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mercoledì 24 luglio 2024

IL PATTO DELLA VERGOGNA PER RESPINGERE I MIGRANTI di Mattia Ferrari

IL PATTO DELLA VERGOGNA
PER RESPINGERE I MIGRANTI
 don Mattia Ferrari




Un grido giunge nuovamente dalle porte dell’Europa. È il grido dei nostri fratelli e sorelle, che da anni subiscono una violenza indicibile ai confini dei nostri Paesi. Fatti sconvolgenti si sono ripetuti anche nelle ultime settimane e a denunciarli con grande coraggio è come spesso succede Refugees in Libya, il movimento sociale costituito dalle persone migranti stesse per sostenersi e per costruire una vera fraternità con tutti. Refugees in Libya ha diffuso varie prove documentali di veri e propri crimini che si sono ripetuti per l’ennesima volta nei giorni scorsi. Il racconto è da film distopico, ma è la realtà di cui siamo responsabili.

Il 9 luglio, 52 persone, tra cui 3 bambini e 4 donne, dopo un viaggio di sofferenza e di speranza attraverso il deserto partono da Sfax, in Tunisia, su un’imbarcazione. Scappano dalla situazione di gravi violazioni dei diritti umani che i migranti subiscono sempre più spesso anche in Tunisia e cercano di raggiungere l’Europa in cerca di una vita degna e di fraternità. L’Europa e l’Italia però hanno scelto da tempo di chiudersi a questa richiesta di fraternità e di seguire invece la strada del respingimento. Mentre quelle 52 persone sono in mare, vengono notate da Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere. Anziché favorire la loro salvezza, essa trasmette le informazioni alle cosiddette guardie costiere libica e tunisina. A un certo punto del loro tragitto quelle 52 persone vengono raggiunte in mare dalla Garde Nationale tunisina, che le cattura e le riporta al porto di Sfax. Lì esse vengono picchiate, ammanettate e derubate dei telefoni e degli effetti personali. Trascorrono l’intera giornata al porto di Sfax, ciascuna in manette. Alla sera vengono portate in un campo di concentramento circondato da filo spinato. Successivamente vengono caricate su grandi autobus e gettate nel deserto al confine con l’Algeria, senza cibo, acqua o riparo. Il 12 luglio, 25 di loro grazie a un telefono che erano riusciti a nascondere durante il sequestro contattano Refugees in Libya, inviando foto e video e chiedendo di essere soccorse. Poco dopo però la batteria del telefono si scarica e per giorni non riescono più a comunicare con il resto del mondo. La traversata del deserto è difficile e 7 persone finiscono disperse. Il 20 luglio, le 18 persone superstiti riescono ad arrivare ad Algeri. Si accampano davanti alla sede locale dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni e da lì riescono a rimettersi in contatto con Refugees in Libya, chiedendo di diffondere il loro grido, perché qualcuno le salvi.

La stessa sorte succede da mesi a migliaia di persone, che vengono deportate nel deserto della Tunisia o rinchiuse nei lager libici. La violenza del regime tunisino, a cui chiediamo di respingere le persone per conto nostro, si abbatte su tutti i migranti presenti sul territorio. Il 17 luglio i militari sgomberano violentemente le persone migranti presenti nelle campagne attorno a Sfax e bruciano i loro rifugi di fortuna: donne incinte vengono ferite dalle bastonate, famiglie con bambini vengono colpite violentemente e costrette a fuggire.

Refugees in Libya ci chiede di avere l’onestà di riconoscere chi sono i mandanti di questa violenza: siamo noi. Siamo noi a finanziare tutto questo. Siamo noi, cittadini e cittadine, a non opporci a sufficienza, o peggio a esprimere la nostra soddisfazione.

Refugees in Libya ha diffuso anche il video in cui un ragazzo, con la testa che gronda sangue, supplica di inviare un riscatto di 2 milioni di CFA, mentre i suoi aguzzini tendono due spade davanti alla sua gola. Nei suoi occhi si vede la paura di un giovane finito nelle mani di miliziani mafiosi solo perché ha creduto nella fraternità universale, ha creduto che ci sarebbero state persone in questo mondo che lo avrebbero accolto per quello che è, un essere umano e un fratello, e invece si è trovato respinto e consegnato a dei criminali. Il ragazzo chiede aiuto, supplica, ma chi ascolterà il suo grido?

Mediterranea Saving Humans ha trasmesso tutti questi video alla Commissione Onu per i diritti fondamentali, alla Corte Europea per i Diritti Umani e alla Presidenza della Repubblica Italiana. Non possiamo essere insensibili davanti a questo dolore, non possiamo fingere di non esserne responsabili, tanto per le ingiustizie che stanno alla base delle migrazioni forzate quanto per i respingimenti che causano quelle violenze indicibili. A ogni persona spetta una scelta fondamentale: restare indifferenti, e quindi complici di tutto questo, o ascoltare il grido di fraternità che giunge dal Mediterraneo. La storia ci insegna che, se due sono le strade, solamente una però salva, quella che salva tutti, perché chi si illude di salvarsi nella chiusura in realtà si perde. La vita ce lo insegna. Ecco perché ci sarà sempre chi condurrà la resistenza dell’umanità e della fraternità, ponendosi accanto a quelle persone. Ma dobbiamo agire tutti, dobbiamo assumere veramente la fraternità. Solo così ci salveremo.

(Fonte: “La Stampa” - 2 luglio 2024)