Violenza a scuola: nell’educare nessuno è autosufficiente
Non è nella scuola l'origine della violenza che sta letteralmente sfigurandole il volto. Gli insegnanti sono in trincea ogni giorno ma il nemico contro cui combattere non è il genitore manesco o il ragazzo indisciplinato. A far chiudere i pugni sono i continui incitamenti al successo a tutti i costi, all'indegnità dello sconfitto, all'individualismo competitivo e cinico, l'ansia soffocante di controllo, l'ingiustizia troppe volte impunita, il veleno dell' “è tutto uguale, una cosa vale l'altra”
Le pagine dei giornali e dei siti di informazione traboccano quotidianamente di episodi di violenza. Non se ne può certo fare una classifica, ma quelli perpetrati fra le mura scolastiche – come è avvenuto di recente in numerose città italiane e nella provincia americana – lasciano un senso di particolare sbigottimento e incredulità. Come tutti i contesti educativi, infatti, la scuola è il luogo della parola, della ragione, delle energie e passioni indirizzate alla conoscenza, alla creatività, alla convivenza. Come è possibile che si arrivi a temere di essere aggrediti varcando la soglia della cultura e della scienza?
Tenuta a lungo fuori dalle aule, in nome di un’istruzione che si immaginava evidentemente asettica e neutra, l’educazione oggi è invocata a gran voce da ogni parte. Non basta però moltiplicare le “educazioni”, traducendole in progetti didattici di cui si fanno belli i piani dell’offerta formativa. A cosa è servito celebrare il 50º anniversario di don Milani se non si fa tesoro della sua principale lezione? “Non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola”.
È l’essere dell’insegnante, o meglio della comunità educativa che gioca in classe e nei corridoi la sua credibilità professionale ed umana, a generare desiderio, bellezza e sapere. Il “Professore della Testimonianza” lo chiamava lo scrittore Andrea Bajani in un provocante saggio di qualche anno fa.
Professore e Testimonianza, non a caso maiuscoli, perché è da qui che si deve ripartire: dalle persone più che dalle tecniche; dall’incontro tra allievi e maestri, entrambi degni di questo nome; da una scuola a cui si riconosce non meno di quanto le si chiede.
Evitando possibilmente di farne la discarica delle nostre frustrazioni e inadempienze.
Inutile far finta di non vedere: non è nella scuola l’origine della violenza che sta letteralmente sfigurandole il volto. Gli insegnanti sono in trincea ogni giorno ma il nemico contro cui combattere non è il genitore manesco o il ragazzo indisciplinato. A far chiudere i pugni sono i continui incitamenti al successo a tutti i costi, all’indegnità dello sconfitto, all’individualismo competitivo e cinico, l’ansia soffocante di controllo, l’ingiustizia troppe volte impunita, il veleno dell’ “è tutto uguale, una cosa vale l’altra”.
“Per vivere e non solo sopravvivere”, ha scritto di recente il pensatore francese di estrema sinistra Alain Badiou, serve “un’alleanza fra i giovani e i vecchi”. Le stesse parole che continua a ripetere papa Francesco. Per ragionevolezza o disperazione, sembra farsi strada l’idea che nell’educazione nessuno è autosufficiente, che occorrono quelle “alleanze educative” che la Chiesa italiana continua a indicare da ormai dieci anni. Gli esempi ci sono: la settimana scorsa, a Bologna, ho visto attorno allo stesso tavolo una decina di vescovi, altrettanti rettori di università, il ministro, gli amministratori locali, studenti e insegnanti.
Dicono i filosofi che la questione centrale, oggi come ieri, è quella della felicità.
Siamo a corto di maestri di felicità:
quelli che si propongono come tali non raramente si dimostrano falsari. La scuola è memoria viva della storia di ieri ed è prefigurazione di quella che sarà la società di domani. Circa la felicità di oggi, la scuola c’entra eccome nell’indicare dove, e come, cercarla.
Gli scolaretti disobbediscono alle loro maestre. Gli adolescenti aggrediscono i loro insegnanti. I genitori di quegli adolescenti si precipitano a scuola per picchiare gli insegnanti già aggrediti dai propri figli. Una brillante invenzione di una delle tante narrazioni distopiche che proliferano di questi tempi sugli schermi domestici delle nostre serie tv preferite? No. La realtà sociale delle nostre scuole raccontata dalla cronaca di questi giorni. Ma non ci si può arrendere alla cronaca. La verità che promana dagli ultimi casi estremi narrati dalle cronache ha una portata storica, ben più vasta e terribile: la nostra epoca si sta avviando al tramonto della pedagogia. Dopo l’evaporazione del Padre, ora assistiamo all’eclissi del Maestro.
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E’ proprio in questi decenni di pedagogismi proliferanti che l’insegnamento viene espropriato del suo tratto magistrale, che i programmi scolastici vengono privati dei loro contenuti fondamentali, che gli insegnanti stessi vengono sviliti a categoria sociale derelitta, malpagata, screditata, emarginata, a un branco di vecchi «sfigati». Non ci si deve, perciò, stupire che i genitori prendano sempre più spesso partito per i figli nei conflitti con gli insegnati. La rottura dell’alleanza scuola famiglia è il prodotto della distruzione storica di entrambe. Il padre che abbia perso il rispetto per l’insegnante del proprio figlio è, infatti, con tutta evidenza, un genitore che ha già perso il rispetto di se stesso.
E non ci si illuda che basti alzare la voce per ritrovare la magnifica speranza progressista di una educazione dell’uomo per l’uomo. Forze storiche potenti le si oppongono. Innanzitutto il trionfo autocratico del mercato. Abbiamo smesso di credere, di sperare di potere e di dovere educare i nostri figli da quando la società dei consumi ha individuato in loro i clienti più appetibili. E’ stato allora che abbiamo abbandonato l’onere e l’onore di formare i loro gusti e abbiamo incominciato a inseguirli. Similmente, ciò che resta della cosiddetta leadarship politica ha abdicato alla conduzione del proprio elettorato per accodarsi ai suoi umori momentanei. Le tecnologie della comunicazione digitale stanno facendo il resto. Il magnifico universo del world wide web è un cosmo ottuso in cui non ci sono sapienti e alunni, maestri e allievi, ma solo guru chiassosi e adepti ignoranti. Il suo orizzonte è l’orizzontalità immobile del tramonto di ogni pedagogia. Su questo impero dell’immoralità dilagante l’astro del pedagogo tramonta inesorabilmente, cedendo il passo a quello del libertino.
Resta da capire se riteniamo di avere ancora qualcosa da insegnare ai nostri figli.
Su Tagada, programma di La7, interviene lo psichiatra Paolo Crepet, che commenta gli ultimi episodi di violenza degli alunni nei confronti di docenti e Ata.
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Quando il buonismo educativo è così pregnante, non va bene. Noi non abbiamo più figli, ma piccoli Budda a cui noi siamo devoti, per cui possono fare tutto. Scelgono dove andare a mangiare, in quale parco giochi. Siamo diventati genitori che dicono sempre di si. Ma questo è sbagliato. Esposti. Quando diventeranno grandi ci sarà qualcuno che gli dirà di no. Magari alla prima frustrazione amorosa. Magari al primo lavoro. I genitori vanno al primo incontro di lavoro del figlio di 26 anni. Poi c’è gente che non manda i figli all’Erasmus perché fa freddo. Sono un disastro questi genitori. Non possiamo generalizzare, ma in molti casi è così.
Papa Francesco durante la Catechesi nell'Udienza Generale 20 maggio 2015 racconta un episodio della sua infanzia, quando un giorno rispose male alla maestra...
Papa Francesco durante la Catechesi nell'Udienza Generale 20 maggio 2015 racconta un episodio della sua infanzia, quando un giorno rispose male alla maestra...
... Di fatto, si è aperta una frattura tra famiglia e società, tra famiglia e scuola, il patto educativo oggi si è rotto; e così, l’alleanza educativa della società con la famiglia è entrata in crisi perché è stata minata la fiducia reciproca. I sintomi sono molti. Per esempio, nella scuola si sono intaccati i rapporti tra i genitori e gli insegnanti. A volte ci sono tensioni e sfiducia reciproca; e le conseguenze naturalmente ricadono sui figli. D’altro canto, si sono moltiplicati i cosiddetti “esperti”, che hanno occupato il ruolo dei genitori anche negli aspetti più intimi dell’educazione. Sulla vita affettiva, sulla personalità e lo sviluppo, sui diritti e sui doveri, gli “esperti” sanno tutto: obiettivi, motivazioni, tecniche. E i genitori devono solo ascoltare, imparare e adeguarsi. Privati del loro ruolo, essi diventano spesso eccessivamente apprensivi e possessivi nei confronti dei loro figli, fino a non correggerli mai: “Tu non puoi correggere il figlio”. Tendono ad affidarli sempre più agli “esperti”, anche per gli aspetti più delicati e personali della loro vita, mettendosi nell’angolo da soli; e così i genitori oggi corrono il rischio di autoescludersi dalla vita dei loro figli. E questo è gravissimo! Oggi ci sono casi di questo tipo. Non dico che accada sempre, ma ci sono. La maestra a scuola rimprovera il bambino e fa una nota ai genitori. Io ricordo un aneddoto personale. Una volta, quando ero in quarta elementare ho detto una brutta parola alla maestra e la maestra, una brava donna, ha fatto chiamare mia mamma. Lei è venuta il giorno dopo, hanno parlato fra loro e poi sono stato chiamato. E mia mamma davanti alla maestra mi ha spiegato che quello che io ho fatto era una cosa brutta, che non si doveva fare; ma la mamma lo ha fatto con tanta dolcezza e mi ha chiesto di chiedere perdono davanti a lei alla maestra. Io l’ho fatto e poi sono rimasto contento perché ho detto: è finita bene la storia. Ma quello era il primo capitolo! Quando sono tornato a casa, incominciò il secondo capitolo… Immaginatevi voi, oggi, se la maestra fa una cosa del genere, il giorno dopo si trova i due genitori o uno dei due a rimproverarla, perché gli “esperti” dicono che i bambini non si devono rimproverare così. Sono cambiate le cose! Pertanto i genitori non devono autoescludersi dall’educazione dei figli.
E’ evidente che questa impostazione non è buona: non è armonica, non è dialogica, e invece di favorire la collaborazione tra la famiglia e le altre agenzie educative, le scuole, le palestre… le contrappone.
Come siamo arrivati a questo punto? Non c’è dubbio che i genitori, o meglio, certi modelli educativi del passato avevano alcuni limiti, non c’è dubbio. Ma è anche vero che ci sono sbagli che solo i genitori sono autorizzati a fare, perché possono compensarli in un modo che è impossibile a chiunque altro. D’altra parte, lo sappiamo bene, la vita è diventata avara di tempo per parlare, riflettere, confrontarsi. Molti genitori sono “sequestrati” dal lavoro - papà e mamma devono lavorare - e da altre preoccupazioni, imbarazzati dalle nuove esigenze dei figli e dalla complessità della vita attuale, - che è così, dobbiamo accettarla com’è - e si trovano come paralizzati dal timore di sbagliare. Il problema, però, non è solo parlare. Anzi, un “dialoghismo” superficiale non porta a un vero incontro della mente e del cuore. Chiediamoci piuttosto: cerchiamo di capire “dove” i figli veramente sono nel loro cammino? Dov’è realmente la loro anima, lo sappiamo? E soprattutto: lo vogliamo sapere? Siamo convinti che essi, in realtà, non aspettano altro? ...
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