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venerdì 19 febbraio 2016

La miniera della sapienza di Luigino Bruni


Un uomo di nome Giobbe/11 - 
Cerchiamo il cielo che è in noi,
fedeli alla verità che ci abita



La miniera della sapienza 
di Luigino Bruni




Giobbe continua ad interrogare il cielo. Per merito suo noi sappiamo che all’uomo è dato trasformare l’ingiustizia divina in giustizia umana. C’era una volta, in un paese lontano, un uomo leggendario, giusto e generoso, che, nella solitudine e nella disperazione, trovò il coraggio di affrontare Dio. E di obbligarlo di guardare la sua Creazione. 

(Elie Wiesel, Personaggi biblici attraverso il Midrash)


La storia delle religioni e dei popoli è il dispiegarsi di una vera e propria lotta tra chi imprigiona Dio dentro le ideologie e chi cerca di liberarlo. I profeti appartengono alla categoria dei liberatori di Dio, che svolgono la funzione essenziale di critica di tutti i poteri che in ogni epoca subiscono il fascino invincibile di usare le religioni e le ideologie per rafforzare le proprie posizioni di dominio. Giobbe è uno di questi ‘profeti’, che più di tutti ci costringe ad andare al cuore del meccanismo del potere, criticando e attaccando direttamente l’idea di Dio costruita dalle ideologie del suo tempo. Non si limita quindi a criticare i potenti, i sacerdoti e i re, ma come e più dei grandi profeti della Bibbia vuole smontare l’idea di Dio che sostiene artificialmente l’intero edificio del potere. La sua richiesta ostinata di processare il Dio ideologico dei suoi ‘amici’ è la pre-condizione per liberare la possibilità di un altro Dio. Quando in una comunità religiosa Giobbe è eclissato o ammutolito, proliferano le risposte in nome di Dio e spariscono le domande a Dio. E quando smettiamo di fare domande nuove e difficili a Dio, gli impediamo di parlare alla nostra storia e di crescere in essa, lo imbrigliamo all’interno di categorie astratte che non capiscono più le parole e le grida delle vittime. I profeti sono indispensabili perché chiamano l’uomo a morire e risorgere per liberarsi dalle idolatrie, e perché costringono Dio a morire e risorgere per essere all’altezza dell’umano vero.
... Come cerniera tra la prima e la seconda parte del libro, incontriamo ora un Inno alla Sapienza, forse un poema preesistente inserito dall’autore del libro per spezzare il ritmo narrativo, e farci prendere fiato. Un interludio difficile da decifrare ma ricco di poesia, l’ennesimo dono di questo immenso libro. “L’argento ha la sua miniera, l’oro il suo crogiolo”, gli uomini esplorano “gli antri più profondi, le grotte più lugubri”, perforano gallerie nel sottosuolo, e per raggiungere i preziosi metalli “penzolano sfiniti”. È l’uomo della tecnica che usa la sua intelligenza per dominare il mondo: “Nella roccia trivella gallerie, in cerca di ogni prezioso, sbarra le sorgenti dei fiumi, porta alla luce ciò che è occulto” (28,1-11).
...Giobbe era giusto da ricco e continua ad esserlo da povero e sventurato. I beni passano e sono mutevoli, la giustizia e la sapienza sono per sempre, e quindi sono un investimento molto più intelligente. Potremmo quindi leggere questo interludio come una conferma e un’approvazione della ‘teologia’ di Giobbe e una critica alle teologie economiche e retributive degli amici. Questo inno alla sapienza ci ricorda poi l’antica e importante verità che la sapienza è dono, è gratuità, charis, non è una merce da acquistare né con oro né tramite indovini o maghi. Anche in questo Elohim-YHWH si distingue dagli idoli, che danno ai loro adulatori la loro ‘sapienza’ se pagano il prezzo in termini di sacrifici e sottomissione. Il Dio biblico non è un idolo perché non vende la sapienza, ma la dona liberamente – ogni religione retributiva è, nella sostanza, una religione idolatrica e commerciale. Parole che potevano essere pronunciate anche da Giobbe.
... Questo inno alla sapienza contiene allora una mezza verità. Ci ricorda che la sapienza è dono, ma non ci dice che questo dono lo riceviamo venendo al mondo, e che abita dentro di noi. È lì dove possiamo scavare per raggiungerlo, e raggiunto scopriamo che è la parte migliore di noi. È lì che possiamo incontrare, scoprire, ascoltare, seguire la sapienza. È lì che possiamo riconoscere anche la voce di Elohim, una voce che non potremmo riconoscere se non fosse già dentro di noi, magari coperta o ferita. Se l’adam è impastato a immagine di Elohim, la sapienza divina è anche la sapienza umana. Il cielo dentro di noi non è diverso dal cielo sopra di noi, e se si abbuia il cielo dentro anche quello in alto si spegne o si riempie di idoli. Il canto di Giobbe è un grande inno alla verità dell’essere umano vivente, che è più vera di tutte le sue notti. Se Dio è vero anche l’uomo è vero, e la sua coscienza retta non è auto-inganno. Se Dio è sapienza, anche l’uomo è sapienza. Se separiamo queste due sapienze-verità - lo abbiamo fatto molte volte, e continuiamo a farlo – le religioni diventano inutili, gli umanesimi si smarriscono, e Giobbe termina il suo canto. 

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Fedeli al Dio del non ancora di Luigino Bruni (PDF)



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