Il Papa ha incontrato il salesiano sequestrato nello Yemen, padre Tom.
Non mi sono mai sentito solo
Si è chinato a terra per baciare i piedi del Papa, che lo ha subito aiutato a rialzarsi e gli ha baciato le mani: questa immagine racconta l’incontro del Pontefice con don Thomas Uzhunnalil, il salesiano indiano liberato dopo essere stato rapito durante un attacco terroristico, oltre diciotto mesi fa, nello Yemen.
Francesco lo ha accolto a Santa Marta, la mattina del 13 settembre, dopo l’udienza generale. Lo ha abbracciato e incoraggiato, assicurandogli che continuerà a pregare per lui così come ha fatto durante la sua prigionia. E, visibilmente commosso, lo ha benedetto.
Da parte sua don Tom, come è familiarmente chiamato, ha ringraziato il Pontefice confidandogli di aver «pregato ogni giorno per lui, offrendo le sue sofferenze proprio per la sua missione e per il bene della Chiesa». Parole che hanno toccato il Papa.
Il religioso, rapito il 4 marzo 2016 ad Aden nell’attacco terroristico a una casa per anziani delle Missionarie della carità, ha anche confidato «di non aver potuto celebrare l’Eucaristia». Ma «ogni giorno — ha raccontato all’Osservatore Romano — ripetevo dentro di me, nel mio cuore, tutte le parole della celebrazione». Don Tom ha assicurato che ora continuerà «a pregare per tutti coloro che gli sono stati accanto spiritualmente». Con un ricordo del tutto particolare per le quattro suore e le dodici persone assassinate al momento del suo rapimento.
Particolari espressioni di gratitudine don Tom ha avuto per il governo dell’Oman che si è impegnato per ottenere la sua liberazione. E la Santa Sede, da parte sua, aveva già espresso in un comunicato la propria viva gratitudine a «quanti si sono adoperati per il suo ritrovamento, in particolare, sua maestà il sultano dell’Oman e le autorità competenti del sultanato».
Ad accompagnare il salesiano c’era il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay. «Dopo questa terribile esperienza — ha spiegato il porporato — il messaggio essenziale che don Tom tiene a lanciare è che “Gesù è grande e ci ama”». Gli fa eco il sacerdote, che conferma: «Veramente, ogni giorno, ho sentito Gesù accanto a me, ho sempre saputo e sentito nel mio cuore che non ero solo». Ora il religioso resterà a Roma per alcuni accertamenti medici, accolto dalla comunità salesiana guidata dal rettor maggiore. Le sue condizioni di salute «sono buone», precisa il cardinale Gracias, assicurando che «nel periodo di prigionia non ha avuto particolari problemi ed è stato trattato bene».
Cinquantasettenne, originario del Kerala, il salesiano racconta di essere stato educato nella fede cristiana dalla famiglia, profondamente cattolica. Suo zio Matteo, morto nel 2015, anch’egli salesiano, ha fondato la missione in Yemen. E al momento del rapimento don Tom si trovava nel Paese già da quattro anni.
(fonte: L'Osservatore Romano, 13-14 settembre 2017)