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venerdì 17 aprile 2015

Immigrazione: dramma nel dramma odio religioso e fanatismo anche sui barconi dei disperati...

"Tutti siamo migranti, tutti siamo in cammino. E questa parola che tutti siamo migranti non è scritta su un libro, è scritta nella nostra carne, nel nostro cammino di vita, che ci assicura che in Gesù tutti siamo figli di Dio, figli amati, figli voluti, figli salvati. Pensiamo a questo: tutti siamo migranti nel cammino della vita, nessuno di noi ha dimora fissa in questa terra, tutti ce ne dobbiamo andare." 
Papa Francesco (Discorso a Scampia 21/03/2015)

Abbiamo sentito e letto, ieri, brani di racconti affannosi e terribili, gli stessi che hanno indotto le autorità italiane a mettere sotto chiave un gruppetto di migranti di religione islamica accusati di aver ucciso altri migranti "colpevoli" soltanto di essere cristiani e di essersi scontrati con loro. È la prima volta che accade. Ed è come se ci fosse piombato addosso, ferendoci occhi e mente, uno degli artigli del male terribile che, di là dal mare, a sud e a oriente della nostra Italia, continua a strappare, corrodere, disperdere e cancellare persino le tracce più antiche e nobili della convivenza tra uomini e comunità di fedi e costumi diversi.
E la domanda sul perché è implacabile e dura. Tra i poveri più poveri, quelli veri, vige infatti una regola di solidarietà o almeno di non ostilità che non conosce frontiere. Una regola che in questi anni raramente è stata infranta e mai comunque così atrocemente. 
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Eppure ieri abbiamo saputo che su un barcone è stata rissa e che un gruppo di poveracci ha fatto letteralmente fuori un altro gruppo di poveracci. Abbiamo saputo che a morire in mare, come sulla terra di troppi Paesi, sono stati uomini cristiani per mano di uomini musulmani. E abbiamo anche saputo che altri uomini sono scampati alla morte solo perché hanno fatto rete e muro, si sono tenuti stretti, facendo sì che nessuno più fosse scaraventato in acqua.
Questa è l’altra metà della notizia, qualunque via seguano i pensieri e il pianto, qualunque cosa gridi qualche politico cinico come gli scafisti. E ci basterà sapere ancora che anche solo un islamico ha stretto la mano di un cristiano in quella benedetta resistenza, e ci basterà sentire anche solo una voce di imam che in nome di Dio parla chiaro su questi omicidi, che la legge degli uomini giudicherà, per considerare che la vera notizia è ancora la povera e decisiva solidarietà dei poveri, la solidarietà coi più poveri.

Basta divisioni che alimentano soltanto odio e violenza. È il senso dell’appello del cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Commissione episcopale per le migrazioni della Cei, rimasto « interdetto » dalle notizie che arrivano dal Canale di Sicilia. «Continuare a dividerci tra “noi” e “loro” – spiega il porporato – non fa altro che innalzare muri più elevati di quello di Berlino. Alimentare odio, rancore e divisione allarga le distanze con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti». La responsabilità è anche di un certo modo di vivere la religione. «Quando il dio in cui si crede è quello della vendetta – osserva Montenegro – si utilizza ogni strumento per sopraffare l’altro». Anche la politica non può chiamarsi fuori perché, ricorda il cardinale, «per troppo tempo ha preferito girarsi dall’altra parte, facendo finta di niente, magari per coprire interessi particolari». L’invito, allora, è a «dare risposte più vere » alle istanze che arrivano dai Paesi poveri, senza fomentare guerre di religione. «Per la mia nomina a cardinale – conclude Montenegro – i musulmani di Sicilia mi hanno inviato una lettera bellissima, con espressioni di stima e sollecitazioni a compiere un cammino comune ». A «non esasperare il concetto dell’odio religioso» invita anche monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Cei, che si accosta con cautela alla lite scoppiata su un barcone per motivi religiosi. «Siamo davanti ad un aspetto nuovo del dramma dei migranti – registra il sacerdote, tra i maggiori esperti di migrazione – che dimostra la grande disperazione di queste persone. Ognuno, in uno spazio limitato quale può essere quello di un barcone, cerca di salvare la propria pelle. Non esaspererei il concetto dell’odio religioso». Perego si sofferma sulla situazione che i migranti si lasciano alle spalle: «Penso, ad esempio, al viaggio e alla fuga dal sud del Sahara. In molti certamente portano con sé l’odio religioso: penso alla divisione tra il Mali, dove c’è una maggioranza musulmana, e il Ghana dove la maggioranza è cristiana ma, ripeto, non esaspererei il concetto di odio religioso. Mi pare che siamo davanti ad un episodio triste ma al tempo stesso umano che mette in evidenza tutta la disperazione dei migranti. Persone con vicende diverse alle spalle, che hanno conosciuto storie di odio e divisioni, e che nell’esasperazione di un viaggio della disperazione, cercano di salvare la pelle». (fonte: Avvenire)

La Chiesa è attonita per l’uccisione dei 12 immigrati cristiani, gettati in mare durante il viaggio dalla Libia verso l’Italia. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, parla di “imbarbarimento”. 
... C’era da aspettarselo. Alcuni discorsi che finora erano stati tenuti sul piano ideologico e l’ideologia andava ad alimentare alcuni comportamenti tenuti da elementi più o meno strutturati, più o meno tenuti insieme da gruppi, da associazioni, da clan; adesso questo tipo di discorso di rivendicazione, questo tipo di contrapposizione purtroppo basata sulla religione ma che con la religione non ha niente a che fare, viene speso a livelli spiccioli e di contrasti individuali. Ecco questo, secondo me, rappresenta un passo avanti nell’imbarbarimento, nella strumentalizzazione della religione.
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Aspetto il momento in cui gli Stati Uniti, l’Europa ed altri dicano almeno una parola, almeno una!, di autocritica su quello che hanno fatto negli anni passati. Se siamo seri dobbiamo dire anche che gran parte di queste situazioni sono state favorite, se non proprio create da tipi di interventi incauti, da interventi dietro i quali stiamo scoprendo un poco alla volta che c’erano soltanto interessi: altro che voglia di esportare valori, altro che voglia di esportare democrazia!

«Più in basso di così non possiamo scendere. Ma è proprio quando il livello di allarme è massimo che si deve restare uniti per risalire tutti insieme». È «sconvolto e addolorato», ma rilancia «dialogo e confronto », Izzedin Elzir, presidente dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia (Ucoii). «Ciò che è avvenuto in mare è il massimo della disumanità – aggiunge – una barbarie che interroga tutti e che deve spingere ad agire. In primo luogo la politica, che deve abbandonare la cultura dello scarto e dell’indifferenza per abbracciare la cultura della partecipazione. Risolvere le ingiustizie che ancora ci sono nel mondo può essere un primo passo per far cessare questa guerra tra poveri alimentata dall’odio e dal fanatismo». All’azione sollecita anche il sociologo di origine algerina Khaled Fouad Allam, che lancia la proposta di una grande catena di pace attraverso l’Europa. «Sarebbe un segnale molto forte – spiega – se, anche per un solo minuto, cristiani, musulmani ed ebrei si dessero la mano, dalla Sicilia alla Norvegia, per testimoniare concretamente i valori di amicizia e fratellanza. Una lunga catena di pace che, sono sicuro, smuoverebbe le coscienze». Quanto successo sul barcone dei migranti, secondo Allam è il segno che «tutti, anche i più disperati, possono essere contagiati dall’ideologia nazista proclamata dall’Is ». Un delirio che va contrastato attraverso una «presa di coscienza collettiva, che obblighi il mondo musulmano a reagire».
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