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domenica 27 marzo 2016

Meglio morto che risorto: sul senso profondo della Pasqua di Alberto Maggi

Meglio morto che risorto:
sul senso profondo della Pasqua

 di Alberto Maggi

Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede”, afferma perentorio Paolo ai Corinti (1 Cor 15,14). Eppure nessun evangelista dà la descrizione del momento della risurrezione del Cristo. Questo fatto creò così tanto imbarazzo nelle comunità cristiane primitive che si rimediò a questa lacuna con un falso d’autore che ebbe un grande successo. Infatti, l’immagine tradizionale del Cristo Risorto, che esce trionfante dal sepolcro, con le guardie tramortite, non appartiene ai vangeli riconosciuti ispirati, ma a un testo apocrifo del secondo secolo, conosciuto come il Vangelo di Pietro: “Durante la notte nella quale spuntava la domenica, mentre i soldati montavano la guardia a turno, due a due, risuonò in cielo una gran voce, videro aprirsi i cieli e scendere di lassù due uomini, in un grande splendore, e avvicinarsi alla tomba. La pietra che era stata appoggiata alla porta rotolò via da sé e si pose a lato, si aprì il sepolcro e c’entrarono i due giovani” (Vang. Pietro 9,35-37).

Nessuno ha potuto descrivere la risurrezione del Cristo, perché neanche un solo discepolo era presente, nonostante Gesù avesse insistentemente affermato che sì, sarebbe stato ucciso, e nel modo più infamante, la crocifissione, ma poi dopo tre giorni sarebbe risuscitato (Mt 16,21; 17,22; 20,19). Ma nessuno ci ha creduto, perché nessuno desiderava veramente la sua risurrezione. La prova che il Messia era quello inviato da Dio, era che non poteva morire, perché “il Cristo rimane in eterno” (Gv 12,34). Pertanto, se Gesù era morto, e in quel modo infamante, con la morte dei maledetti da Dio (Dt 21,23; Gal 3,13), pazienza, voleva dire che si erano sbagliati, e c’era solo da attendere il vero Messia, quello che avrebbe sbaragliato i nemici, sottomesso i popoli pagani e inaugurato il regno d’Israele. Del resto non era la prima volta che qualche esaltato si era proclamato l’atteso liberatore, aveva iniziato la rivolta contro gli odiati Romani e il tutto era finito in un bagno di sangue, come insegnava il tragico epilogo delle insurrezioni capitanate dai vari Teuda e Giuda il Galileo, sedicenti Messia che convinsero la gente a seguirli, e quelli che lo fecero “furono dissolti e finirono nel nulla” (At 5,36-37). In fondo meglio morto che risuscitato. Perché se Gesù era morto, era segno che non era il Messia e bisognava attenderne un altro. Ma se era risuscitato, allora addio sogni di gloria, di restaurazione del defunto regno del re Davide, della supremazia sui popoli pagani, dell’accumulo delle ricchezze delle altre nazioni, come i profeti avevano vagheggiato (“Vi nutrirete delle ricchezze delle nazioni, vi vanterete dei loro beni”, Is 61,6).

Pertanto, morto Gesù, i suoi discepoli, delusi (“Speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele…”, Lc 24,21), erano tornati alle due occupazioni di sempre, e il Risorto li deve andare a cercare uno a uno per far sperimentare loro che era veramente risorto, rimproverandoli “per la loro incredulità e durezza di cuore” (Mc 16,14; Lc 24,25). Inutilmente Gesù nella sua vita terrena aveva parlato ai suoi discepoli del regno di Dio, perché questi capivano regno di Israele. Gesù parlava di servizio e i discepoli pensavano al potere, il Maestro insegnava a mettersi a livello degli ultimi e i discepoli litigavano tra loro per assicurarsi il posto più importante, il Signore li invitava a scendere e essi pensavano solo a salire.
Per questo il Risorto, una volta riunito i suoi, tiene loro una sorta di corso intensivo durato ben quaranta giorni “parlando delle cose riguardanti il regno di Dio” (At 1,3). Ma niente da fare: quando l’ideologia religiosa è intrecciata con quella nazionalista, anche se si hanno orecchie per udire non si ode, e se si hanno occhi per vedere non si vede (Mc 8,18). Infatti, al quarantesimo giorno, i discepoli, che evidentemente non erano interessati a questo tema del regno di Dio, gli domandarono: “Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?” (At 1,6). Scrive l’evangelista che a questo punto “una nube lo sottrasse ai loro occhi” (At 1,9). Il Cristo non se n’è andato, ma sono i discepoli che sono incapaci di vederlo. Chi è mosso dal potere non può percepire l’Amore, chi pensa a sé non può riconoscere la presenza dell’Altro. Ci vorrà ancora del tempo, e quando finalmente i discepoli comprenderanno che il pane non va accumulato, ma solo spezzato e condiviso, allora si apriranno i loro occhi e riconosceranno il Cristo risorto (At 24,31) che li accompagnerà nella loro missione (Mc 16,20).
(Fonte: Il libraio)