Nostalgia di futuro,
dove cielo di Dio e
orizzonte umano coincidono
L'attesa dell'innocente
di Luigino Bruni
Io ti sbircio / come una scacchiera / di battaglia navale / non so ancora dove / mi affonderai"/ segnerai una fenditura / con la biro nera / degli occhi / e mi porterai in salvo / su una terra consegnata.
Chandra Livia Candiani
Le grida delle vittime aumentano la loro forza quando sono ripetute. Nel suo discorso finale Giobbe continua a ripetere le sue domande e le sue grida, difende per l’ennesima volta la sua innocenza, lancia ancora una volta il suo urlo verso il cielo: il povero non è povero perché è colpevole. Un uomo può essere povero, sventurato e innocente. E se è innocente, qualcuno deve aiutarlo a rialzarsi. Dio per primo, se vuole essere diverso dagli idoli. Il vero delitto di cui si sono spesso macchiate anche le religioni è uccidere i poveri convincendoli che sono colpevoli e che hanno meritato le loro condizioni sventurate; e così noi siamo giustificati nella nostra indifferenza, alla quale cerchiamo di associare anche Dio. Girando per Nairobi (da dove sto scrivendo queste righe) l’urlo di Giobbe è assordante; le nostre mancate risposte mascherate dalle ideologie riecheggiano ovunque. Solo in compagnia di Giobbe si può camminare nelle "periferie del capitalismo" sregolato sperando di restare un po’ giusti. Riconoscerlo lungo le strade, accostarsi alle sue ferite, e tentare almeno di fare silenzio per ascoltare fino in fondo il suo grido.
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Se la Bibbia ci ha voluto mostrare un Dio che non risponde a Giobbe, è possibile trovare una verità nel Dio che non risponde quando dovrebbe farlo. Se guardiamo bene il mondo scopriamo che Dio continua a non rispondere a Giobbe che grida. È questo Dio muto quello che i poveri della terra conoscono. Allora, forse, se vogliamo sperare di incontrare veramente lo spirito di Dio nel mondo, e non restare catturati da qualche idolo fuori e dentro le religioni, dobbiamo scoprirlo dentro le grida senza risposta, dobbiamo cercarlo dove non c’è. Le ultime parole di Giobbe contengono poi un immenso ‘giuramento di innocenza’ (‘se ho fatto questo delitto, mi colga questo male’ …). Giobbe lo aveva già pronunciato (27,1-7), ma ora diventa più solenne, finale, estremo. Un ultimo giuramento che contiene una perla, uno dei messaggi più grandi e rivoluzionari di tutto il libro e di tutti i libri. Nelle sue ultime parole scopriamo in che cosa consista veramente per Giobbe l'innocenza: “Se il mio cuore si lasciò sedurre da una donna altri si corichino con mia moglie… Se ho rifiutato ai poveri quanto desideravano, se ho lasciato languire gli occhi della vedova, se da solo ho mangiato il mio tozzo di pane, senza che ne mangiasse anche l'orfano … mi si stacchi la scapola dalla spalla e si rompa al gomito il mio braccio … Se ho riposto la mia speranza nell'oro e all'oro fino ho detto: «Tu sei la mia fiducia» … Se, vedendo il sole risplendere e la luna avanzare smagliante, si è lasciato sedurre in segreto il mio cuore e con la mano alla bocca ho mandato un bacio ...” (31,5-10;16-28). Maltrattare e non soccorrere i poveri, l’adulterio, e le molte forme di idolatria (ricchezza e astri): sono questi i reati e i delitti più gravi per Giobbe, per tutti.
Ma ad un certo punto Giobbe aggiunge qualcosa che a prima vista ci lascia molto perplessi, stupiti, turbati. Sembra che Giobbe alla fine della sua arringa pronunci una ammissione di colpevolezza: “Non ho nascosto come uomo la mia colpa, tenendo celato nel mio petto il mio delitto” (31,33-34). Proprio nell’ultimo atto della sua difesa, a pochi passi dal traguardo si arrende, e seguendo i consigli degli amici ammette di essere colpevole, nega la sua innocenza che era stata il solo bene che aveva salvato nel tracollo totale. È questo il senso di queste parole? No. Giobbe qui ci sta dicendo qualcosa di diverso e molto importante, come sua ultima parola, come un testamento. Riconoscendo la colpa Giobbe conclude i suoi discorsi allargando il territorio dell’innocenza umana fino a comprendervi anche il peccato. L’uomo giusto non è chi non pecca e non compie delitti, perché peccare è parte della condizione umana. Giobbe ha sempre negato la teologia economica degli amici che associavano la sua condizione di sventurato al suo peccato. ..
Anche Giobbe ha peccato. Si possono commettere peccati e delitti restando giusti se non si esce dalla verità su di sé e dalla verità sulla vita. È la menzogna il grande e unico peccato contro il Dio di Giobbe, il peccato di chi sa di sbagliare e tiene ‘celata nel petto la colpa’, perché ammettendola e riconoscendola pubblicamente dimostrerebbe la volontà di conversione, e resterebbe giusto. Ci sono persone ingiuste e non innocenti che ricevono lodi pubbliche e onorificenze civili, e le carceri sono piene di giusti come Giobbe. Dio, se non è un idolo, non è libero di non perdonare il peccato dei giusti. Allora con le sue ultime parole Giobbe ci sta dicendo qualcosa di decisivo per ogni esperienza di fede: anche il peccatore può restare innocente. E se anche il peccatore resta dentro il territorio dell’innocenza, allora ci si può sempre risollevare dopo ogni caduta: innocenti si può tornare. Giobbe lo sa, perché crede e spera solo in questo Dio.
È con questa innocenza sincera, vera, onesta, che Giobbe termina il racconto della sua storia. Ha svolto il suo compito, ha terminato la sua missione. Ha combattuto una buona battaglia. Ha conservato la fede nell’uomo, in Elohim, nella propria dignità, nel proprio onore, nell’innocenza dell’uomo, di ogni uomo. E lo ha fatto per noi, continua a farlo per noi, per includere nel regno degli innocenti anche i peccatori che continuano ad essere giusti.
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Nelle prove della vita, anche in quelle grandi e tremende, la cosa importante, la sola cosa veramente importante, è arrivare fino alla fine della notte, non smettere di attendere un altro Dio, e giungere a questo incontro decisivo a testa alta. Non tutte le attese di Dio avvengono a testa alta, perché per tenere la testa alta e poter guardare Elohim negli occhi quando arriverà occorre vivere le prove della vita come Giobbe, non accontentandosi di un dio minore e di un uomo peggiore per salvarsi. Giobbe giungendo come un principe alla fine della sua difesa ha continuato ad allargare l’orizzonte dell’umano buono fino a farlo coincidere, sulla linea dell’orizzonte, con il cielo buono del suo Dio.
Leggi tutto:
- Un uomo di nome Giobbe/10 - Fedeli al Dio del non ancora di nome Giobbe/9 - Il veleno della falsa misericordia
- Un uomo di nome Giobbe/8 - La rivoluzione dell’ascolto
- Un uomo di nome Giobbe/7 - La parola che vince la morte
- Un uomo di nome Giobbe /6 - La memoria viva della terra
- Un uomo di nome Giobbe /5 - Attenti ai ruffiani di Dio
- Un uomo di nome Giobbe /4 - La responsabilità di Dio
- Un uomo di nome Giobbe /3 - L’arca del duro canto
- Un uomo di nome Giobbe /2 - La risposta dell’intoccabile
- Un uomo di nome Giobbe / 1 - Nudo è il dialogo con Dio