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domenica 24 agosto 2025

"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 42 - 2024/2025 anno C

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


 XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Vangelo:
Lc 13,22-30

Convertirsi non è diventare buoni e bravi (per un cristiano è il minimo sindacale), ma mutare radicalmente il modo di pensare e sentire la vita, prendere finalmente coscienza delle nostre miserie e infedeltà per aprirsi alla misericordia del Padre, passare dall'auto giustificazione per i nostri presunti meriti alla accoglienza della gratuità della grazia di Dio. L'amore del Padre, infatti, non ci è dato per i nostri meriti (se mai possiamo vantarne), ma per i nostri bisogni. «Per la Scrittura all'uomo non è possibile salvare se stesso: tutti, infatti, siamo salvati per l'amore gratuito del Padre. Salvare, perciò, è un verbo che possiamo coniugare solo al passivo» (cit). La salvezza è un dono gratuito di Dio, per questo Gesù è sempre in movimento, sempre in viaggio, per cercare e trovare ogni frammento di umanità perduto per poi presentarlo al Padre. La salvezza, però, è anche lotta - la nostra - che comporta una grande fatica, la fatica di accogliere noi stessi per quello che siamo e il suo costo è l'intera nostra vita. «Bisogna, perciò, operare come se tutto dipendesse da noi, ben consapevoli, però, che tutto dipende da Dio» (I. di Loyola). La salvezza ha una sola porta, un'unica e sola via d'uscita e questa porta è Gesù, l'umile servo degli uomini, e per attraversare questa porta è necessario perdere peso, essere magri, sgonfiati dalla idropisia del nostro super-io (cfr. Lc 14,1-6), accogliendo di vivere di grazia e di misericordia. Nessuno, infatti, è in grado di salvare se stesso perché Uno solo è l'Uomo forte che ci salva: Gesù Nazareno, nostro fratello e Signore. «La conversione più grande, allora, è riconoscersi peccatori: stare all'inferno senza disperare» (Silvano del Monte Athos)