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sabato 3 ottobre 2015

CHI TRADISCE CHI di Raniero La Valle - «Gesù disse ai Dodici: “ uno di voi mi tradirà”», Mc. 14,18-19

CHI TRADISCE CHI 
di Raniero La Valle

«Gesù disse ai Dodici: “ uno di voi mi tradirà”», Mc. 14,18-19



Discorso tenuto alla settimana alfonsiana
di Palermo 

23 settembre 2015







Il tema del tradimento di Gesù è un tema molto delicato, che va maneggiato con prudenza, perché usarlo senza discernimento può produrre conseguenze devastanti, come le produsse l’accusa di deicidio. L’accusa di aver tradito Gesù è molto prossima all’accusa di deicidio, e l’asserito tradimento di Dio legittima gli zelanti a prendere le difese di Dio, a mettersi al posto di Dio per vendicarlo, e ciò è bastato storicamente a riempire il mondo di violenza. Le religioni e le Chiese lo hanno fatto molte volte; il fanatismo che si pretende islamico lo sta facendo anche adesso. Ma non c’è neanche bisogno di essere credenti per difendere Dio e farsi vindici di lui: gli atei devoti si stracciano le vesti in nome di un Dio in cui non credono, il fascista ungherese che manda i poliziotti e i cani a fermare l’esodo dei profughi, lo fa in nome di un’Europa che “non può non dirsi cristiana” e che perciò vuole bianca, pura e spietata.
Bisogna stare attenti nell’usare la categoria del tradimento perché ci sono molti pretesi tradimenti che non lo sono affatto. Quello che gli uni soffrono come tradimento, può essere invece una prova di lungimiranza, o anche di misericordia e di amore. Quando cinque cardinali, contrastando le intenzioni del papa sulla comunione ai divorziati risposati scrivono un libro intitolato: “permanere nella verità di Cristo”, di fatto accusano il papa di tradire il Cristo e la sua verità...
Per questo Giovanni XXIII assegnò al Concilio il compito di parlare di Dio agli uomini in modo nuovo, non ripetendo sterilmente le vecchie dottrine in cui aveva trovato “rivestimento” la fede, ma investigando più profondamente (“reinvestigetur) ed enunziando il messaggio cristiano in quel modo che i nostri tempi richiedono, “ea ratione quam tempora postulant nostra”. E questo era il punctum saliens, il punto saliente, il vero cimento del Concilio, diceva papa Giovanni nel suo discorso inaugurale, la Gaudet Mater Ecclesia.
Se ora si legge l’intero corpus dei testi conciliari in quest’ottica, si vede come essi rechino uno splendido ed esaltante nuovo annunzio di Dio, e raccontino una nuova, consolante, inaspettata storia della salvezza, dove non c’è nessuna natura umana decaduta dalla perfezione originaria, dove anche dopo il primo peccato Dio non ha mai abbandonato l’uomo, dove il creato è in evoluzione e dove la perfezione sta alla fine. Questo è stato il vero dono del Concilio, al di là della mal riuscita riforma della Chiesa, questa è stata la sua vera pastoralità.
Questo dono è rimasto tuttavia a ristagnare nella Chiesa per quasi cinquant’anni, sicché non si può dire che questo scarto o ritardo della Chiesa rispetto alla missione di trasmettere la vera immagine di Dio sia stato sanato. Ma il Concilio non è finito l’8 dicembre 1965, esso si prolunga nel pontificato di papa Francesco e continuerà con l’anno santo della misericordia che Francesco ha voluto cominciasse proprio l’8 dicembre di cinquant’anni dopo.
Sicché Concilio, papa Francesco, anno della misericordia non sono tre eventi che si succedono nel tempo, ma sono un unico evento che facendo irrompere nel mondo, in un modo inatteso, il Dio della misericordia, dovrebbe dare avvio ad un tempo nuovo, non solo un anno della misericordia, ma un’età della misericordia.
Perché questa è la novità: un Dio che fin dal primo giorno del suo pontificato papa Francesco ha annunciato come il Dio della misericordia, il Dio che perdona sempre, altrimenti il mondo non potrebbe sussistere, come ha detto una “nonna” di Buenos Aires e Francesco ha riferito nel suo primo “Angelus” alla finestra. Dove la misericordia non è un semplice attributo di Dio, non è uno dei bei 99 nomi di Dio, come dicono i musulmani, ma è l’ermeneutica di Dio, la sua stessa identità, il criterio in base a cui unicamente Dio può essere compreso e professato.
Perché, come ha detto Francesco, nell’Angelus del 6 settembre scorso,, quando ha chiesto a tutte le parrocchie, le comunità e le Chiese di accogliere i profughi, misericordia è il secondo nome dell’amore e nella Bibbia c’è una guglia che sovrasta tutte le altre, è quella nella quale, una sola volta in tutto il libro sacro, nella I lettera di Giovanni, si dice che Dio è amore. E allora si capisce che cosa è venuto a fare papa Francesco, giungendo dalla fine del mondo; è venuto a riaprire la questione di Dio che la modernità aveva chiuso ritenendola ormai superata dal sapere scientifico, dalla tecnologia e dalla globalizzazione. E si capisce qual è il senso di tutto il pontificato di Francesco, il suo carisma e la sua strategia: dare al mondo un nuovo annuncio di Dio, cioè fare esattamente quello che faceva Gesù, e proprio così riparando e sanando l’oscuramento che era stato fatto di lui.
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