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venerdì 11 ottobre 2024

Violenza. Il mondo è entrato nell’era del Castigo di Domenico Quirico

Violenza.
Il mondo è entrato
nell’era del Castigo
di Domenico Quirico




Siamo entrati nell’era del Castigo. Chi non ha qualcuno da punire severamente, e soprattutto definitivamente e senza mezze misure: i palestinesi e i libanesi complici «oggettivamente» degli assassini di Hamas ed Hezbollah, i persiani burattinai in turbante e zimarra nera di ogni perversione anti-occidentale, gli israeliani ultimi zeloti di un colonialismo senza pudore da 75 anni, gli ucraini “nazisti”e traditori della Santa Russia, i russi ammalati antropologicamente di espansionismo criminale e di prevaricazione planetaria eccetera eccetera.

Imperialismi grandi e microscopici ma pestiferi, intolleranze neppur troppo selettive, fanatismi religiosi e sciovinismi nazionalistici sgretolano le vecchie ortodossie delle dispute internazionali, sotto gli assalti sovversivi di Liquidatori decisi a eliminare il problema senza far troppe indagini sulle vittime. “Brain trust” di prepotenti che credono fermamente nel potere inumano della menzogna fanno a gara nel trasformare il momento punitivo in una sorta di idealismo: diamine, lottiamo per la nostra sicurezza… come osate? siamo la Resistenza… giù le mani, difendiamo l’Occidente libero… ammirate! costruiamo il Nuovo ordine perfetto…

Si vede ogni cosa sotto una luce offuscata dove la domanda fondamentale e che dovrebbe essere inaggirabile (qual è la differenza tra punizione e vendetta?), sfuma in opacità omicide. Il populismo penale che ha guadagnato consenso politico con la inesorabile severità del castigo, tambureggiando opinioni pubbliche fragili e disposte a farsi convincere non solo nelle terre della sharia, si estende alla politica internazionale. I pachidermici ottimismi del debutto del nuovo millennio (… la nostra civiltà assomiglia a un giardino che si deve valutare dalla qualità dei suoi fiori… l’Occidente ha reso più bello e vivibile il mondo…) si squagliano come castelli di ghiaccio lasciando dietro di sé solo un ammasso di fango: quarantamila morti a Gaza, centinaia di migliaia nelle trincee dell’Ucraina, i danni collaterali di venti anni americani in Afghanistan, dei francesi nel Sahel, milioni di profughi che aspettano di sapere «fino a nuovo avviso» dove forse non li bombarderanno…

Il castigo presuppone l’infliggere una sofferenza ma richiede anche altre condizioni: quella perentoria è che a patire sia solo colui o coloro che hanno commesso il reato. Se manca questo elemento, se il colpevole è collettivo o semplicemente presunto, scivoliamo inesorabilmente dal diritto alla vendetta. Applicare questo concetto a Gaza o alla Palestina determina dei produttivi e dolorosi distinguo. 
Per capirci: il conte di Montecristo punisce coloro che gli hanno distrutto la vita o applica solo una arzigogolata vendetta? Netanyahu e Israele puniscono i killer del 7 ottobre o si vendicano di tutti i palestinesi che vivono a Gaza, e dei libanesi che non per scelta sono conterranei del partito di dio? Ci basta la constatazione che castighi collettivi sono diventati normalità punitiva nel vicino oriente? Hamas liquida i partecipanti a un pacifico raduno musicale o kibuzzin annoverabili tra gli israeliani meno attratti da sogni escatologici di ricostruire il Terzo Tempio. I terroristi da settanta anni scelgono le fermate degli autobus e non le caserme. i governi israeliani, non solo quello di Netanyahu, da anni distruggono per rappresaglia le case dei presunti colpevoli, fanno raid indiscriminati a cui danno nomi beffardi («Margine di protezione») che provocano la morte anche di molte donne e bambini. 
Di fronte a tutto questo sarebbe pretendere troppo citare san Tommaso d’Aquino. Per lui la distinzione tra punizione e vendetta era contenuta nell’intenzione di chi corregge la colpa. Se il male del colpevole serve a trarne «godimento», singolare parola! è illecita; se invece punta a un bene, proteggere la sicurezza o redimere, è lecita. Con queste idee il povero Doctor Angelicus non sarebbe invitato in nessun talk show, accusato da destra e da manca di essere un collaborazionista.

L’era del Castigo spazza via il vecchio abbecedario della proporzione, dell’immaginare il giorno dopo, perfino i concetti di colpa e di rimorso. Tutti sono orgogliosi di quello che hanno commesso, la giustizia internazionale resta nelle scartoffie di paci provvisorie e sifilitiche. 
Bisogna castigare senza perder tempo nel distinguere popoli e jihadisti, povera gente e zar rosso bruni, innocenti e mestatori senza scrupoli. «Tutti sono in fondo complici e quindi colpevoli, credete a noi…» così tempestano innumerevoli macchinisti della locomotiva della Storia a est e a ovest. Non a caso si preferiscono, per punire, i bombardamenti, aerei, droni, missili: le vittime son coperte da nubi di polvere, periscono in scenografiche e anonime esplosioni da notte dei fuochi. Si mettono in conto punitivo anche carestie ed epidemie, altra modalità di castigo che lasciano sullo sfondo l’orma dell’assassino. Già: una volta che le teste son tagliate non ci si lamenterà per la perdita dei capelli, parola di Koba il terribile, uno che non aveva paura del numero delle vittime collaterali. 
Non si ha tempo oggi per ciarle intorno alla santità della vita umana. In fondo una totale sicurezza si può raggiungere soltanto in un cimitero. Ma la Giustizia?

(Fonte: “La Stampa”  - 9 ottobre 2024)