Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



sabato 30 aprile 2011

Il nostro grazie a Giovanni Paolo II per... la condanna alla mafia

Nella maturazione nella coscienza ecclesiale di una chiara, esplicita e ferma convinzione dell’incompatibilità dell’appartenenza mafiosa con la professione di fede cristiana ha avuto un ruolo importante il magistero di papa Giovanni Paolo II, che ha contribuito alla interpretazione e alla condanna della mafia a partire dalle tradizionali e originali categorie cristiane. Il riferimento principale della predicazione è ridiventato il vangelo.
Giovanni Paolo II, nel 1991, in occasione della visita ad limina dei vescovi siciliani, così si esprimeva: “Tale piaga sociale rappresenta una seria minaccia non solo alla società civile, ma anche alla missione della Chiesa, giacché mina dall’interno la coscienza etica e la cultura cristiana del popolo siciliano”.
Il testo più significativo, che ha molto impressionato tutti i mass-media, è stato il grido accorato del Papa ad Agrigento il 9 maggio 1993: “Dio ha detto una volta: “Non uccidere”. Nessun uomo, nessuna associazione umana, nessuna mafia può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo popolo siciliano è un popolo che ama la vita, che dà la vita. Non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, di una civiltà della morte. Qui ci vuole la civiltà della vita. Nel nome Cristo, crocifisso e risorto, di Cristo che è Via, verità e Vita, mi rivolgo ai responsabili: convertitevi, un giorno arriverà il giudizio di Dio”. Si tratta di un appello chiaramente evangelico, di competenza specifica della Chiesa e che giustifica, quindi, l’intervento pastorale. Questa affermazione, è una chiave per comprendere l’atteggiamento di Giovanni Paolo II nei confronti della mafia o, meglio, dei mafiosi. Più e oltre che una condanna del fenomeno mafioso, il papa lancia un richiamo forte e intenso alla conversione, andando al cuore del problema: ciascun uomo renderà conto del suo operato a Dio, con cui deve necessariamente rapportarsi. Da questo testo emerge una interpretazione della mafia come un estremo rifiuto del Dio della vita e dei mafiosi che si ammantano di gesti religiosi come “atei devoti”. A Caltanissetta Giovanni Paolo II disse:”Non è possibile che dentro una società così devota, così religiosa, così cristiana, possa essere, anzi possa in qualche modo dominare il contrario: ciò che offende Dio e distrugge l’altro”. A Siracusa nel 1994 il Papa aggiunse: “colgo l’occasione per rivolgermi agli uomini della mafia e dir loro: In nome di Dio, basta con la violenza! Basta con il sopruso! E’ tempo di aprire il cuore a quel Dio che è giusto e misericordioso insieme, e vi chiede un sincero cambiamento di vita”. E’ significativo che il Papa si rivolga non al fenomeno, la mafia, ma a gli uomini che producono tale fenomeno e lo faccia in nome di Dio. A Catania il Papa ha detto “Chi si rende responsabile di violenze e sopraffazioni macchiate di sangue umano dovrà rispondere davanti al giudizio di Dio”. Gli interventi pontifici hanno avuto un indubbio influsso nei pronunciamenti di condanna delle mafie pronunciati da vari episcopati delle Chiese meridionali, dalla CEI nel documento”Per un paese solidale: Chiesa italiana e mezzogiorno” del febbraio 2010 e dello stesso Benedetto XVI nel sua visita a Palermo.
+Michele Pennisi, Vescovo di Piazza Armerina


Papa Giovanni Paolo II ad Agrigento (9 maggio 1993)