Vivevano al centro di viale Morandi da due mesi. Non dover più fuggire per due mesi è già un sogno inverosimile. Sono davanti a me, si stringono in gruppo, la prima volta che escono dal centro dopo… dopo l’assedio e l’assalto e le urla «vi vogliamo bruciare». Mancano i più giovani. Li hanno portati in altri luoghi; loro, gli anziani, ma il più vecchio ha forse venticinque anni, sono rimasti. Una trentina.
La furia profonda di chi non li vuole più vedere non sembra scemare, anzi contagia altre periferie di questa Roma impiastricciata di cortei rabbiosi e appelli sconsiderati. La civiltà è uno strato sottile, basta la pioggia per cancellarla. La polizia li ha scortati, («la gente ci insultava e noi zitti nel bus, gli occhi bassi…»), la messa per quelli che sono cristiani, il pranzo in un centro di accoglienza. Mi spiegano i volontari di Sant’Egidio, missionari nelle periferie di una tolleranza che sembra anch’essa straniera in tempi di traboccamenti di fiele e vendette: nel pomeriggio torneranno, laggiù.
Hanno tutti alle spalle la via lunga e pericolosa, la via dolorosa di chi ha dovuto fuggire, la strada del dolore che passa nel deserto e arriva in Libia dove si biforca verso Lampedusa, Catania, Pozzallo. Gente come questa che fugge deve continuare a vivere fidando in caso fortuiti che quanto più sono inverosimili tanto più sembrano normali. Queste sono le fiabe moderne: non molto allegre, che solo raramente terminano meglio di quanto ci si aspetti. Qui in viale Morandi c’erano ragazzini e fuggiaschi che hanno diritto alla compassione di tutto il mondo, quella grande. Non quella piccola, che li compiange ma li trova molesti e indesiderati. Qualcuno che inveisce contro di loro o peggio ha ascoltato le loro storie, sa chi sono?
...
Leggi tutto: Gli immigrati di Tor Sapienza: “Voi siete senza lavoro, è terribile. Ma la colpa non è nostra” di Domenico Quirico
Papa Francesco domenica dopo l'Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
in questi giorni a Roma ci sono state tensioni piuttosto forti tra residenti e immigrati...
Guarda il video
... "Quello di Tor Sapienza è un fenomeno diffuso anche in altri Paesi. Non si tratta di razzismo becero, alimentato da pregiudizi etnico-razziali. Ma un razzismo che gli studiosi definiscono 'razionale'. Nasce cioè dal conflitto 'urbano', prima che dal conflitto 'etnico'. Dai tentativi di dare accoglienza a questo tipo particolare di migrazione, persone in fuga da guerre e persecuzioni, e dall'accesso alle risorse che sono percepite sempre più scarse". Lo afferma Laura Zanfrini, ordinaria di sociologia delle migrazioni e delle relazioni interetniche presso l'Università Cattolica di Milano. "Ma si rischia una degenerazione - spiega - soprattutto perché si sottovaluta che le relazioni di vicinanza e convivenza nel quartiere non possono essere imposte dall'alto, ma devono essere costruite nei territori". "Non a caso - prosegue la prof. Zanfrini - le esperienze più virtuose, sia di gestione dei minori non accompagnati, che di gestione di profughi giunti per motivi umanitari, le troviamo laddove la società civile è stata in qualche modo coinvolta, è diventata protagonista e ha guardato a questi problemi con spirito costruttivo". "Ci sono casi di buone pratiche - come quello esemplare di Riace in Calabria - dove quello che era un problema si è trasformato in una risorsa perché ha rivitalizzato la vita sociale ed economica di un quartiere. E qui lo Stato spende molto meno di quanto spende tenendo i profughi in centri di accoglienza temporanei". "A Tor Sapienza la gente invece sembra non essere stata coinvolta e in questo la Chiesa, come in altri casi, ha fatto e può fare molto. Le parrocchie possono diventare luoghi dove costruire cittadinanza dal basso. L'importante è vedere i profughi non solo come soggetti da aiutare ma soggetti da coinvolgere", conclude la prof. Zanfrini...