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giovedì 29 ottobre 2015

La memoria viva della terra di Luigino Bruni


Un uomo di nome Giobbe/6 - 
Si fa giustizia quando 
non si "ricopre" la sofferenza dei giusti



La memoria viva della terra
di Luigino Bruni




"Laudato si’, mi Signore, per sora nostra madre terra. Laudato si’ mi Signore per sora nostra morte corporale" (San Francesco, Il cantico delle creature)

La colpa e il debito sono grandi temi della vita di tutti. In tedesco sono quasi la stessa parola: schuld e schuldig. Nasciamo innocenti, e possiamo restarci tutta la vita. Come Giobbe. La morte di ogni bambino è morte innocente, ma anche molte morti di vecchi sono altrettanto innocenti. E Dio, diversamente dagli idoli, deve essere il primo ad ‘alzare la sua mano’ in nostra difesa, a credere nella nostra innocenza contro tutte le accuse dei nostri amici, delle religioni, delle teologie. Le prigioni continuano ad essere piene di schiavi accusati di debiti inesistenti, e i carcerieri ad arricchirsi trafficando con le loro vittime innocenti anelanti liberazioni. Dopo il primo ciclo di dialoghi tra Giobbe e i suoi tre ‘amici’, entriamo ora in un nuovo atto del libro, quando ciascun amico a turno riprende la parola per ripetere, esasperandole, le proprie critiche, accuse, teorie, prediche. E Giobbe, al centro della scena sul mucchio di letame, continua a fare domande più grandi, ad attendere risposte diverse
...
“Terra il mio sangue non ricoprire, il mio grido non abbia mai fine” (16,18). Nel momento in cui Giobbe sente certa la sconfitta e la morte, abbassa gli occhi, guarda la terra e la chiama per nome. Schiacciato e fracassato, impara a pregare la terra. Questa preghiera - che è l’opposto dei culti fuoristagione alla dea madre - è il canto del terrestre, dell’adam che gettato col muso sulla polvere riesce a parlare alla terra (adamah), a vederla e sentirla diversamente, come un’amica leale. E chiama sorelle le marmegge e fratelli i vermi che si nutriranno del suo corpo, abitanti, come lui, della stessa terra. Ci vogliono le stimmate per sentire e chiamare veramente sorelle la terra e la morte. La terra ha ascoltato la preghiera di Giobbe. Non ha ricoperto il sangue di molti giusti, e continua a conservare la memoria del grido di Giobbe e dei suoi fratelli. Ogni persona, ogni comunità, ogni cultura ha i suoi luoghi che continuano il grido di Giobbe e degli innocenti. Le steli, i monumenti, la stanza del figlio, molta poesia ed arte che custodiscono le grida dell’anima - anche se troppo sangue spirituale viene disperso, ricoperto e assorbito dalla terra, per mancanza di poeti e di artisti, o perché troppo segreto e grande per essere visto da qualcuno. Questi luoghi li conosciamo e li riconosciamo, e ringraziamo la terra e i suoi abitanti per non averli ricoperti, per aver consentito al canto-grido di Giobbe di non spegnersi nella gola del mondo. Alla terra va chiesto, va supplicato, di non ricoprire il sangue dei giusti, perché la vita vorrebbe e dovrebbe ricoprirlo. L’amore umano chiede alla terra di dimenticare, seppellendolo, il grande dolore – e Giobbe lo dissotterra per un amore più vero. La terra non assorbì il sangue di Abele, quando un fratello ‘alzò la mano’ non per custodire, ma per uccidere, e l’odore di quel giusto giunse fino a Dio (Genesi, cap. 4). Giobbe, un altro giusto, chiede alla terra di non assorbire il suo sangue, perché vuole che il suo odore giunga fino a noi. Il suo grido vivo ci chiede di diventare garanti, responsabili e solidali con le tante vittime innocenti. Sapremo alzare la nostra mano per salvarle? 

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