli farò provare la mia salvezza».
1 Giovanni 4, 16-21 […] l’amore perfetto caccia via la paura
Noi sappiamo e crediamo che Dio ci ama. Dio è amore, e chi vive nell’amore è unito a Dio, e Dio è presente in lui. Così è per Gesù, e così è per noi in questo mondo. Se l’amore di Dio è perfetto in noi, ci sentiamo sicuri per il giorno del giudizio perché chi vive nell’amore di Dio non ha paura.
Anzi, l’amore perfetto caccia via la paura. Chi ha paura si aspetta un castigo, e non vive nell’amore di Dio in maniera perfetta. Noi amiamo Dio, perché egli per primo ci ha mostrato il suo amore. Se uno dice: «Io amo Dio» e poi odia suo fratello, è bugiardo. Infatti se uno non ama il prossimo che si vede, non può amare Dio che non si vede. Ma il comandamento che Dio ci ha dato è questo: chi ama Dio deve amare anche i fratelli.
Giovanni 4, 11-15 “[…] una sorgente che dà la vita eterna”.
La donna osserva: — Signore, tu non hai un secchio, e il pozzo è profondo. Dove la prendi l’acqua viva? Non sei mica più grande di Giacobbe, nostro padre, che usò questo pozzo per sé, per i figli e per le sue bestie, e poi lo lasciò a noi! Gesù risponde alla donna: — Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete. Invece, se uno beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete: l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente che dà la vita eterna. La donna dice a Gesù: — Signore, dammi quest’acqua, cosi non avrò più sete e non dovrò più venire qui a prendere acqua.
Commento
Il dialogo iniziato con Gesù che chiede dell’acqua diventa un dialogo in cui Gesù promette l’acqua. Più avanti, in questo stesso vangelo, Gesù chiederà ancora da bere: “Ho sete”, Egli dirà dalla croce, e dalla croce Egli diviene la sorgente d’acqua promessa che sgorga dal suo costato trafitto. Noi riceviamo quest’acqua, questa vita da Gesù, nel battesimo, e diviene un’acqua, una vita che sgorga dentro di noi per essere data e condivisa con gli altri.
Ecco la testimonianza di una donna brasiliana che ha bevuto da quest’acqua e nella quale quest’acqua diviene una sorgente: Sorella Romi, un’infermiera di Campo Grande, era pastora nella tradizione pentecostale. Una domenica sera, nel quartiere in cui viveva Romi, tutta sola nella sua baracca, una ragazza indigena di sedici anni aveva dato alla luce un bimbo. Fu trovata stesa sul pavimento che perdeva sangue. Sorella Romi la portò all’ospedale. Furono fatte delle ricerche – dov’era la famiglia di Semei? La trovarono, ma i familiari non vollero curarsene. Semei e il suo bambino non avevano una casa dove andare. Sorella Romi li prese nella sua modesta casa. Lei non conosceva Semei, e i pregiudizi contro gli indigeni sono molto radicati a Campo Grande. Semei continuava ad avere problemi di salute, ma la grande generosità di Sorella Romi ispirò altra generosità da parte dei vicini. Un’altra neo-mamma, una cattolica chiamata Veronica, allattò il bambino di Semei, poiché lei non era in grado di farlo. Semei chiamò il suo bambino Luca Natanaele e, nel tempo, essi furono in grado di lasciare la città e andare in una fattoria, ma lei non dimenticò la gentilezza di Sorella Romi e dei suoi vicini. L’acqua che Gesù dà, l’acqua che Sorella Romi ha ricevuto nel battesimo, è divenuta in lei una sorgente d’acqua e un’offerta di vita verso Semei e il suo bambino. Questa stessa acqua battesimale, risvegliata dalla sua testimonianza, divenne una sorgente, una fontana, nella vita dei vicini di Romi. L’acqua del battesimo sgorgante dalla vita diventa una testimonianza ecumenica di amore cristiano in atto, un’anticipazione della vita eterna che Gesù ci promette.
Per crescere nella comunione abbiamo bisogno di gesti concreti come questi, realizzati da gente comune, gente che dà testimonianza al vangelo e dà importanza alle relazioni ecumeniche.
Domande per la riflessione personale
1. Come interpreti le parole di Gesù che, attraverso di lui, possiamo diventare sorgente d’acqua viva che dà la vita eterna?
2. Dove vedi cristiani che sono sorgente d’acqua viva per te e per gli altri?
3. Quali sono le situazioni, nella vita pubblica, in cui le chiese potrebbero parlare con un’unica voce per portare fiumi d’acqua viva?
Preghiera
O Dio Trino,
seguendo l’esempio di Gesù,
rendici testimoni del tuo amore.
Concedici di diventare strumenti di giustizia, pace e solidarietà:
fa’ che il tuo Spirito ci muova a gesti concreti che conducano all’unità.
Fa’ che i muri possano trasformarsi in ponti.
Per questo ti preghiamo, nel nome di Gesù Cristo, nell’unità dello Spirito Santo.
Amen!
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