VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN COLOMBIA
IN COLOMBIA
6-11 SETTEMBRE 2017
Venerdì 8 settembre 2017
BOGOTÁ-VILLAVICENCIO
7.50 | Partenza in aereo dall’area militare (CATAM) dell’Aeroporto di Bogotá per Villavicencio Parole ai militari e alle forze dell'ordine |
8.30 | Arrivo alla Base Aerea di Apiay in Villavicencio |
9.30 | Santa Messa nel terreno CATAMA |
Questa mattina, lasciata la nunziatura apostolica, il Papa si è trasferito in auto all’aeroporto militare Catam di Bogotá. Al suo arrivo ha salutato e benedetto un gruppo di circa 400 reduci, militari e agenti di polizia, accompagnati dall’Ordinario militare della Colombia, monsignor Fabio Suescún Mutis.
Le parole del Papa
Buongiorno!
Voglio ringraziarvi per la vostra presenza qui. Ringraziarvi anche per tutto quello che avete fatto, che fate e che continuerete a fare in questi giorni, durante la mia visita. Lavoro in più!… Ma soprattutto vorrei ringraziarvi per quello che avete fatto e quello che fate per la pace, mettendo a rischio la vostra vita. Ed è quello che ha fatto Gesù: ci ha riconciliato con il Padre, ha messo a rischio la sua vita e l’ha donata. Questo vi rende ancora più fratelli di Gesù: rischiare [la vita] per la pace, per ottenere la pace. Grazie di cuore per tutto questo. Grazie! Vi auguro di poter vedere consolidata la pace in questo Paese, che se la merita.
E adesso, tutti insieme, vi chiedo di pregare in silenzio per tutti i caduti e per tutti i feriti, di cui alcuni sono qui tra noi. Preghiamo un istante in silenzio, e dopo un’Ave Maria alla Vergine.
[Ave Maria …]
[Benedizione]
E per favore, vi chiedo di pregare per me, non dimenticatelo!
Quindi è salito a bordo di un A321 dell’Avianca alla volta di Villavicencio, meta della terza giornata del suo viaggio in Colombia.
Al suo arrivo alla Base Aerea “Luis Gómez Niño-Apiay” di Villavicencio Francesco è stato accolto dall’arcivescovo della città e presidente della Conferenza episcopale della Colombia, monsignor Óscar Urbina Ortega. Alla presenza, inoltre, del governatore e del sindaco, che ha consegnato al Papa le chiavi della città, dei comandanti dell’Esercito, della Polizia e della Base Aerea Apiay.
A fare da sfondo all’accoglienza del Papa, canti e danze del folklore del Paese con alcune centinaia di fedeli e famiglie residenti nella Base.
Papa Francesco dopo aver percorso 10 chilometri dalla Base Aerea “Luis Gómez Niño-Apiay” di Villavicencio ha raggiunto l'area della Messa. L'assenza di transenne lungo i tragitti percorsi dal Papa in Colombia, oltre al gran numero di persone che accorrono per salutarlo al suo passaggio, ha creato qualche problema al corteo papale all'arrivo a Villavicenciolungo il percorso tra la base aereo e il terreno Catama dove viene celebrata l'Eucaristia.
In certi tratti le migliaia di persone che hanno cercato di avvicinarsi all'auto del Papa hanno fatto sì che il corteo non potesse più andare avanti, mentre i poliziotti in motocicletta facevano fatica ad aprire il percorso. Una volta, arrivato a Catama, nell'area della Messa, papa Francesco ha salutato la folla direttamente dalla papamobile.
Dopo aver girato in papamobile tra i fedeli, il Papa si è recato in sagrestia accompagnato da un gruppo di abitanti della regione degli Llanos Orientali.
Alle 9.30 locali (circa le 16.30 italiane), è iniziata la Messa nel corso della quale Francesco ha beatificato i Servi di Dio Jesús Emilio Jaramillo Monsalve, vescovo di Arauca, e Pedro María Ramírez Ramos, sacerdote diocesano, entrambi vittime della guerriglia che, per oltre 50 anni, ha insanguinato la Colombia.
Sono presenti numerosi fedeli provenienti dalle regioni degli Llanos e dai villaggi indigeni, oltre a vittime della violenza.
SANTA MESSA CON BEATIFICAZIONI
Terreno Catama (Villavicencio)
Venerdì, 8 settembre 2017
L'omelia di Papa Francesco
“Riconciliarsi in Dio, con i colombiani e con il creato”
La tua nascita, Vergine Madre di Dio, è l’alba nuova che ha annunciato la gioia al mondo intero, perché da te è nato il sole di giustizia, Cristo, nostro Dio! (cfr Antifona al Benedictus). La festività della nascita di Maria proietta la sua luce su di noi, così come si irradia la dolce luce dell’alba sulla vasta pianura colombiana, bellissimo paesaggio di cui Villavicencio è la porta, come pure sulla ricca diversità dei suoi popoli indigeni.
Maria è il primo splendore che annuncia la fine della notte e, soprattutto, il giorno ormai vicino. La sua nascita ci fa intuire l’iniziativa amorosa, tenera, compassionevole dell’amore con cui Dio si china fino a noi e ci chiama a una meravigliosa alleanza con Lui, che niente e nessuno potrà rompere.
Maria ha saputo essere trasparenza della luce di Dio e ha riflesso i bagliori di questa luce nella sua casa, che condivise con Giuseppe e Gesù, e anche nel suo popolo, nella sua nazione, e in quella casa comune di tutta l’umanità che è il creato.
Nel Vangelo abbiamo ascoltato la genealogia di Gesù (cfr Mt 1,1-17), che non è una mera lista di nomi, bensì storia viva, storia di un popolo con cui Dio ha camminato e, facendosi uno di noi, ha voluto annunciarci che nel suo sangue scorre la storia di giusti e peccatori, che la nostra salvezza non è una salvezza asettica, di laboratorio, ma concreta, una salvezza di vita che cammina. Questa lunga lista ci dice che siamo piccola parte di una grande storia e ci aiuta a non pretendere protagonismi eccessivi, ci aiuta a sfuggire alla tentazione di spiritualismi evasivi, a non astrarci dalle coordinate storiche concrete che ci tocca vivere. E inoltre include, nella nostra storia di salvezza, quelle pagine più oscure o tristi, i momenti di desolazione e abbandono paragonabili all’esilio.
La menzione delle donne – nessuna di quelle evocate nella genealogia appartiene alla gerarchia delle grandi donne dell’Antico Testamento – ci permette un avvicinamento speciale: sono esse, nella genealogia, quelle che annunciano che nelle vene di Gesù scorre sangue pagano, e a ricordare storie di emarginazione e sottomissione. In comunità dove tuttora trasciniamo atteggiamenti patriarcali e maschilisti, è bene annunciare che il Vangelo comincia evidenziando donne che hanno tracciato una tendenza e hanno fatto storia.
E in mezzo a tutto ciò, Gesù, Maria e Giuseppe. Maria col suo generoso “sì” ha permesso che Dio si facesse carico di questa storia. Giuseppe, uomo giusto, non ha lasciato che l’orgoglio, le passioni e lo zelo lo gettassero fuori da quella luce. Per la modalità della narrazione, noi sappiamo prima di Giuseppe quello che è successo a Maria, e lui prende decisioni dimostrando la sua qualità umana prima ancora di essere aiutato dall’angelo e arrivare a comprendere tutto ciò che accadeva intorno a lui. La nobiltà del suo cuore gli fa subordinare alla carità quanto ha imparato per legge; e oggi, in questo mondo nel quale la violenza psicologica, verbale e fisica sulla donna è evidente, Giuseppe si presenta come figura di uomo rispettoso, delicato che, pur non possedendo tutte le informazioni, si decide per la reputazione, la dignità e la vita di Maria. E nel suo dubbio su come agire nel modo migliore, Dio lo ha aiutato a scegliere illuminando il suo giudizio.
Questo popolo della Colombia è popolo di Dio; anche qui possiamo fare genealogie piene di storie, molte piene di amore e di luce; altre di scontri, di offese, anche di morte… Quanti di voi possono raccontare esperienze di esilio e di desolazione! Quante donne, in silenzio, sono andate avanti da sole, e quanti uomini per bene hanno cercato di mettere da parte astio e rancore volendo coniugare giustizia e bontà! Come faremo per lasciare che entri la luce? Quali sono le vie di riconciliazione? Come Maria, dire “sì” alla storia completa, non a una parte; come Giuseppe, mettere da parte passioni e orgoglio; come Gesù Cristo, farci carico, assumere, abbracciare questa storia, perché qui ci siete voi, tutti i colombiani, qui c’è quello che siamo… e quello che Dio può fare con noi se diciamo “sì” alla verità, alla bontà, alla riconciliazione. E questo è possibile solo se riempiamo della luce del Vangelo le nostre storie di peccato, violenza e scontro.
La riconciliazione non è una parola che dobbiamo considerare astratta; se fosse così, porterebbe solo sterilità, porterebbe maggiore distanza. Riconciliarsi è aprire una porta a tutte e ciascuna delle persone che hanno vissuto la drammatica realtà del conflitto. Quando le vittime vincono la comprensibile tentazione della vendetta, quando sconfiggono questa comprensibile tentazione della vendetta, diventano i protagonisti più credibili dei processi di costruzione della pace. Bisogna che alcuni abbiano il coraggio di fare il primo passo in questa direzione, senza aspettare che lo facciano gli altri. Basta una persona buona perché ci sia speranza! Non dimenticatelo: basta una persona buona perché ci sia speranza! E ognuno di noi può essere questa persona! Ciò non significa disconoscere o dissimulare le differenze e i conflitti. Non è legittimare le ingiustizie personali o strutturali. Il ricorso alla riconciliazione concreta non può servire per adattarsi a situazioni di ingiustizia. Piuttosto, come ha insegnato san Giovanni Paolo II, «è un incontro tra fratelli disposti a superare la tentazione dell’egoismo e a rinunciare ai tentativi di pseudo-giustizia; è frutto di sentimenti forti, nobili e generosi, che conducono a instaurare una convivenza fondata sul rispetto di ogni individuo e dei valori propri di ogni società civile» (Lettera ai Vescovi del Salvador, 6 agosto 1982). La riconciliazione, pertanto, si concretizza e si consolida con il contributo di tutti, permette di costruire il futuro e fa crescere la speranza. Ogni sforzo di pace senza un impegno sincero di riconciliazione sarà sempre un fallimento.
Il testo evangelico che abbiamo ascoltato culmina chiamando Gesù l’Emmanuele, che significa il Dio con noi. Così come comincia, ugualmente Matteo conclude il suo Vangelo: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dei tempi» (28,20). Gesù è l’Emmanuele che nasce e l’Emmanuele che ci accompagna ogni giorno, è il Dio con noi che nasce e il Dio che cammina con noi fino alla fine del mondo. Tale promessa si realizza anche in Colombia: Mons. Jesús Emilio Jaramillo Monsalve, Vescovo di Arauca, e il sacerdote Pedro María Ramírez Ramos, martire di Armero, sono segni di questo, l’espressione di un popolo che vuole uscire dal pantano della violenza e del rancore.
In questo ambiente meraviglioso, tocca a noi dire “sì” alla riconciliazione concreta; che il “sì” comprenda anche la nostra natura. Non è casuale che anche su di essa abbiamo scatenato le nostre passioni possessive, la nostra ansia di dominio. Un vostro compatriota lo canta con bellezza: «Gli alberi stanno piangendo, sono testimoni di tanti anni di violenza. Il mare è marrone, mescola sangue con la terra» (Juanes, Minas piedras). La violenza che c’è nel cuore umano, ferito dal peccato, si manifesta anche nei sintomi di malattia che riscontriamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi (cfr Lett. enc. Laudato si’, 2). Tocca a noi dire “sì” come Maria e cantare con lei le “meraviglie del Signore”, perché, come ha promesso ai nostri padri, Egli aiuta tutti i popoli e aiuta ogni popolo, e aiuta la Colombia che oggi vuole riconciliarsi e la sua discendenza per sempre.
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Parole del Santo Padre al termine della Santa Messa
Ringrazio per le parole che mi ha rivolto mons. Oscar Urbina Ortega, arcivescovo di Villavicencio, a nome di tutti voi.
In questo momento, desidero manifestare la mia vicinanza spirituale a tutti coloro che soffrono le conseguenze del terremoto che ha colpito il Messico la scorsa notte, provocando morti e ingenti danni materiali. Assicuro la mia preghiera per coloro che hanno perso la vita e per le loro famiglie.
Inoltre, seguo da vicino lo sviluppo dell’uragano Irma che sta colpendo la zona dei Caraibi lasciando dietro di sé numerose vittime e ingenti danni materiali, come pure causando migliaia di sfollati. Li porto nel mio cuore e prego per loro.
A voi chiedo di unirvi a queste intenzioni; e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
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