L’orologio della Stazione centrale segna le 10:25 da trentadue anni. Un altro 2 agosto, un altro dito nella ferita.
Quella mattina la stazione è affollata di gente che va e torna dal mare, e la sala d’aspetto della seconda classe è gremita ma tranquilla. Non sono nemmeno le 10 e 30 quando «un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, esplose, causando il crollo dell’ala ovest dell’edificio. L’esplosivo, di fabbricazione militare, era posto nella valigia, sistemata a circa 50 centimetri d’altezza su di un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell’ala ovest, allo scopo di aumentarne l’effetto». «Lo scoppio fu violentissimo, provocò il crollo delle strutture sovrastanti le sale d’aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici dell’azienda di ristorazione Cigar e di circa 30 metri di pensilina. L’esplosione investì anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario. Il soffio arroventato prodotto da una miscela di tritolo e T4 tranciò i destini di persone provenienti da 50 città diverse italiane e straniere. Il bilancio finale fu di 85 morti e 200 feriti. La violenza colpì alla cieca cancellando a casaccio vite, sogni, speranze», così il momento viene ricordato, lapidario nella sua sintetica precisione, da Stragi.it, il sito internet dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
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Lo ricordo molto bene. Il 2 agosto 1980 alle 10:25, nella sala d’aspetto di 2ª classe della stazione di Bologna, affollata di turisti e di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, esplose, causando il crollo dell’ala ovest dell’edificio...
Passai, accanto al convoglio fermo sul primo binario, il giorno dopo. La ‘ferita’ ancora visibile dalle rovine dell’edificio devastato, testimoniava tutta l’atrocità di quanto era accaduto. La gente passava in silenzio. Tra loro tanti giovani universitari, senza risposte. Ricordo le prime reazioni. Anche perchè Bologna reagì alla strage con orgoglio e prontezza: molti cittadini, insieme ai viaggiatori presenti, prestarono infatti i primi soccorsi alle vittime e contribuirono ad estrarre le persone sepolte dalle macerie ed, immediatamente dopo l’esplosione, la corsia di destra dei viali di circonvallazione del centro storico di Bologna, su cui si trova la stazione, fu riservata alle ambulanze ed ai mezzi di soccorso.
Dato il grande numero di feriti, non essendo tali mezzi sufficienti al loro trasporto verso gli ospedali cittadini, i vigili impiegarono anche autobus, in particolare quello della linea 37, auto private e taxi. Al fine di prestare le cure alle vittime dell’attentato, i medici ed il personale ospedaliero fecero ritorno dalle ferie, così come i reparti, chiusi per le festività estive, furono riaperti per consentire il ricovero di tutti i pazienti. L’autobus 37 divenne, insieme all’orologio fermo alle 10:25, uno dei simboli della strage. Una strage, ancora oggi, non del tutto spiegata. Come tante altre stragi di quegli anni, in una Italia sconvolta da una violenza che l’ha divisa tra civiltà e barbarie.
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