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giovedì 10 marzo 2016

Si chiudono le frontiere, si costruiscono i muri e chi cerca una speranza di vita... continua a morire

La tragedia del bimbo siriano emozionò il mondo e convinse i Grandi ad agire. Ma sei mesi dopo quella foto è solo ricordo e il dramma continua nel silenzio

L’hotel Woxxie, 4 stelle con spiaggia privata, è chiuso per bassa stagione. Le alghe ondeggiano sulla battigia avanti e indietro. Ogni tanto, dalla curva spunta un vecchio motorino scarburato, lo senti accelerare via, poi silenzio. Soltanto il rumore del mare. Sul promontorio, la luce del faro segna la rotta per i naviganti. E questa spiaggia, la spiaggia dove è morto Aylan Kurdi, è qui per dimostrare come il tempo sciacqui via tutte le cose. 
Era il 2 settembre, non doveva più succedere. Lo avevano giurato i grandi del mondo, con quelle frasi tipiche da telegiornali: «Che la tragedia di questo bambino annegato serva almeno a qualcosa. Non deve succedere mai più». Nel frattempo sono morti almeno altri 340 bambini, due al giorno. E continuano a morire, gli ultimi tre sabato notte. Sulla spiaggia torneranno i turisti. La tragedia non è servita. 
Perdonaci Aylan, era tutto sbagliato. Tutto impreciso. Retorico come certi castelli sulla sabbia.
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Sono 15mila i profughi ammassati in condizioni disperate a Idomeni, in Grecia al confine con la Macedonia. Ieri sera tutti hanno aspettato con ansia notizie da Bruxelles, dove era in corso il vertice dei 28 leader Ue con il primo ministro turco Ahmet Davutoglu. Ma oltre allo sconforto per il nulla di fatto, a Idomeni è arrivata la pioggia. Le tende da campeggio si sono presto allagate e i campi arati si sono trasformati in una trappola di fango. Molti sono stati costretti ad abbandonare il confine durante la notte, cercando rifugio sotto le tettoie dei benzinai lungo la statale, a pochi chilometri di distanza. L’indomani, tra i falò di chi ha iniziato ad asciugare i vestiti fradici, è giunta la notizia del rinvio al 17 e 18 marzo del confronto tra i leader europei. Tutto rimandato al prossimo Consiglio Europeo, quindi, che deciderà del loro futuro. A Bruxelles non si è andati oltre a una promessa di collaborazione su “principi di base“, tutto qui, dopo che la Turchia ha raddoppiato le richieste di fondi per far fronte all’emergenza dei migranti. Un “piccolo passo avanti”, lo ha definito il premier italiano Matteo Renzi. Troppo poco per le migliaia di persone che formano interminabili code per il pane, visto che a Idomeni nessuno offre pasti caldi e le condizioni igieniche sono allarmanti. Lo dicono le associazioni umanitarie presenti, che lanciano l’allarme sulle possibili epidemie di colera, morbillo e meningite. I più esposti sono ovviamente i bambini, in un accampamento dove il 35% dei profughi è minorenne. Una situazione che peggiora di giorno in giorno. Ma i profughi non se ne andranno.
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La Slovenia da mezzanotte ha chiuso le frontiere ai migranti: respingerà chiunque non abbia un documento in regola per l’area Schengen, compresi i siriani in fuga dalla guerra. «La rotta balcanica non esiste più» ha affermato il primo ministro sloveno Miro Cerar. La Serbia poche ore dopo si è accodata alla decisione del governo sloveno: adotterà misure reciproche alle frontiere con Macedonia e Bulgaria: «Considerando le decisioni adottate da un Paese membro dell'Unione europea, la Serbia non può consentire che il suo territorio diventi un campo profughi», si legge in una nota del ministero dell'interno serbo. 
Le decisioni che arrivano dai Paesi Balcani e mettono la parole fine su Schengen sulla rotta balcanica sono la diretta conseguenza delle bozze dell’accordo tra Ue e Turchia. Per l’Onu l'accordo preliminare non fornisce garanzie di protezione ai rifugiati e violano il diritto internazionale. Il meccanismo “uno a uno” proposto dalla Turchia impone che per ogni profugo riammesso da Ankara i 28 dovranno accoglierne uno in modo legale. L’accordo sarà ridiscusso al Consiglio europeo del 17 e 18 marzo.

E se Schengen e la libertà di circolazione non viene più rispettata, che cosa succede alle migliaia di profughi che si trovano a Idomeni?
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Mentre l'Unione Europea litiga e non trova l'accordo, alza i muri e alimenta l'onda xenofoba , l'emergenza migranti diventa giorno dopo giorno sempre più drammatica. Da inizio 2015, sono già oltre 4.200 i morti, di cui 330 bambini solo in Grecia, secondo le stime dell' Onu. Uomini, donne, anziani e minorenni che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere via mare le coste europee. «Circa un milione di persone ha raggiunto finora l'Europa» ha detto Sabine Freizer, delegata Onu per l'Ufficio regionale Europa e Asia Centrale per l'uguaglianza di genere, intervenendo ieri a Instanbul in un convegno per l'8 marzo. «E la maggioranza di quelli che hanno intrapreso i viaggi sui barconi sono donne e bambini» ha aggiunto la delegata. 
Anche in questi primi mesi del 2016, i numeri sono impressionanti: secondo i dati diffusi dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) sono già 141.141 i migranti arrivati sulle coste greche e italiane, 444 quelli invece che non ce l'hanno fatta. 347 sono morti nell'Egeo, fra cui 60 bambini, 97 invece i migranti che hanno perso la vita nel canale di Sicilia, nel tentativo di raggiungere le coste italiane, dove, invece, sempre da inizio anno, sono sbarcate 9.294 persone. 
«In Italia abbiamo avuto un incremento di arrivi soprattutto da parte delle popolazioni subsahariane - spiega Flavio Di Giacomo, portavoce in Italia dell'Oim - più che raddoppiati somali e sudanesi mentre ci attendiamo una nuova ondata di eritrei tra la primavera e l'estate». Intanto è preoccupazione sul progetto d'accordo Ue-Turchia che potrebbe prevedere nuovi respingimenti.
L'intesa, che sarà finalizzata al prossimo vertice europeo, prevede innanzitutto che la Turchia si riprenda tutti i migranti 'economici' (quelli che non hanno diritto alla protezione internazionale) che sono arrivati in Grecia dopo aver attraversato illegalmente la frontiera. Inoltre, saranno rimandati indietro, anche i profughi che avrebbero diritto alla protezione internazionale (siriani compresi) ma che sono approdati illegalmente nelle isole greche dell'Egeo partendo dalle coste turche. «Sono profondamente preoccupato da qualsiasi accordo che possa implicare un respingimento a tappeto da un Paese ad un altro senza le protezioni di salvaguardia previste dalla legge internazionale» ha dichiarato l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i Rifugiati, Filippo Grandi al parlamento europeo. «Una persona che chiede asilo può essere rimpatriata solo se la sua protezione viene garantita» ha aggiunto Grandi. Ma c'è anche molta confusione sulle modalità relative alla richiesta di protezione internazionale. Fra le persone cioè che fuggono dalla guerra e i cosiddetti migranti economici. 
Chi si ritrova lontano dal proprio Paese (dal quale è fuggito in cerca di lavoro) ma poi, in seguito a violenze, soprusi o sfruttamenti non è più in grado di rientrare. Come è il caso ad esempio dei migranti subsahariani che, una volta arrivati in Libia da lì non riescono a fare il ritorno al proprio Paese e la via meno pericolosa rimane quella di tentare la traversata e raggiungere l'Europa. Oppure come può essere il caso, ad esempio di una donna migrante marocchina che, dopo aver subito una violenza e dato alla luce un bambino, non può più ritornare nel suo Paese d' origine perché ripudiata dalla famiglia. Poi ci sono anche le persecuzioni religiose. «Sono migranti economici o 'forzati' che di fatto diventano persone vulnerabili - prosegue il funzionario Oim - e in Italia, in particolare, ci troviamo così di fronte a un flusso migratorio misto e complesso, per il quale manca anche una normativa chiara e precisa»
(fonte: Avvenire - "Onu: 4.200 morti in mare «No ai respingimenti». Nel Mar Egeo sono 330 i bambini annegati" di Daniela Fassini)

Vedi anche il nostro post precedente: