Il 2 settembre del 2015, la foto del piccolo Aylan Kurdi riverso senza vita su una spiaggia turca, indignò il mondo intero, e spinse le autorità europee a mobilitarsi per dare una soluzione alla crisi dei migranti. Il 12 marzo del 2016, la crisi dei migranti naturalmente è lungi dall’essere risolta, per effetto dell’egoismo nazionale di molti stati europei, che non vogliono ospitare i rifugiati siriani, afghani e iracheni, e che chiudono le frontiere. Così, la frontiera tra la Grecia e la Macedonia è chiusa su disposizione delle autorità di Skopje, la capitale macedone, con la conseguenza di una tendopoli a Idomeni che ospita più di tredicimila profughi disperati. Ed è proprio a Idomeni che è stata scattata la foto che ha finalmente rimesso in movimento la coscienza europea. Questa volta, è la foto di un bambino appena nato, che viene amorevolmente lavato da due adulti. È la metafora dell’attaccamento alla vita, nonostante le penose e disumane condizioni in cui sono costretti i profughi.
La foto del neonato sta facendo il giro del mondo, e ha costretto il ministro greco per i rifugiati a ordinare lo spostamento dei profughi dallo squallido campo sulla frontiera macedone entro una settimana. Il neonato che viene lavato poco fuori di una tenda già piena di gente, e nel fango, è davvero l’immagine simbolica di una condizione umana deteriorata, spinta fino all’orlo dell’inumanità, anche quando viene data al mondo una nuova vita. Quella semplice bottiglia d’acqua fredda con la quale il nascituro viene pulito e lavato è l’emblema della sconfitta della civiltà europea, che non sa neppure rispondere al diritto di una madre, da qualunque parte del mondo arrivi, di partorire in condizione di sicurezza, e al diritto di un bambino di venire al mondo in ospedale, accudito e curato da medici, lavato con acqua calda e vestito. In quella foto c’è tutta la crisi della civiltà europea, come c’era nella foto che ritraeva il piccolo Aylan Kurdi, tradito dall’occidente nella sua speranza di raggiungere un porto sicuro.
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ai piedi del nuovo muro
Il parto nella tendopoli di Idomeni
di Melania Mazzucco
Tu devi vivere. Per te, minuscola creatura senza nome venuta al mondo sotto un cielo di pioggia, su un materasso di fango. Ma anche per noi, che ti guardiamo inteneriti e ipocriti - disposti a piangerti morto e però non disposti ad accoglierti vivo. Sei l'ennesimo: un numero di troppo, in una somma con tanti zeri.
Se l'acqua con cui ti hanno lavato non sarà stata troppo fredda, se i microbi e i batteri che proliferano nella fetida melma pestata da scarpe esauste non infetteranno la ferita del cordone ombelicale, allora anche per noi ci sarà perdono.
Un giorno saprai dove, come e perché ti è stato tolto tutto, anche il diritto di appartenere, nei tuoi primi istanti, a chi ti ha generato. Invece il mondo intero ti ha visto nudo, inerme, poco più grande della mano che ti sostiene. Se resterai in questo continente, ci incontrerai a scuola, all'università, al lavoro e non potrai non chiederti dov'eravamo, mentre tua madre incinta attraversava il mare bellissimo in cui noi ci facevamo il bagno, o camminava sotto la pioggia ai margini di una strada che non doveva condurre a nulla. E perché nessuno le ha trovato un tetto, o un letto - nemmeno a lei, che degli ultimi era nella condizione di essere l'ultima. Guardando il genitore di un tuo compagno, o il tuo datore di lavoro, ti chiederai se è stato tra quelli che ritenevano tua madre una minaccia alla sua identità, alla sua religione o alla sua opulenza. Se è stato uno di quelli che distingueva i suoi bisogni in base alla presunta sicurezza della regione da cui era partita, e classificava i suoi compagni di viaggio tra aventi diritto e non aventi. O se è stato invece uno di quelli che ti hanno aiutato - dandole qualcosa da mangiare, o un passaggio, o anche solo la tenda in cui sei nato. Che in verità costa molto poco, sai, e i giovani di questo continente non la usano più nemmeno per andare in vacanza. Misero aiuto, potrai pensare - perché ciò che mia madre chiedeva non era cibo né tenda, benché ovviamente avesse bisogno anche di quelli, ma era ciò che voi considerate tutto. La dignità di essere riconosciuta come un essere umano, e il diritto di sognare un futuro per sé e per te. Che poi è l'unica ragione che muove il mondo, e lo rinnova.
Forse ti diranno che tanti anni fa l'Europa era un campo di rovine, dopo una guerra peggiore o identica a quella da cui sono scappati i tuoi. Ricordandosi di non aver accolto neanche un profugo, di aver lasciato affondare le barche che trasportavano un popolo condannato a morte, giurando che lo scandalo non si sarebbe ripetuto, gli uomini che dovevano governare il nuovo mondo compilarono nobili costituzioni, e firmarono trattati impegnativi. Nel 1951, la convenzione di Ginevra ha sancito che nessuno Stato che l'ha sottoscritta "può espellere o respingere, in qualunque maniera, un rifugiato alle frontiere di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbe minacciata"... Infatti non hanno espulso tua madre né te. Ma non vi hanno neppure accolti. Siete lì, entrambi - di tuo padre non so nulla - sospesi, nel bozzolo umido e primordiale di una tenda. Vi hanno fermato - come si ferma provvisoriamente un fiume, costruendo una diga, che allaga i campi tutt'intorno. Ma come tutti sanno, l'acqua trova sempre una strada. Tu l'hai trovata.
Se un giorno, in Germania, in Svezia, in Danimarca mi incontrerai, chiedimi dov'ero il 12 marzo del 2016. Ti ho visto nascere, ti dirò, ti ho augurato di vivere, ho scritto di te. Tu mi dirai: non era abbastanza. Ma ci vorranno anni. E io ho ancora modo di dimostrarti che ti considero più prezioso della plastica che ti circonda, che sei tu il futuro mio e dell'unione di nazioni e popoli di cui vorrei essere orgogliosa di fare parte. Di dimostrarti che ti ho riconosciuto.
(fonte: Repubblica 13/03/2016)
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