Ipocrisia,
quando i buoni fanno scandalo
Enzo Bianchi
Sempre, lungo tutta la sua vita, Gesù ha mostrato che Dio ama i peccatori e ama di preferenza i peccatori manifesti, riconosciuti tali dagli altri. Perché? Perché tutti sono peccatori (cfr. Rm 3,23), se è vero che il giusto pecca sette volte al giorno (cfr. Pr 24,16), ma chi pecca di nascosto non è mai spronato alla conversione da rimproveri o giudizi degli altri, mentre continua a essere venerato e stimato per ciò che della sua persona appare all’esterno; chi invece è un peccatore manifesto, costantemente esposto al biasimo altrui, è indotto a un cambiamento di vita. A partire da tale evidenza, Gesù ha dichiarato all’inizio del suo ministero: « Non sono i sani – o meglio, quelli che si credono tali! – ad avere bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori » ( Mc 2,17).
Sono parole dure e per molti versi paradossali, ma occorre comprenderle adeguatamente: Gesù non condanna certo i giusti in quanto tali, anzi chiede ai suoi discepoli che la loro giustizia superi e trascenda quella di scribi e farisei ( cfr. Mt 5,20); egli biasima invece i giusti che confidano in se stessi e nelle loro azioni ( cfr. Lc 18,9), quelli che, in virtù della loro osservanza, giudicano e disprezzano gli altri, quelli che si sentono “separati” dagli altri, di altra e alta qualità. E qui si faccia attenzione: i Vangeli descrivono come malati di questa auto-giustificazione gli scribi, i dottori della legge e i farisei, ma non tutti costoro erano così. E quando leggiamo gli attacchi rivolti da Gesù a queste categorie di persone, dobbiamo sapere che in essi vi è una generalizzazione “letteraria” da cogliere e interpretare con intelligenza: in verità questi pretesi giusti sono da individuarsi nelle persone “religiose” presenti in ogni via religiosa, nell’ebraismo, come nel cristianesimo, eccetera.
Sono questi a essere scandalizzati dal comportamento e dalle parole di Gesù verso i peccatori. Si possono anche comprendere i meccanismi che portano tali persone osservanti a essere rigoriste, letteraliste, esigenti...
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Gesù conosce bene questi «giusti» e perciò dice che «hanno già ricevuto la loro ricompensa» (Mt 6,2.5.16), sia che facciano l’elemosina, sia che preghino, sia che digiunino: tutte azioni sante in sé e necessarie, le quali però, se esibite, indirizzano la gloria su chi le compie e non su Dio (cfr. Mt 5,16). In nome della sua passione per l’autenticità e per il Dio misericordioso, Gesù attacca questi uomini religiosi, intravedendo la loro possibile presenza anche nella sua comunità, la comunità cristiana; per questo vive l’ira profetica, si serve della parola forte e chiara che sa parlare male del male, con invettive e toni accesi, per scuotere chi è avvezzo alla menzogna, alla doppiezza. Grida dunque nei loro confronti «Guai a voi!» (Mt 23) e denuncia tutti i loro vizi, ipocrisie, simulazioni, che li rendono «sepolcri imbiancati» (Mt 23,27): fanno l’elemosina davanti a tutti perché vogliono essere ammirati dagli uomini, pregano in pubblico perché preferiscono essere ascoltati dagli uomini piuttosto che da Dio, moltiplicano le formule di preghiera per esibire una quantità di fede che non hanno, si sfigurano nel digiuno per attirare su di sé il plauso altrui (cfr. Mt 6).
Di più, essi si aggrappano al loro ruolo per dare una parvenza di stabilità ai propri comportamenti e vincere quell’inquietudine che richiederebbe di cercare, di confrontarsi, di ascoltare gli altri...
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Tra costoro ci possiamo essere anche noi, ciascuno di noi, perché questi vizi non ci sono estranei; soprattutto a chi, come me, monaco, figura ecclesiale, vive nella Chiesa un certo riconoscimento. Per questo è utile porsi la domanda: a causa della mia auto-comprensione e auto-giustificazione sono anch’io un «giusto» che Gesù non è venuto a chiamare? E c’è da tremare nel rispondere...
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