Succede che due ragazze, due ventenni, decidano di andare in Siria a portare aiuti umanitari. Succede che queste due giovani donne vengano rapite e tenute prigioniere per più di cinque mesi. Succede che al loro ritorno in patria si trovino sommerse da una valanga di insulti. Succede in Italia: anche questo è il nostro Paese. È incredibile leggere sui social e su certi giornali i commenti che riguardano Greta Ramelli e Vanessa Marzullo: una quantità infinita di insulti che vengono, ovviamente, dalla parte più rancorosa dell'Italia. "Ragazzine viziate", "se la sono cercata", "perché sono andate in Siria? ", "spendiamo 12 milioni di tasca nostra!".
Eppure Greta e Vanessa non erano alla loro prima missione umanitaria, non erano ragazzine sprovvedute, ma giovani donne con degli interessi e degli ideali. Qualche decennio fa alla loro età si era già madri: cerchiamo di uscire quindi dal luogo comune della gioventù irresponsabile che va criticata se perde tempo a laccarsi le unghie, a farsi canne o a bere birre ai bar, ma che diventa bersaglio anche quando occupa la propria vita in maniera diversa. Greta e Vanessa, due giovani donne, non due ragazzine viziate, non due amanti dell'uomo con il kalashnikov, fondano, insieme a Roberto Andervill, Horryaty, un progetto di assistenza con l'obiettivo di portare medicine e generi di prima necessità alla popolazione siriana. Ecco perché partono, per portare aiuti alla popolazione che sta subendo gli attacchi di Assad. Ma al commentatore medio che ci siano centinaia di migliaia di persone a cui manca tutto non interessa: gli elementi su cui si basano le critiche a Greta e Vanessa sono la loro giovane età, l'essere donne e le foto che vengono diffuse dai media, che le ritraggono insieme, abbracciate e sorridenti. Foto ingenue di ragazze abbracciate, foto allegre, che sono in ogni album di famiglia. Come se chi critica non avesse foto come quelle, come se non le avessero i loro figli.
Come è possibile - c'è addirittura chi si domanda in un ignobile e falso paragone - prodigarsi, lavorare, pagare per loro e non per i marò?
Che sia stato pagato o no un riscatto, la canea è scattata sulla cifra dei 12 milioni che sarebbero stati pagati. La notizia è stata diffusa tramite un account Twitter (@ekhateb88) ritenuto vicino alle milizie jihadiste. Qualsiasi altra affermazione avesse diffuso non sarebbe stato creduto: ma in questo caso la frase è diventata oro colato. Tutto serve a sporcare la vicenda di Vanessa e Greta. Come le balle diffuse da alcuni media, che le accusano di essere sostenitrici dei terroristi, per una foto scattata in Italia durante una manifestazione che si è tenuta a Roma il 15 marzo scorso. In quell'immagine Greta e Vanessa, coperte da bandiere della Siria libera, mostrano un cartello in arabo con su scritto "Agli eroi di Liwa Shuhada grazie per l'ospitalità e se Dio vuole vediamo la città di Idlib libera quando ritorneremo". Uno slogan di chiaro sostegno alla dissidenza laica in Siria, proprio quella abbandonata, proprio quella schiacciata da Assad e da chi lo sostiene.
Greta e Vanessa non erano e non sono dalla parte dei terroristi, ma dalla parte del pane. Erano in Siria per portare impegno. E qui arrivano gli insulti che più di tutti mi colpiscono perché, se non puoi dir loro che sono contigue ad Al Qaeda e all'Is, se non puoi dir loro che sono bambine viziate, se non puoi dir loro che sono due incoscienti, allora hai sempre a disposizione l'accusa più inutile, quella però che fa subito presa perché è banale e in fondo non sembra offensiva: "Ma se volevano fare del bene, non potevano farlo in Italia?". Come è accaduto a Fabrizio Pulvirenti, il medico di Emergency colpito da Ebola in Sierra Leone: quando rientrò in Italia ci fu una parte del Paese che senza vergogna disse che se l'era cercata. Il pensiero principale sembra essere che siano responsabili delle loro sciagure e che per questo motivo non solo non devono essere aiutate, ma magari anche punite.
E qui dobbiamo fare uno sforzo, dobbiamo andare oltre le parole e capire il fallimento del Paese insito in questi giudizi. Parole che sono una scarica incontenibile di frustrazione, la frustrazione di chi non è in grado di muovere un passo, di chi è fermo al palo, di chi non riesce a immaginare una vita diversa e se la prende con chi decide di mettere la propria a disposizione di un ideale.
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... Noi siamo felici perché abbiamo trepidato ogni giorno pensando all’orrore di una prigionia nelle mani di gruppi jihadisti che ti potrebbero uccidere da un momento all’altro.
La generosità e l’altruismo che le aveva portate dentro l’inferno siriano per un’azione umanitaria sono un segno di distinzione dentro un mondo sempre più indifferente alle tragedie che travolgono paesi tanto vicini al nostro. Persino la loro ingenuità – criticata da molti – oggi ci appare sotto un’altra luce, perché sappiamo che non è costata loro la vita.
Non mancheranno le critiche di coloro che non vogliono la trattativa per salvare gli ostaggi, di coloro che ritengono che le donne dovrebbero starsene a casa e non occuparsi di lavori «da uomini». Sappiamo che le donne sono un obiettivo facile da colpire anche quando hanno vissuto esperienze drammatiche. Le critiche e le calunnie non mancheranno, ma Vanessa e Greta che hanno resistito a sei mesi di prigionia sapranno superare accuse infamanti di chi specula sui riscatti pagati per gli ostaggi ma non protesta per le spese molto più ingenti sostenute per comprare armamenti e per alimentare le guerre che devastano paesi e provocano esodi di massa di popolazioni. Sono gli stessi che vorrebbero anche respingere i profughi quando approdano in condizioni terribili sulle nostre coste.
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