Cinque anni dopo.
Alle otto della sera di cinque anni fa il mondo assisteva – chi con trepidazione, chi con preghiera, chi con la spontanea curiosità per qualcosa mai visto prima d’allora – al chiudersi del portone del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, che segnava la fine del pontificato di Benedetto XVI.
Cinque anni dopo prevale invece una sensazione diversa, in qualche modo opposta. Non di 'chiusura' si è trattato. La decisione inedita (in era moderna) del Pontefice ora emerito ha in realtà aperto un’epoca nuova nella storia della Chiesa e, in definitiva, anche del mondo contemporaneo. Consegnandoci un’eredità spirituale e pastorale di inestimabile valore, che continua ad alimentarsi, giorno dopo giorno, dell’esempio di vita e di fede di papa Ratzinger. Fare memoria di quel 28 febbraio di cinque anni fa non è dunque un semplice esercizio di memoria.
È invece un immergersi nella lettura e nell’interpretazione di una pagina viva ed estremamente feconda del nostro tempo, cercando di coglierne, per quello che ci è possibile, l’ordito e la trama nel disegno della Provvidenza. Va detto infatti che se il pontificato di Benedetto XVI si è chiuso dietro quel portone, il suo magistero non è finito, ma si è trasformato. Egli è salito su un’altra cattedra – quella della presenza silenziosa e orante – che in questo lustro si è posta con umiltà ancillare al servizio dell’unica Cattedra di Pietro sulla quale siede dal 13 marzo 2013 papa Francesco. Così come per gli ultimi, sofferti anni del pontificato di san Giovanni Paolo II si è parlato di una 'cattedra del dolore', oggi possiamo riferirci al periodo da emerito di papa Ratzinger come a una 'cattedra della preghiera e della fede', in continuità con quanto egli ha insegnato da Pontefice 'regnante' e in rapporto di fraterna obbedienza rispetto a Francesco.
Quali sono dunque le coordinate fondamentali di questo insegnamento? Potremmo dire che esso ha innanzitutto come predisposizione di fondo proprio quella «incondizionata riverenza e obbedienza» al successore, annunciata pubblicamente nell’udienza ai cardinali riuniti nella Sala Clementina, il 28 febbraio 2013, e ribadita poi a Francesco in persona – come ha ricordato di recente l’allora segretario 'in seconda' di Ratzinger, monsignor Alfreb Xuereb, in una intervista a 'Vatican news' – nella prima telefonata tra i due, la sera stessa dell’elezione.
Benedetto XVI ha mantenuto in tutto e per tutto quella promessa e, conoscendolo, non c’era da dubitarne. L’ha riempita anzi – ed è la seconda coordinata del suo magistero da emerito – della più preziosa modalità di esplicazione – la preghiera in favore di tutta la Chiesa e in special modo del Vicario di Cristo – e (terza coordinata) di un contenuto fondamentale, cioè la pratica dimostrazione di come si possa vivere oggi la fede, in qualunque condizione e stagione della propria vita. Ne abbiamo ricevuto una straordinaria testimonianza, non più tardi di 20 giorni fa, attraverso una brevissima lettera al 'Corriere della Sera'. Alla domanda sulle sue condizioni di salute, Benedetto ha infatti risposto che «nel lento scemare delle forze fisiche, interiormente sono in pellegrinaggio verso Casa».
Ecco come la fede illumina e orienta la vita del Papa emerito anche in quest’ultimo tratto della sua esistenza terrena. In un mondo che, da un lato, idolatra (ricordate la «cultura della morte» più volte denunciata da Giovanni Paolo II?) e, dall’altro, esorcizza la morte, negandola e nascondendola in tutti i modi, Joseph Ratzinger ce la presenta invece come evento naturale e atteso, che gli spalancherà finalmente, dopo un lungo cammino, la porta di Casa. C’è qui da un lato una grande serenità personale che ci rinfranca, dall’altro una profonda consonanza con l’insegnamento della Chiesa, che da sempre ha considerato come dies natalis dei santi quello della loro 'nascita' – appunto – al Cielo.
E c’è anche una profonda sintonia con papa Francesco che in una udienza generale dello scorso mese di ottobre chiese ai fedeli di pensare anche al giorno della propria morte. Infine, ritroviamo in queste parole una straordinaria continuità tra il prima e il dopo 28 febbraio. Joseph Ratzinger è stato, infatti, il Papa della fede, cioè dell’essenziale. Una questione, quella del credere oggi, che egli aveva indicato come cruciale fin da quando, giovanissimo teologo, ebbe il coraggio di scrivere un articolo che gli valse anche feroci critiche, sulla situazione declinante della fede nella sua Germania.
Da prefetto della Congregazione che quella fede ha il compito di promuovere, oltre che di difendere, tutti sanno ciò che ha fatto. E infine proprio questo è stato l’asse portante del suo pontificato, che ha in qualche consegnato a Francesco attraverso quell’ultima enciclica, Lumen Fidei , portata a termine e pubblicata dal suo Successore. In questi cinque anni, dalla sua Cattedra del tutto speciale, è come se quella questione la consegnasse nuovamente tutti i giorni anche a ognuno di noi.
(fonte testo: Avvenire articolo di Mimmo Muolo del 28/02/2018)
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