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lunedì 25 agosto 2025

Ezzideen Shehab: "Guarda con orrore, l’abisso della storia: ... Auschwitz, ne senti l’eco? Non è finito. Ritorna, muta, riappare con nuove maschere. E ora la vittima indossa il volto del carnefice... Gaza sta finendo. ... Eppure... qualcosa rimane. Un silenzio... Quel silenzio non morirà. Ti perseguiterà. Perseguiterà il mondo. Perseguiterà Dio stesso".

Le parole di Ezzideen Shehab scrittore, giornalista e medico trentenne a Gaza:


“Da giorni non riesco a respirare. Il petto mi brucia, la gola si chiude. Vaghiamo come pazzi, sconvolti, in attesa del colpo, dell’ordine che ci strapperà via di nuovo. 
Abbiamo conosciuto la guerra, sì, due anni infiniti, che ci hanno rosicchiato come i topi rosicchiano le ossa di un cadavere, ma questo… questo è peggio, infinitamente peggio. Ci dicono di andarcene. Di nuovo. Per la quinta volta. Senti? La quinta! E questa volta, o Dio, questa volta, sappiamo che è l’ultima. L’ultima. Non torneremo. Mai. Non domani, non fra dieci anni, nemmeno nei ricordi sbiaditi dei nostri figli.

La porta che chiudo ora dietro di me non si aprirà mai più alla mia mano. Quel suono, legno contro legno, non è una porta che si chiude. È la mia anima che viene inchiodata nella sua bara. Sono vivo, eppure sono già sepolto.
E cos’è questo esilio? Non è un viaggio, no! È strappare l’ultimo tremulo filo dell’anima umana. Non vogliono uomini, o donne, o bambini. Vogliono ombre. Ombre che strisciano sulla polvere, senza volto, senza nome, senza memoria. Un popolo di tende! Sì, tende! Una nazione il cui destino è tela e corda, la cui più alta ambizione è uno straccio che sbatte al vento. Signore, non è forse una morte più spietata della tomba? Lasciare un uomo che respira, ma derubarlo di tutto ciò che lo rende uomo, condannarlo a camminare come un fantasma che non può nemmeno morire.

La città, la nostra città, amata, tradita, sarà cancellata, spianata e sputata in polvere. Le sue pietre sparse come cenere al vento. Le case dove i bambini litigavano, dove le madri cantavano, dove il pane usciva caldo dal forno, tutto finito, finito per sempre. E poi, o Dio misericordioso, dimenticheremo. Sì, dimenticheremo! Nel tormento della sete, lottando per una goccia d’acqua, dimenticheremo le nostre strade, i nostri muri, le nostre chiavi, le nostre porte. Dimenticheremo il calore dell’inverno le pungenti notti d’estate. Dimenticheremo i vicini, le liti, i matrimoni, le canzoni. Dimenticheremo persino di essere stati umani.

Dimmi, Signore, come può l’uomo dimenticare se stesso? Come può la memoria essere strappata dall’anima come la carne dall’osso? Ricordaci! Ricordaci prima che la rottura sia completa. Ricorda gli occhi dei bambini prima che la loro luce si spenga. Ricorda le lacrime delle madri, le stesse lacrime delle tue madri. Ricorda che abbiamo urlato, che non siamo rimasti in silenzio, che abbiamo provato con gli ultimi brandelli delle nostre forze.

E guarda, guarda con orrore, l’abisso della storia: come coloro che un tempo piangevano nei ghetti, che barcollavano nei campi, che soffocavano nei forni, ora vedono i loro leader preparare il nostro esilio. Auschwitz, ne senti l’eco? Non è finito. Ritorna, muta, riappare con nuove maschere. E ora la vittima indossa il volto del carnefice. Questa è la bestemmia più infernale: che coloro che portano le cicatrici dell’Olocausto ora vedono i loro leader realizzare un Olocausto nuovo.

Scrivi i nostri nomi, ti imploro, ti grido, sui tuoi muri, nei tuoi libri, nelle tue preghiere. Incidili nella pietra, prima che svaniscano nella polvere. Perché domani persino tu dubiterai che abbiamo mai camminato sulla terra. E quando i tuoi figli chiederanno: sono mai stati un popolo? Hanno respirato? Hanno amato? Erano umani? Che cosa risponderai allora, quando la tua stessa memoria ti tradirà?
E Gaza, la mia Gaza, sta finendo. Sì, finendo. Questo è il quinto esilio, e l’ultimo. L’ultimo! Una fine più nera delle pagine più nere della storia, più oscura delle più oscure profezie mai osate immaginare. Eppure, anche mentre scrivo, attraverso lacrime che mi accecano, qualcosa rimane. Un silenzio. Un silenzio più pesante della pietra, più pesante delle tombe, più pesante persino dello sguardo di Dio. Un silenzio che divora il grido stesso, che ruggisce più forte di tutte le urla messe insieme. Quel silenzio non morirà. Ti perseguiterà. Perseguiterà il mondo. Perseguiterà Dio stesso".
Dottor Ezzideen Shehab

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