di
Catherine Aubin
Ai tempi di Gesù, tra i poveri nessuno è più povero di una vedova, donna senza uomo, dunque senza diritti né protezione. Il mondo e la società in cui Gesù vive e si muove sono fondamentalmente strutturati su un modello patriarcale; le donne sono socialmente invisibili, di quell’invisibilità tipica di una condizione giuridica di minorità, anzi di esclusione.
L’originalità del comportamento di Cristo deve essere inserita in questa verità storica. Di fatto Gesù vede, guarda, osserva e coniuga la sua vita con quella delle donne che lo seguono, lo amano e l’accompagnano fino alla morte. Mentre lo sguardo di Simone il Fariseo (cfr. Luca, 7, 36) — come scrive Maria dell’Orto — vede e giudica, scruta e condanna escludendo, quello di Cristo risolleva, identifica e riconosce. Così facendo, invita tutti, donne e uomini, al discernimento, a porsi domande e alla comunione. In questa ottica, una panoramica sulla storia del cristianesimo porta a considerare quelle figure femminili, profetiche e carismatiche, che, con la loro personale autorità, in secoli agitati, hanno contribuito a evangelizzare un mondo ancora pagano e/o una Chiesa ostile e divisa: le sante Genoveffa, Clotilde, Giovanna d’Arco, Ildegarda di Bingen, Caterina da Siena... Completamente estranea e perfettamente inserita, la domenicana Madeleine Fredell c’introduce nel cuore della predicazione cristiana, che è l’amore nella sua forma concreta: la relazione, l’inclusione di tutti e il servizio della parola. In effetti la predicazione non è anzitutto questione di parole o di termini, e neppure questione di regolamenti o di leggi, ma ha come fondamento il libero incontro dell’amore che ama e che viene ricevuto. È dunque in primo luogo questione di gioia e di bisogno di comunicare, che — come un fiume che non può impedirsi di scorrere — diviene per i predicatori, uomini e donne, una necessità vitale di testimoniare, insegnare, annunciare e servire. Le donne predicano già, guidando ritiri e dando conferenze in luoghi in cui gli uomini lo fanno da tempo. Poniamoci sinceramente una domanda: allora perché non possono predicare davanti a tutti durante una celebrazione? Enzo Bianchi lo ricorda: non esiste una proibizione evangelica per le donne ad assumere questo ruolo e non è dunque impossibile affidarlo loro. Tutti coloro e tutte coloro che hanno avuto questo incontro a cuore aperto con Gesù non possono impedirsi di andare a dirlo, di annunciarlo, di proclamarlo, perché è lui, Cristo, che fa di tutti gli uomini e di tutte le donne incontrati lungo il suo cammino testimoni, messaggeri e apostoli. Si tratta dunque di vivere la Chiesa come una comunità ricca e aperta, interessata all’ascolto della differenza, e di immaginarla ancora più viva e allettante.
(L'Osservatore Romano)
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Colonia, 1163: dal pulpito della maestosa cattedrale l’anziana badessa di Bingen pronuncia il suo atteso sermone. Tutto il clero cittadino si è riunito per lei ed è intento ad ascoltarla. La voce risuona tra le possenti mura: non si ode alcun tremore in essa. A temere, infatti, non è la donna, pur sola di fronte al potente uditorio maschile, ma è quest’ultimo, duramente ammonito per la grave corruzione in cui è precipitato e per l’inerzia manifestata contro il dilagare dell’eresia catara. Nessuno tra gli astanti si leva a confutare i suoi attacchi. Sanno che le parole del sermone non sono le sue, ma vengono direttamente da Dio e l’impressione che ne ricevono è indelebile.
Questo è lo scenario di una delle drammatiche predicazioni di Ildegarda di Bingen (1098-1179), proclamata da Benedetto XVI santa e dottore della Chiesa: «Questa grande donna “profetessa” parla con grande attualità anche oggi a noi — ha detto Papa Ratzinger — con la sua coraggiosa capacità di discernere i segni dei tempi, con il suo amore per il creato, la sua medicina, la sua poesia, la sua musica». Non era facile per la Chiesa di quegli anni — ma potremmo dire per la Chiesa di sempre — accettare una donna che viveva un’intensa esperienza mistica e, al tempo stesso, era capace di pensiero scientifico e di creazione artistica.
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... La trasformazione della Chiesa da parte di Papa Francesco è per me come una festa di compleanno. Forse abbiamo una visione completamente diversa delle questioni femminili, ma lui sta applicando alla vita ecclesiale parole che avevo conosciuto agli inizi degli anni Settanta. Misericordia, tenerezza, confusione, coraggio, unità nella diversità. Pur non potendo diventare sacerdote, in tutti questi anni non sono mai stata tentata di andare altrove. Mi sento perfettamente inclusa in questa comunità, chiamata a essere un ospedale da campo.
C’è una sola cosa che mi dispiace, però, ed è non poter pronunciare l’omelia durante la messa. Predicare è la mia vocazione come domenicana, e sebbene possa farlo quasi ovunque, talvolta perfino nella chiesa luterana, sono convinta che ascoltare la voce delle donne al momento dell’omelia arricchirebbe il nostro culto cattolico.
La Chiesa cattolica è stata il mio primo amore, e con la grazia di Dio continuo a provare tale amore ogni giorno. E lo faccio come femminista, come esploratrice di una teologia creativa e viva e come domenicana politicamente impegnata.
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