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martedì 2 febbraio 2016

Papa Francesco a religiosi e religiose: i tre pilastri importanti della vita consacrata profezia, prossimità, speranza.

 1 febbraio 2016 

Nell'aula Paolo VI il Santo Padre a conclusione dell’Anno della Vita consacrata ha incontrato cinquemila religiosi e religiose.
Francesco ha messo da parte il discorso scritto che aveva preparato («è un po’ noioso leggerlo, preferisco parlare con voi di quello che mi viene al cuore, d’accordo?»), scandendo a braccio il discorso con tre parole-chiave, profezia, prossimità e speranza.
Il Papa ha parlato a braccio per circa mezz’ora, sintetizzando i contenuti del discorso già scritto e arricchendoli con confidenze e riflessioni colloquiali.
Il cardinale Joao Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita religiosa e le Società di Vita apostolica, ha aperto l’incontro sottolineando, tra l’altro: «Sappiamo che è ancora grande il numero di coloro che lasciano la vita religiosa, in molti luoghi è accentuato il calo delle vocazioni, altri faticano, ma in quest’Anno santo vediamo rinascere la speranza e la fiducia nel Signore», sottolineando che con l’Anno della Vita consacrata è stato intrapreso un cammino di conversione che ha riguardato anche l’uso del denaro e dei beni.
Monsignor José Rodriguez Carballo, segretario dello stesso Dicastero, ha ringraziato il Papa per l’Anno della Vita consacrata che si conclude oggi (29 novembre 2014 - 2 febbraio 2016).


Parole pronunciate dal Santo Padre:

Cari sorelle e fratelli,

ho preparato un discorso per questa occasione sui temi della vita consacrata e sui tre pilastri; ce ne sono altri, ma tre importanti della vita consacrata. Il primo è la profezia, l’altro è la prossimità e il terzo è la speranza. Profezia, prossimità, speranza. Ho consegnato al Cardinale Prefetto il testo, perché leggerlo è un po’ noioso, e preferisco parlare con voi di quello che mi viene dal cuore. D’accordo?

Religiosi e religiose, cioè uomini e donne consacrati al servizio del Signore che esercitano nella Chiesa questa strada di una povertà forte, di un amore casto che li porta ad una paternità e ad una maternità spirituale per tutta la Chiesa, un’obbedienza… Ma in questa obbedienza ci manca sempre qualcosa, perché la perfetta obbedienza è quella del Figlio di Dio, che si è annientato, si è fatto uomo per obbedienza, fino alla morte di Croce. Ma ci sono tra voi uomini e donne che vivono un’obbedienza forte, un’obbedienza… - non militare, no, questo no; quella è disciplina, un’altra cosa – un’obbedienza di donazione del cuore. E questo è profezia. “Ma tu non hai voglia di fare qualcosa, quell’altra?...” - “Sì, ma secondo le regole devo fare questo, questo e questo. E secondo le disposizioni questo, questo e questo. E se non vedo chiaro qualcosa, parlo con il superiore, con la superiora, e, dopo il dialogo, obbedisco”. Questa è la profezia, contro il seme dell’anarchia, che semina il diavolo. “Tu che fai?” - “Io faccio quello che mi piace”. L’anarchia della volontà è figlia del demonio, non è figlia di Dio. Il Figlio di Dio non è stato anarchico, non ha chiamato i suoi a fare una forza di resistenza contro i suoi nemici; Lui stesso lo ha detto a Pilato: “Se io fossi un re di questo mondo avrei chiamato i miei soldati per difendermi”. Ma Lui ha fatto l’obbedienza del Padre. Ha chiesto soltanto: “Padre, per favore, no, questo calice no... Ma si faccia quello che Tu vuoi”. Quando voi accettate per obbedienza una cosa, che forse tante volte non ci piace… [fa il gesto di ingoiare] …si deve ingoiare quell’obbedienza, ma si fa. Dunque, la profezia. La profezia è dire alla gente che c’è una strada di felicità, di grandezza, una strada che ti riempie di gioia, che è proprio la strada di Gesù. È la strada di essere vicino a Gesù. È un dono, è un carisma la profezia e lo si deve chiedere allo Spirito Santo: che io sappia dire quella parola, in quel momento giusto; che io faccia quella cosa in quel momento giusto; che la mia vita, tutta, sia una profezia. Uomini e donne profeti. E questo è molto importante. “Mah, facciamo come fanno tutti…”. No. La profezia è dire che c’è qualcosa di più vero, di più bello, di più grande, di più buono al quale tutti siamo chiamati.

Poi l’altra parola è la prossimità. Uomini e donne consacrate, ma non per allontanarmi dalla gente e avere tutte le comodità, no, per avvicinarmi e capire la vita dei cristiani e dei non cristiani, le sofferenze, i problemi, le tante cose che si capiscono soltanto se un uomo e una donna consacrati diventano prossimo: nella prossimità. “Ma, Padre, io sono una suora di clausura, cosa devo fare?”. Pensate a santa Teresa del Bambin Gesù, patrona delle missioni, che con il suo cuore ardente era prossima, e le lettere che riceveva dai missionari la facevano più prossima alla gente. Prossimità. Diventare consacrati non significa salire uno, due, tre scalini nella società. È vero, tante volte sentiamo i genitori: “Sa Padre, io ho una figlia suora, io ho un figlio frate!”. E lo dicono con orgoglio. Ed è vero! È una soddisfazione per i genitori avere i figli consacrati, questo è vero. Ma per i consacrati non è uno status di vita che mi fa guardare gli altri così [con distacco]. La vita consacrata mi deve portare alla vicinanza con la gente: vicinanza fisica, spirituale, conoscere la gente. “Ah sì Padre, nella mia comunità la superiora ci ha dato il permesso di uscire, andare nei quartieri poveri con la gente… “ – “E nella tua comunità, ci sono suore anziane?” – “Sì, sì… C’è l’infermeria, al terzo piano” – “E quante volte al giorno tu vai a trovare le tue suore, le anziane, che possono essere tua mamma o tua nonna?” – “Ma, sa Padre, io sono molto impegnata nel lavoro e non ce la faccio ad andare…”. Prossimità! Qual è il primo prossimo di un consacrato o di una consacrata? Il fratello o la sorella della comunità. Questo è il vostro primo prossimo. E anche una prossimità carina, buona, con amore. Io so che nelle vostre comunità mai si chiacchiera, mai, mai… Un modo di allontanarsi chiacchiere. Sentite bene: non le chiacchiere, il terrorismo delle chiacchiere. Perché chi chiacchiera è un terrorista. È un terrorista dentro la propria comunità, perché butta come una bomba la parola contro questo, contro quello, e poi se va tranquillo. Distrugge! Chi fa questo distrugge, come una bomba, e lui si allontana. Questa, l’apostolo Santiago diceva che era la virtù forse più difficile, la virtù umana e spirituale più difficile da avere, quella di dominare la lingua. Se ti viene di dire qualcosa contro un fratello o una sorella, buttare una bomba di chiacchiera, morditi la lingua! Forte! Terrorismo nelle comunità, no! “Ma Padre se c’è qualcosa, un difetto, qualcosa da correggere?”. Tu lo dici alla persona: tu hai questo atteggiamento che mi dà fastidio, o non sta bene. O se non è conveniente – perché alle volte non è prudente – tu lo dici alla persona che può rimediare, che può risolvere il problema e a nessun altro. Capito? Le chiacchiere non servono. “Ma in capitolo?”. Lì sì! In pubblico, tutto quello che senti che devi dire; perché c’è la tentazione di non dire le cose in capitolo, e poi di fuori: “Hai visto la priora? Hai visto la badessa? Hai visto il superiore?...”. Ma perché non lo ha detto lì in capitolo?... È chiaro questo? Sono virtù di prossimità. E i Santi avevano questo, i Santi consacrati avevano questo. Santa Teresa di Gesù Bambino mai, mai si è lamentata del lavoro, del fastidio che le dava quella suora che doveva portare alla sala da pranzo, tutte le sere: dal coro alla sala da pranzo. Mai! Perché quella povera suora era molto anziana, quasi paralitica, camminava male, aveva dolori – anch’io la capisco! –, era anche un po’ nevrotica… Mai, mai è andata da un’altra suora a dire: “Ma questa come dà fastidio!”. Cosa faceva? La aiutava ad accomodarsi, le portava il tovagliolo, le spezzava il pane e le faceva un sorriso. Questa si chiama prossimità. Prossimità! Se tu butti la bomba di una chiacchiera nella tua comunità, questa non è prossimità: questo è fare la guerra! Questo è allontanarti, questo è provocare distanze, provocare anarchismo nella comunità. E se, in questo Anno della Misericordia, ognuno di voi riuscisse a non fare mai il terrorista chiacchierone o chiacchierona, sarebbe un successo per la Chiesa, un successo di santità grande! Fatevi coraggio! Le prossimità.

E poi la speranza. E vi confesso che a me costa tanto quando vedo il calo delle vocazioni, quando ricevo i vescovi e domando loro: “Quanti seminaristi avete?” - “4, 5…”. Quando voi, nelle vostre comunità religiose – maschili o femminili – avete un novizio, una novizia, due… e la comunità invecchia, invecchia…. Quando ci sono monasteri, grandi monasteri, e il Cardinale Amigo Vallejo [si rivolge a lui] può raccontarci, in Spagna, quanti ce ne sono, che sono portati avanti da 4 o 5 suore vecchiette, fino alla fine… E a me questo fa venire una tentazione che va contro la speranza: “Ma, Signore, cosa succede? Perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile?”. Alcune congregazioni fanno l’esperimento della “inseminazione artificiale”. Che cosa fanno? Accolgono…: “Ma sì, vieni, vieni, vieni…”. E poi i problemi che ci sono lì dentro… No. Si deve accogliere con serietà! Si deve discernere bene se questa è una vera vocazione e aiutarla a crescere. E credo che contro la tentazione di perdere la speranza, che ci dà questa sterilità, dobbiamo pregare di più. E pregare senza stancarci. A me fa tanto bene leggere quel brano della Scrittura, in cui Anna – la mamma di Samuele – pregava e chiedeva un figlio. Pregava e muoveva le labbra, e pregava… E il vecchio sacerdote, che era un po’ cieco e che non vedeva bene, pensava che fosse ubriaca. Ma il cuore di quella donna [diceva a Dio]: “Voglio un figlio!”. Io domando a voi: il vostro cuore, davanti a questo calo delle vocazioni, prega con questa intensità? “La nostra Congregazione ha bisogno di figli, la nostra Congregazione ha bisogno di figlie…”. Il Signore che è stato tanto generoso non mancherà la sua promessa. Ma dobbiamo chiederlo. Dobbiamo bussare alla porta del suo cuore. Perché c’è un pericolo - e questo è brutto, ma devo dirlo -: quando una Congregazione religiosa vede che non ha figli e nipoti ed incomincia ad essere sempre più piccola, si attacca ai soldi. E voi sapete che i soldi sono lo sterco del diavolo. Quando non possono avere la grazia di avere vocazioni e figli, pensano che i soldi salveranno la vita; e pensano alla vecchiaia: che non manchi questo, che non manchi quest’altro… E così non c’è speranza! La speranza è solo nel Signore! I soldi non te la daranno mai. Al contrario: ti butteranno giù! Capito?.

Questo volevo dirvi, invece di leggere le pagelle che il Cardinale Prefetto vi darà dopo…

E vi ringrazio tanto per quello che fate. I consacrati – ognuno col suo carisma. E voglio sottolineare le consacrate, le suore. Cosa sarebbe la Chiesa se non ci fossero le suore? Questo l’ho detto una volta: quando tu vai in ospedale, nei collegi, nelle parrocchie, nei quartieri, nelle missioni, uomini e donne che hanno dato la loro vita… 
Nell’ultimo viaggio in Africa – questo l’ho raccontato, credo, in una udienza – ho trovato una suora di 83 anni, italiana. Lei mi ha detto: “E’ da quando avevo - non ricordo se mi ha detto 23 o 26 anni - che sono qui. Sono infermiera in un ospedale”. Pensiamo: dai 26 anni fino agli 83! “E ho scritto ai miei in Italia che non tornerò più”. Quando tu vai in un cimitero e vedi che ci sono tanti missionari religiosi morti e tante suore morte a 40 anni perché hanno preso le malattie, queste febbri di quei Paesi, hanno bruciato la vita… Tu dici: questi sono santi! Questi sono semi! Dobbiamo dire al Signore che scenda un po’ su questi cimiteri e veda cosa hanno fatto i nostri antenati e ci dia più vocazioni, perché ne abbiamo bisogno!

Vi ringrazio tanto per questa visita, ringrazio il Cardinale Prefetto, Monsignor Segretario, i Sottosegretari per quello che avete fatto in questo Anno della Vita Consacrata. Ma, per favore, non dimenticare la profezia dell’obbedienza, la vicinanza, il prossimo più importante, il prossimo più prossimo è il fratello e la sorella di comunità, e poi la speranza. Che il Signore faccia nascere figli e figlie nelle vostre Congregazioni. E pregate per me. Grazie!

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