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sabato 19 ottobre 2024

La testimonianza di un medico di bordo sulle condizioni dei migranti salvati nel Mediterraneo - Questo è l’uomo (senza se)

La testimonianza di un medico di bordo sulle condizioni dei migranti salvati nel Mediterraneo

Questo è l’uomo
(senza se)


Braccialetto n. 16 di anni 19: percosso quotidianamente per ventitré giorni con asta di metallo a livello di arti, tronco, gambe e testa.

Braccialetto n. 33 di anni 25: presenta segni visibili di torture a livello di arti e in regioni intime. Braccialetto n. 15 di anni 22: riferisce che i video delle torture subite sono stati inviati alla famiglia nel paese d’origine per incentivare il pagamento del riscatto.

Cittadino sudanese di anni 22: ferite lacero contuse al piede sinistro, riferisce che dopo un tentativo di fuga dalla prigione di Al Assah, in Libia, i carcerieri come messaggio ammonitore hanno scelto una persona tra i fuggitivi, l’hanno cosparsa di benzina e arsa viva.

Per evitare ogni possibile fraintendimento o dubbio ogni referto medico di questi «atti deliberati di violenza umana» è documentato con materiale fotografico. La nostra fonte è il report stilato dal medico di bordo della nave Mare Jonio dell’ong Mediterranea Saving Humans che all’inizio della scorsa settimana ha salvato 58 migranti alla deriva nel Mediterraneo.

«Il denominatore che accomuna tutte le persone che riusciamo a trarre in salvo è la violenza che subiscono nei lager libici, nell’attraversamento del confine tra Tunisia e Libia e in generale durante il viaggio che poi le porta ad essere soccorse». A parlare con i media vaticani è il dottor Francesco Nastasio, che presta servizio medico a bordo della Mare Jonio. «Lavoro nel pronto soccorso di un ospedale di Milano dove sono abituato a gestire anche ferite provocate dalla violenza umana», spiega il dottor Nastasio, «ma quello che vedo sui corpi delle persone salvate in mare e che sento dai loro racconti è qualcosa che fa rabbrividire, gela il sangue nelle vene».

Neppure dopo sei anni di esperienza in mare come attivista dell’ong Mediterranea questo giovane medico, specializzando in medicina d’urgenza e d’emergenza, riesce ad abituarsi all’orrore che vuole testimoniare: «La mia speranza è che l’opinione pubblica, e anche le persone a noi vicine, possano rendersi conto di quello che succede. Perché sono le ferite che queste persone portano addosso che rappresentano il vero confine, quello che separa la nostra vita dalla loro». Un confine molto visibile e tangibile, a differenza dei confini invisibili tracciati dall’uomo sulle mappe.

Oggi i 58 salvati dalla Mare Jonio sono al “sicuro” a Porto Empedocle, mentre la nave dell’ong è stata sottoposta a fermo e sanzionata perché non certificata dalle autorità come natante adeguato al soccorso in mare. I migranti giunti in Italia inizieranno ora un percorso burocratico per stabilire ad esempio se siano persone “vulnerabili” o da destinare a centri come quelli costruiti in Albania, se non addirittura da rimpatriare.

«Quello che provo ogni volta dopo una missione di soccorso», conclude Nastasio, «è un profondo senso d’impotenza e di ingiustizia per il fatto di vivere in un mondo inadeguato, anche perché spesso si vorrebbe respingere queste persone nei Paesi in cui sono state torturate».
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Stefano Leszczynski 19/10/2024)