1 E 2 NOVEMBRE
Ognissanti e commemorazione dei defunti:
una scossa alla fede
di Cristiana Dobner
Quel Sepolcro, che denominano Santo, nel mistero di fede è compresente ad ogni tomba, ad ogni cimitero e l’energia del Risorto circola su quello che sembra uno scenario immobile, tagliato fuori ed espulso dal contesto di vita, effondendo una luce che non solo illumina ma anche riscalda i cuori
Una scossa alla nostra fede si ripropone ogni anno al varco dei mesi di ottobre e novembre: Tutti i Santi e i Defunti.
La fede è messa alla prova perché la rimozione della morte è naturale e corre sul filo del fluire della nostra vita quotidiana. Progettiamo, pianifichiamo e speriamo di raccogliere esiti e frutti.
Del tutto normale, siamo disposti a dirci. Tuttavia facciamo il conto senza l’oste.
Non è quella spada di Damocle che può piombarci addosso all’improvviso e tagliarci fuori dal tempo e dalla storia.
Non è neppure il filo tessuto dalle Parche: l’ultima attende le giunga fra le mani per darvi un bel taglio e precipitarci nel nulla.
Fosse così o solo così la rimozione avrebbe il sapore della correttezza e bisognerebbe coltivarla. Rimbalzerebbe però un altro quesito: perché mettere al mondo dei figli? Per inserirli in un meccanismo distruttivo che logora i giorni e toglie il fiato?
La fede, cioè l’Amen che la persona pronuncia quando prega o riceve i sacramenti, dona un’altra prospettiva che non scansa, evita o seppellisce i problemi e le difficoltà ma conferisce loro una capacità creativa che avvolge tutto e lascia promanare la pace.
Il Misericorde ha fatto irruzione nella storia, si è donato completamente, ci ha creati perché rendessimo ancora più bella la sua creazione, perché stringessimo fra di noi legami di fraternità. Perché fossimo certi di camminare da pellegrini, diretti al Suo Volto.
Quando entriamo in un cimitero non dovremmo guardare alle lastre tombali come ad un coperchio ormai chiuso e sigillato su di un’esistenza, di cui, peraltro, ben presto si dimenticano gli eventi, i successi e gli insuccessi.
Lastre ed epigrafi dovrebbero riportare alla nostra memoria e alla memoria della fede un dato che si dovrebbe palpare nell’aria: chi ha chiuso gli occhi alla storia, li ha chiusi aprendoli sul quel mistero che siamo stati chiamati a conoscere in vita.
Dire Amore non è uno spreco di parole ormai sporcate da vicende dai toni turpi e oscuri. Dire Amore significa che ogni tomba sprigiona una forza, un’energia che ci investe e ci richiama a valori perenni, a opzioni che lasciano un segno invisibile nella storia dei potenti e dei magnati che sembrano gestire tutta l’esistenza.
Segno che la fede sa cogliere, sa fare proprio e rendere vitale.
Amore significa gratuità, servizio, disinteresse. Significa riconoscersi fratelli, tutti insieme animati dal desiderio del bene comune.
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