La mia generazione conserva la memoria di una predicazione annuale sulle realtà ultime e definitive, dette appunto novissimi. Morte, giudizio, e quindi l’esito definitivo, inferno o paradiso, stavano come eventi davanti a ciascuno di noi, eventi capaci di destare paura, o almeno timore. Soprattutto il canto del Dies irae (“Giorno di ira sarà quel giorno…”), che risuonava in occasione delle liturgie dei morti, ci descriveva il giudizio universale e particolare al quale saremo stati chiamati. Cos’era il giorno della morte se non innanzitutto il giorno della chiamata in giudizio di ciascuno di noi da parte di Dio? E va detto che erano soprattutto le persone più sante ad avere paura del giudizio, dunque quanto più dovevano temerlo i cristiani quotidiani…
Sì, anche a causa di questa paura angosciosa sovente insegnata, il discorso sul giudizio è stato screditato. E così da anni su questo tema regna il silenzio, in forza del quale molti si rivolgono ad altre letture delle realtà ultime: la grande diffusione della credenza nella reincarnazione, per fare solo un esempio, vuole riempire il vuoto lasciato dalla predicazione ecclesiale. Ma il tema del giudizio nel cristianesimo non può essere evaso, è decisivo per conoscere il vero volto di Dio. La predicazione del giudizio fa parte del Vangelo, della buona notizia, e come buona notizia, certamente a caro prezzo come la grazia, il giudizio va confessato, ricordato e preparato da ogni credente.
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Al di là della profezia dei Maya e degli allarmismi che ha scatenato, avrebbe senso riflettere sul significato autentico dell'apocalisse e sul giudizio finale. Aiutati dall'arte.
... Visto che, comunque, si fa un gran parlare di questa imminente fine del mondo, al punto che si ha l'impressione che sia diventata una delle tante mode passeggere che riempiono le nostre giornate, anche in questo caso ciclicamente (si vedano le varie feste, corse ai rifugi, happening programmati un po' dovunque), possiamo provare a ricavare qualcosa di buono dalla situazione, magari cercando il significato autentico delle cose.
In questo senso, i cristiani dovrebbero essere in prima fila: come ha ricordato Enzo Bianchi nel suo intervento di domenica scorsa su Avvenire, ad esempio, l'annuncio del «giorno in cui il Signore verrà» non può essere eluso. Il Dies irae, per recuperare il canto che risuona in occasione delle liturgie dei morti, è decisivo sia per conoscere il vero volto di Dio, sia per ristabilire la giustizia, mettere da una parte i buoni e dall'altra i cattivi, affinché a ciascuno sia data la giusta ricompensa. Vale anche la pena ricordare, essendo noi maestri nel dimenticare, che l'Apocalisse è il libro finale del Nuovo Testamento e della Bibbia, nel quale si annuncia l'avvento della Gerusalemme celeste. La parola greca, apokalypsis, indica un rivelare ciò che è nascosto.
Alcune iniziative culturali possono inoltre aiutarci a capire il significato autentico dell'apocalisse e della fine del mondo.
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