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martedì 12 settembre 2017

"Gesù ci invita a prendere il largo, a lasciare i nostri egoismi e a seguirlo; ad abbandonare paure che non vengono da Dio, che ci paralizzano e ritardano l’urgenza di essere costruttori della pace, promotori della vita." VIAGGIO APOSTOLICO IN COLOMBIA 6-11 SETTEMBRE 2017 /4 (Cronaca, testi, foto e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN COLOMBIA
6-11 SETTEMBRE 2017


Giovedì 7 settembre 2017
BOGOTÁ

16.30Santa Messa nel Parco Simón Bolívar
Parole del Santo Padre alla Nunziatura Apostolica

Sono stati centinaia di migliaia i fedeli che hanno gremito il grande parco Simon Bolivar per partecipare alla prima messa di Papa Francesco in terra colombiana. In prima fila il presidente premio Nobel per la pace Juan Manuel Santos con la consorte, donna Maria Clemencia. Il pontefice prima di iniziare la cerimonia ha voluto salutare i presenti girando in lungo e in largo con la papamobile i settori della enorme spianata. Breve e intensa l’omelia, incentrata sul passo del Vangelo di San Luca del giorno ed attualizzata al contesto che sta vivendo il Paese latinoamericano.






SANTA MESSA
OMELIA DEL SANTO PADRE
Parco Simón Bolívar (Bogotá)
Giovedì, 7 settembre 2017


“Costruttori della pace, promotori della vita”

L’Evangelista ricorda che la chiamata dei primi discepoli avvenne sulle rive del lago di Genesaret, lì dove la gente si affollava per ascoltare una voce capace di orientarla e illuminarla; è anche il luogo dove i pescatori terminano le loro faticose giornate, in cui cercano il sostentamento per condurre una vita senza penuria, una vita dignitosa e felice. E’ l’unica volta in tutto il Vangelo di Luca in cui Gesù predica presso il cosiddetto mare di Galilea. Nel mare aperto si confondono l’agognata fecondità del lavoro e la frustrazione per l’inutilità degli sforzi vani. E secondo un’antica interpretazione cristiana, il mare rappresenta anche l’immensità dove convivono tutti i popoli. Infine, a causa della sua agitazione e oscurità, esso evoca tutto quello che minaccia l’esistenza umana e che ha il potere di distruggerla.

Noi usiamo espressioni analoghe per definire le moltitudini: una marea umana, un mare di gente. Quel giorno, Gesù si trova ad avere alle spalle il mare e di fronte una moltitudine che lo ha seguito perché sa della sua commozione davanti al dolore umano e delle sue parole giuste, profonde, sicure. Tutti vengono ad ascoltarlo; la Parola di Gesù ha qualcosa di speciale che non lascia indifferente nessuno; la sua Parola ha il potere di convertire i cuori, di cambiare piani e progetti. E’ una Parola confermata dall’azione, non sono conclusioni scritte a tavolino, espressioni fredde e staccate dal dolore della gente, e perciò è una Parola che serve sia per la sicurezza della riva sia per la fragilità del mare.

Questa amata città, Bogotá, e questo bellissimo Paese, la Colombia, presentano molti degli scenari umani descritti nel Vangelo. Qui si trovano moltitudini che anelano a una parola di vita, che illumini con la sua luce tutti gli sforzi e mostri il senso e la bellezza dell’esistenza umana. Queste moltitudini di uomini e donne, bambini e anziani abitano una terra di inimmaginabile fecondità, che potrebbe dare frutti per tutti. Ma anche qui, come in altre parti del mondo, ci sono fitte tenebre che minacciano e distruggono la vita: le tenebre dell’ingiustizia e dell’inequità sociale; le tenebre corruttrici degli interessi personali o di gruppo, che consumano in modo egoista e sfrenato ciò che è destinato al benessere di tutti; le tenebre del mancato rispetto per la vita umana che miete quotidianamente l’esistenza di tanti innocenti, il cui sangue grida al cielo; le tenebre della sete di vendetta e di odio che macchia di sangue umano le mani di coloro che si fanno giustizia da soli; le tenebre di coloro che si rendono insensibili di fronte al dolore di tante vittime. Tutte queste tenebre, Gesù le disperde e le distrugge con il suo comando sulla barca di Pietro: «Prendi il largo» (Lc5,4).

Noi possiamo invischiarci in discussioni interminabili, fare la conta dei tentativi falliti ed elencare gli sforzi finiti nel nulla; ma come Pietro, sappiamo cosa significa l’esperienza di lavorare senza nessun risultato. Anche questa Nazione conosce questa realtà, quando per un periodo di sei anni, al suo inizio, ebbe 16 presidenti e pagò caro le sue divisioni (la “patria boba” [lett. “patria tonta”]); anche la Chiesa in Colombia ha fatto esperienza di impegni pastorali vani e infruttuosi..., però come Pietro, siamo anche capaci di confidare nel Maestro, la cui Parola suscita fecondità persino là dove l’inospitalità delle tenebre umane rende infruttuosi tanti sforzi e fatiche. Pietro è l’uomo che accoglie con risolutezza l’invito di Gesù, che lascia tutto e lo segue, per trasformarsi in un nuovo pescatore, la cui missione consiste nel condurre i suoi fratelli al Regno di Dio, dove la vita diventa piena e felice.

Ma il comando di gettare le reti non è rivolto soltanto a Simon Pietro; a lui è toccato di prendere il largo, come quelli che nella vostra Patria hanno per primi riconosciuto quello che più urge, quelli che hanno preso iniziative di pace, di vita. Gettare le reti comporta responsabilità. A Bogotá e in Colombia si trova in cammino un’immensa comunità, che è chiamata a diventare una rete robusta che raccolga tutti nell’unità, lavorando per la difesa e la cura della vita umana, particolarmente quando è più fragile e vulnerabile: nel seno materno, nell’infanzia, nella vecchiaia, nelle condizioni di disabilità e nelle situazioni di emarginazione sociale. Anche le moltitudini che vivono a Bogotà e in Colombia possono diventare vere comunità vive, giuste e fraterne se ascoltano e accolgono la Parola di Dio. In queste moltitudini evangelizzate sorgeranno molti uomini e donne divenuti discepoli che, con cuore veramente libero, possano seguire Gesù; uomini e donne capaci di amare la vita in tutte le sue fasi, di rispettarla, di promuoverla.

E come gli apostoli, occorre chiamarci gli uni gli altri, di mandarci dei segni, come i pescatori, di tornare a considerarci fratelli, compagni di strada, soci di questa impresa comune che è la patria. Bogotá e la Colombia sono, nel medesimo tempo, riva, lago, mare aperto, città attraverso la quale Gesù è passato e passa, per offrire la sua presenza e la sua parola feconda, per farci uscire dalle tenebre e portarci alla luce e alla vita. Chiamare gli altri, tutti, perché nessuno rimanga in balìa delle tempeste; far entrare nella barca tutte le famiglie: esse sono santuari della vita; fare spazio al bene comune al di sopra degli interessi meschini o particolari, farsi carico dei più fragili promuovendo i loro diritti.

Pietro sperimenta la sua piccolezza, sperimenta la grandezza della Parola e dell’azione di Gesù; Pietro conosce le proprie fragilità, il suo buttarsi in avanti e tirarsi indietro, come pure lo conosciamo noi, come lo conosce la storia di violenza e di divisione del vostro popolo che non sempre ci ha trovati disponibili a condividere la barca, le tempeste, le disavventure. Ma, come fece con Simone, Gesù ci invita a prendere il largo, ci spinge a condividere il rischio – non temete di rischiare insieme – ci invita a lasciare i nostri egoismi e a seguirlo; ad abbandonare paure che non vengono da Dio, i timori che ci paralizzano e ritardano l’urgenza di essere costruttori della pace, promotori della vita.

«Prendi il largo», disse Gesù. E i discepoli si fecero segno per riunirsi tutti nella barca. Che sia così per questo popolo.

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Al termine della celebrazione il Papa, nella tenda-sacrestia allestita accanto all’altare, ha salutato i due cardinali – l’arcivescovo di Caracas Jorge L. Urosa Savino e quello di Merida, Baltazar E. Porras Cardoso - e tre vescovi venezuelani: l’ausiliare della capitale Jesus Gonzalez de Zarate e il primo e il secondo vicepresidente dell’episcopato, i vescovi di San Cristobal e di Barinas.


La lunga giornata di Papa Francesco a Bogotà si è conclusa con il rientro alla Nunziatura.
Come già era accaduto la sera precedente, un gruppo di ragazzi, anziani e disabili lo aspettava per salutarlo prima che entrasse all’interno dell’edificio per la cena e il riposo notturno. 
Ne è risultato un toccante incontro con uno scambio di battute con i gruppi di giovani e di disabili, che hanno anche inscenato per lui canti e danze di tono tradizionale.

“Vogliamo un mondo nel quale la vulnerabilità sia riconosciuta come parte essenziale nell’umano. Che invece di indebolirci ci dia forza e dignità. Un luogo di incontro comune che ci umanizzi”.
E il Papa risponde, “abbiamo bisogno che quella vulnerabilità sia rispettata, accarezzata, curata nella misura del possibile, e che dia frutti per gli altri. Siamo tutti vulnerabili. Cara Maria, puoi rispondere a una domanda? Chi è l’unica persona che non è vulnerabile?” e la bimba dice: Dio!
“Dio! - conclude il Papa - Dio è l’unico che non è vulnerabile, tutti gli altri siamo vulnerabili, in alcuni si vede, in altri no. Ma è l’essenza dell’umano, questo bisogno di essere accolto da Dio, tutti. Per questo non si deve, non si può scartare nessuno, è chiaro? Perché ognuno di noi è un tesoro, che si offre a Dio, così Dio lo fa crescere a modo suo.”
“Per favore – ha quindi concluso – non dimenticate di pregare per me perché anch’io sono vulnerabile”.




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