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sabato 23 settembre 2017

La relazione con Dio di Bruno Forte

La relazione con Dio 
(Festival del Creato, Chieti, 
16 Settembre 2017) 

di Bruno Forte 
Arcivescovo di Chieti-Vasto 




Come entrare in relazione con Dio, oggi? Come riconoscerne la nostalgia nella cultura del nostro tempo? Come relazionarsi al creato riconoscendovi il giardino che Dio ha affidato all’uomo perché lo coltivasse e lo custodisse (cf. Gen 2,15)? Per rispondere a queste domande procederò in due tappe: nella prima accosterò gli scenari del tempo e il modo di porsi in essi della questione di Dio, cercando di leggere la parabola della modernità e l’insorgere del post-moderno attraverso alcune metafore. Nella seconda proverò ad evocare i tratti del volto del Dio vivente, che mi sembra possano maggiormente parlare alle donne e agli uomini del nostro tempo, per stabilire con Lui una relazione, che sia sorgente di vita e di speranza, susciti comunione fra gli esseri umani e induca al rispetto e alla custodia del creato. 

1. Gli scenari del tempo e la relazione con Dio: tre metafore 
La parabola del tempo moderno può essere descritta in tre momenti essenziali, cui è possibile far corrispondere tre metafore emblematiche: la nascita e lo sviluppo del progetto emancipatorio della ragione illuminata, ovvero il tempo della luce; la dialettica dell’Illuminismo, ovvero l’affacciarsi della notte; l’emergere del postmoderno, ovvero la stagione di un’aurora, percorsa da segnali tanto d’inquietudine, quanto d’attesa. 
a. Il tempo della luce. Che la modernità sia il tempo della luce sta a dirlo già il nome dato al secolo, in cui si collocano gli inizi del nostro presente: “le siècle des lumières”, la stagione dell’Illuminismo e dei “grandi racconti” da esso prodotti, che sono le ideologie. L’idea che esprime densamente il progetto della ragione moderna di rendere l’uomo finalmente adulto, libero da ipoteche ultramondane, capace di volersi ed essere soggetto della propria storia, è quella di emancipazione. Essa vuol dire il “ricondurre il mondo e tutti i rapporti umani all’uomo stesso” (1) 
In quanto tale, emancipazione sta a dire il processo di autoaffermazione dell’uomo, inteso sia singolarmente, che collettivamente nei dinamismi storici di cambiamento rivoluzionario. Da Hegel a Marx, e prima ancora dagli albori dell’Illuminismo fino ai suoi epigoni borghesi o rivoluzionari, l’emancipazione resta il progetto di fondo, l’ansia e la meta agognata della modernità. È Kant ad affermare che “l’illuminismo è l’uscita dell’uomo dalla sua età minore, che egli deve a se stesso. L’età minore è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. E questa minorità la si deve a se medesimi se la causa di essa risiede nella mancanza non d’intelligenza, bensì della decisione e del coraggio di servirsene senza la guida di un altro” (2) . Riguardo alla relazione con Dio, una tale impresa si è tradotta nel rifiuto di ogni figura del divino che sia percepita come concorrente dell’uomo. Friedrich Nietzsche dà testimonianza della grandezza e della tragicità di quest’impresa nell’aforisma intitolato L’uomo folle: “Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: ‘Cerco Dio! Cerco Dio!’ E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa... Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: ‘Dove se n’è andato Dio? gridò ve lo voglio dire! Siamo stati noi a ucciderlo: voi ed io! Siamo noi tutti i suoi assassini!” (3) . Le ideologie avevano intonato il “requiem aeternam Deo”: esso ha finito col risuonare, però, sulle ceneri prodotte dalla loro stessa violenza. La sete di totalità della ragione ideologica si è convertita nei vari volti del totalitarismo e dei suoi frutti drammatici!
b . Il tempo della notte del mondo. La crisi delle presunzioni della ragione emancipante, la cosiddetta “dialettica dell’Illuminismo”, inaugura il tempo della notte del mondo: vengono smascherate le cadute e le brutalità che l’imporsi delle ideologie ha generato. Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, all’inizio della loro Dialettica dell’Illuminismo, affermano: “L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata risplende all’insegna di trionfale sventura” (4). Di fronte alla violenza prodotta dai vari totalitarismi, la ragione emancipatrice si è creata dei meccanismi di giustificazione, individuando altri soggetti su cui scaricare la responsabilità del fallimento, soggetti trascendentali la natura, lo Spirito, com’è nell’ideologia borghese o soggetti storici i nemici del proletariato, i detentori del capitale, come è nel marxismo. L’ideologia liberale del progresso, come quella marxista della rivoluzione, finiscono col rivelarsi entrambe incapaci di un’autocritica liberatrice: cercando altri soggetti cui imputare la colpa, per riservare a se stesse la storia del successo, esse evidenziano i limiti della ragione emancipante, la sua radicale incapacità a conciliare le contraddizioni del reale. Si profila così nel tramonto delle ideologie, il “tempo della notte del mondo”, “tempo della povertà… diventato tanto povero da non poter riconoscere la mancanza di Dio come mancanza” (5) . La povertà, che segue alla crisi dei “grandi racconti” ideologici, non è tanto la percezione dell’assenza di Dio, quanto il fatto che gli uomini non soffrano più di questa mancanza: “L’esilio vero d’Israele in Egitto fu che gli Ebrei avevano imparato a sopportarlo” (6) . Ed ecco che le coscienze più vigili avvertono il bisogno di un ritorno del sacro: ad esempio, nel canto dei poeti. È Martin Heidegger a chiedersi: “Perché i poeti nel tempo della povertà?”. E risponde: “Esser poeta nel tempo della povertà significa: cantando, ispirarsi alla traccia degli Dei fuggiti. Ecco perché nel tempo della notte del mondo il poeta canta il Sacro” (7) . Lì dove la ragione totalizzante ha fallito si cerca una parola che, come quella dei poeti, evochi e non catturi, spezzando il cerchio della presenza dominante dell’io e aprendo al gusto e al valore della ricerca e dell’assenza che attrae. 
c. Segnali d’aurora. Al di là del naufragio delle sicurezze ideologiche, la notte del mondo sembra così aprirsi offrendo segnali d’aurora, frammisti a ombre d’inquietudine. Dalla notte non si esce facilmente: l’insorgere del postmoderno è tempo di “pensiero debole”, di “ontologia del declino”, di “avventure della differenza”... Nel suo rifiuto critico dei mondi ideologici, la post-modernità spesso non è che una forma rovesciata di essi, pensiero di negazione e di rottura, lì dove quelli proponevano affermazione e conciliazione: alla conoscenza solare viene contrapposto l’amore delle tenebre; al senso del possesso e della consistenza “l’insostenibile leggerezza dell’essere” (Milan Kundera). 
La sete di totalità della ragione emancipante rischia così di convertirsi in una nuova visione totalitaria, quella della caduta e del negativo, che abbracci tutte le cose. Viene tuttavia a delinearsi nell’inquietudine postmoderna anche una sorta di ricerca dell’Altro, dell’ospite desiderato e al tempo stesso inquietante. Si percepisce che sfuggire alle presunzioni totalizzanti della ragione moderna esige di confessare un’alterità, che spezzi il dominio del soggetto e si offra come origine e fine, non deducibile da quanto è disponibile e non risolvibile in quanto è noto. Sembra affacciarsi una “nostalgia del Totalmente Altro” (8) , una sorta di bisogno del sacro, rispetto ad ogni rinuncia nichilista. Si risveglia un’inquietudine, che potrebbe definirsi religiosa: ricerca di un orizzonte ultimo, di una patria che non siano quelli manipolanti e violenti dell’ideologia. Se la crisi del moderno è la fine delle presunzioni del soggetto assoluto, i segnali del suo superamento vanno in direzione di una riscoperta dell’Altro, che offra ragioni di vita e di speranza.

2. Il Dio affidabile per le donne e gli uomini del nostro tempo 
Quali potranno essere i tratti del volto di Dio più in grado di parlare alle donne e agli uomini del nostro tempo, un Dio “affidabile” (9) , che risponda alla nostalgia che abbiamo evocato? Provo a ripondere a questa domanda cogliendo alcuni di questi tratti in forma dialettica ed insieme propositiva rispetto alle attese indicate. 
a. Il Dio della libertà. Rispetto alla sete di totalità e al conseguente esercizio della violenza delle ideologie, al Dio dei credenti si chiede tutt’altro che una prova di forza. Una leggenda rabbinica favoleggia “di un fiume in terre lontane, così pio che durante il sabato cessava di scorrere”. Commenta in proposito Martin Buber: “Se in luogo del Meno attraverso Francoforte scorresse quel fiume, senza dubbio tutti quanti gli ebrei di Francoforte osserverebbero scrupolosamente il sabato. Ma Dio non opera tali segni. Egli ha palesemente orrore dell’inevitabile conseguenza: che in tal caso proprio i meno liberi, i timorosi e i meschini diverrebbero i ‘più pii’. E, si sa, Dio vuole per sé soltanto uomini liberi” (10). Il Dio di cui il nostro cuore ha nostalgia e bisogno non ha nulla delle pretese imprigionanti dell’ideologia! D’altra parte, di fronte al pensiero debole e all’assenza di senso e di speranza del nichilismo postmoderno il Dio del Vangelo si offre come approdo affidabile e certo, orizzonte di vita e abbraccio accogliente di misericordia per chiunque voglia confidare in Lui: Dio della libertà che rende liberi e ci chiede di essere liberi per lasciarci amare da Lui e divenire capaci di amare. 
b . Il Dio della vita. Al centro del cuore umano, oggi come sempre, abita la domanda che originariamente ci rende pensosi: l’interrogativo ineludibile della morte e della fine di tutto. “Gettati” verso la morte, sulla vertigine del nulla sentiamo prima o poi affacciarsi la situazione emotiva dell’angoscia: l’uomo diventa domanda a se stesso. Insieme, nel profondo del cuore, si affaccia l’indistruttibile nostalgia del volto di Qualcuno, che accolga il nostro dolore e le nostre lacrime e redima l’infinito dolore del tempo. È quanto esprime Agostino, aprendo le Confessioni: “Fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te” - “Ci hai fatto per Te ed è inquieto il nostro cuore finché non riposi in te”(11). 
Nella domanda che ognuno porta nel più profondo di sé va profilandosi l’immagine di un padre-madre nell’amore, qualcuno cui affidarsi senza riserve, quasi un’àncora, un approdo dove far riposare la nostra stanchezza e il nostro dolore, sicuri di non essere rigettati nell’abisso del nulla e di poter vivere un’esistenza degna di essere vissuta. Di qui nasce il movimento di trascendenza che è l’invocazione al Dio vivente, sorgente e meta di ogni esistere: il Dio della vita. 
c . Il Dio che è amore. La scelta decisiva sarà allora quella fra il vivere come pellegrini alla ricerca del volto del Dio nascosto, origine e patria dell’amore che fa esistere, o il chiuderci nelle nostre paure e nelle nostre solitudini. Per essere “mendicanti del cielo” (Jacques Maritain), e non prigionieri della morte che tutto chiude, occorre aprirsi all’ascolto e all’invocazione: è la scelta di cui hanno particolare bisogno le donne e gli uomini dell’epoca postmoderna. La relazione dell’uomo con Dio è possibile perché Dio per primo si è destinato all’uomo nell’amore. Dio ci viene incontro perché noi possiamo incontrarLo e divenire partecipi delle relazioni del Suo amore trinitario. È la via intravista da Agostino: “In verità vedi la Trinità, se vedi l’amore” (12). “Ecco sono tre: l’Amante, l’Amato e l’Amore”(13). “E non più di tre: uno che ama colui che viene da lui, uno che ama colui da cui viene, e l’amore stesso...”(14). L’essenza del Dio vivo è l’amore nel suo processo eterno, è la Trinità come storia eterna dell’amore, che suscita, assume e pervade la storia del mondo, oggetto del Suo amore. Si comprende come questa visione del Dio che è amore in se stesso e verso di noi possa risuonare quale buona novella nel tempo della crisi delle ideologie e della solitudine del nichilismo. Nel totalitarismo ideologico non c’è spazio per la differenza e quest’assenza produce inesorabilmente violenza, alienazione e morte. Lo stesso avviene nel nichilismo post-moderno, che non tollera l’alterità, tanto da tendere a distruggerla o a ricondurla a pura apparenza del medesimo in un generale trionfo della solitudine. Contro la massificazione ideologica, il vangelo del Dio Trinità Amore richiama l’infinita dignità di ogni singola persona, in Dio come nella sua immagine umana. Contro il nichilismo, esso proclama la possibilità reale dell’incontro con l’altro e la vittoria sulla solitudine, grazie al dialogo e alla comunione resi possibili da quell’amore, che costituisce l’unità essenziale del Dio vivente. In entrambi i casi, è la buona novella dell’amore trinitario a risuonare come risposta vera alle esigenze più profonde emergenti dalla crisi del nostro presente: si diventa capaci di amare quando ci si scopre amati per primi, avvolti e condotti dalla forza di un amore, che non annulla le differenze, valorizzandole anzi nell’unità. Alla luce della relazione col Dio trinitario, il Dio che è Amore (1 Gv 4, 8. 16), è possibile allora cercare il senso della vita e della storia, costruendo relazioni autentiche all’insegna della carità verso gli altri e del rispetto verso la grande casa di tutti, che è il creato: quel senso, appunto, che è l’amore, non fragile e banale, ma sicuro e affidabile, impossibile in quanto superiore alle nostre forze, possibile perché donatoci da Colui, che è in se stesso e verso di ogni Sua creatura amore fedele, ora e per l’eternità.

(1)  K. Marx, Zur Judenfrage, in Die Frühschriften, (hrsg. Landshurt), 199. 
(2)  I. Kant, Zur Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? (1784). 
(3)  F. Nietzsche La gaia scienza, Milano 1978, Aforisma 125. 
(4) M. Horkheimer - Th. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1966, 11 (“The fully enlightened earth radiates disaster triumphant”: Dialectic of Enlightenment (1944), New York 1969, 3). 
(5)  Perché i poeti?, in Sentieri interrotti, tr. P. Chiodi, Firenze 1984, 247. 249s. 
(6) I racconti dei Chassidim, (a cura di M. Buber), Milano 647. 
(7)  Perché i poeti?, o.c., 249s. 
(8)  M. Horkheimer, La nostalgia del Totalmente Altro, Queriniana, Brescia 20086 . 
(9)  Cf. P. Sequeri, Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 20135 . 
(10)  F. Rosenzweig, La stella della redenzione, Piemme, Casale Monferrato 1985, 286. 
(11) Confessiones, I, 1. 
(12)  De Trinitate, 8, 8, 12: PL 42,959. 
(13) Ib., 8, 10, 14: PL 42,960. 
(14)  Ib., 6, 5, 7: PL 42,928.