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martedì 4 settembre 2018

L'inferno delle madri. Vita e morte di profughi e migranti di Marina Corradi - La verità ridotta a «bufala». Negare gli abusi sui migranti per rafforzare il consenso di Umberto Rapetto


L'inferno delle madri.
Vita e morte di profughi e migranti

di Marina Corradi

Ultimo rapporto della Missione in Libia dell’Onu, datato 24 agosto e diffuso ieri. «Migranti e rifugiati continuano a essere sottoposti a privazione della libertà e detenzione arbitraria in luoghi di prigionia ufficiali e non ufficiali; torture, inclusa la violenza sessuale, rapimento a scopo di riscatto, estorsione, lavoro forzato, esecuzioni illegali. Il numero dei prigionieri è aumentato a causa delle intercettazioni in mare e della chiusura delle rotte nel Mediterraneo, che impediscono le partenze. Colpevoli delle violenze sono ufficiali governativi come gruppi armati, bande criminali, contrabbandieri, trafficanti». «Le donne e le ragazze migranti – prosegue il rapporto – sono particolarmente esposte a stupro, prostituzione forzata e altre forme di violenza». Ai rappresentanti della Missione è stato tra l’altro negato l’accesso alla prigione Zuwarah, che pure è governativa. Gli occhi dell’Onu non devono superare le sue mura: a scuotere le false sicurezze di chi ama dire e gridare che le notizie riferite da quanti sbarcano in Occidente sono "esagerazioni", addirittura "invenzioni".

Proprio fra le testimonianze dei cento accolti dalla Cei e giunti a Rocca di Papa, età media 25 anni – ragazzi dunque, li chiameremmo, fossero figli nostri – ecco quella di otto giovani donne riferite a Carlotta Sami, portavoce in Italia dell’Acnur, tramite la mediatrice culturale. Le ragazze hanno detto di avere passato «l’inferno in terra», di aver subito «cose che nessuna donna dovrebbe sopportare». Stuprate e poi tenute prigioniere anche per anni, loro e altre compagne che non ce l’hanno fatta ad arrivare in Occidente. Rimaste incinte, hanno partorito in prigione bambini che sono morti di stenti a pochi mesi.

Sono parole che i media hanno pubblicato ieri, forse passate inosservate nella mole di notizie sui migranti. Ma, se ti fermi a pensarci, ti accorgi che descrivono qualcosa di più di ciò che già sappiamo, violenza, stupri, ricatti. Descrivono un inferno: delle donne, e poi delle madri. Prima violentate e recluse. Poi abbandonate in prigione per settimane e mesi; mentre dal loro giovane corpo arrivano i segni di una gravidanza. Riusciamo a immaginarci? Con negli occhi ancora le facce degli stupratori, sentendosi addosso ancora, e forse per sempre, le loro mani, queste ragazze si sono sapute madri di un figlio concepito nella violenza. Un figlio, forse, con gli stessi occhi dell’uomo che non dimenticheranno mai. Nel tempo immobile di una prigione, sentire in sé che quel figlio cresce. Si odia, il figlio di un tale sopruso, quasi fosse anche lui un invasore? È possibile. È possibile che nei lunghi mesi dell’attesa, mentre la sua presenza diventa evidente e il suo peso grava il ventre, una donna odi il figlio. Che il parto col suo dolore sembri un’altra violenza.

Ma piangono come tutti i bambini, quei bambini. Solo il seno materno li acquieta. Ci si addormentano sopra, fiduciosi. Non dilania, allora, il contrasto fra la ferocia subita e quell’abbandono inerme? Nel silenzio echeggiante di gemiti delle celle, le prigioniere in bilico su un crinale: odiare, come sarebbe umanamente anche ragionevole, oppure, tuttavia, amare. Ce ne saranno, che si stringono alla fine quel figlio al petto, spinte da un istinto antico, e perfino più forte del male.

Ma il bambino ha fame, e la madre non mangia a sufficienza, il latte le manca. È nel buio e tra lo sporco. Quei figli, forti abbastanza da venire al mondo senza esser voluti, in un tugurio, non reggono alla fame e alle infezioni. Si fanno lividi, un giorno dopo l’altro, il pianto più flebile. Dormono quasi sempre, ma è una sonnolenza malata che li tiene quieti. Come li vegliano, con quali occhi, le donne che ormai li sentono, nonostante tutto, vinte dall’istinto materno, figli? Quanto soffrono dell’annunciarsi della morte in quei volti di bambini? Una mattina trovarli accanto nel giaciglio, inerti. Piangere, per non volersene separare. Non è, quello sussurrato in poche faticose parole da povere migranti, a Rocca di Papa, l’inferno delle madri? E come mai, pure leggendo, quasi non ce ne accorgiamo? È il colore della pelle, che ci impedisce di immedesimarci?

Cose che accadono appena al di là del nostro mare. Chi fugge viene bloccato, persino riportato indietro, i porti ostentatamente sbarrati. Non possiamo accogliere tutti, dicono, ed è vero. E però lacera il pensiero di queste donne violate, e poi madri, che assistono all’agonia dei loro figli. L’inferno delle madri. Appena al di là del nostro mare.
La verità ridotta a «bufala». 
Negare gli abusi sui migranti per rafforzare il consenso
di Umberto Rapetto 
Generale GdF (r) - già comandante del GAT Nucleo Speciale Frodi Telematiche

Sarebbe stato bello. Che meraviglia se la storia delle torture ai migranti fosse stata una bufala. Ne avrebbero gioito le persone buone, consolate come chi si desta da un brutto sogno. Ne avrebbero goduto gli smascheratori di presunti scoop (glorificati per la loro impietosa opera di pulizia) e chi pratica lo squadrismo giornalistico in ossequio di un redivivo Min-CulPop (apprezzato per il silenziare la voce stonata di chi fa buona informazione).

Purtroppo la circostanza è drammaticamente vera, testimoniata da materiale video che nemmeno Quentin Tarantino si sentirebbe di proporre al proprio pubblico: filmati come quelli i cui fotogrammi – per rigida deontologia e linea editoriale a tutela dei lettori – sono stati sostituiti con le immagini di repertorio che hanno scatenato le polemiche di questi giorni. L’attenzione collettiva si è così spostata dai fatti alla loro rappresentazione.

La foto non corrisponde al video, le torture non ci sono: questo il ragionamento che ha fatto immediatamente presa sulla medesima gente che – dopo essersi ripetutamente ubriacata di 'fake news' – ha voluto palesare la propria sobrietà esibendosi in prove di equilibrio su un piede solo. Nonostante le 'porcherie' commesse da alti funzionari dello Stato e gli inqualificabili comportamenti di chi sfrutta biecamente il business dell’accoglienza, il nostro Paese continua a rappresentare un approdo ideale per chi fugge dall’inferno al di là del Mediterraneo.

La Libia – che non ha dimenticato la nostra occupazione coloniale e la partnership italiana nella capitolazione del regime di Gheddafi – non rappresenta un interlocutore affidabile e qualunque accordo zoppica in ragione della policefala gestione del potere politico locale. Soprattutto non è il 'porto sicuro' cui indirizzare i disperati che ne sono fuggiti e che non hanno voce per raccontare – a mutuare il replicante Roy Batty nel 'Blade Runner' di Ridley Scott – 'cose che voi umani non potreste immaginare'. Nemmeno il colpo di mortaio caduto ieri in prossimità della nostra ambasciata italiana a Tripoli servirà a capire l’instabilità e l’incertezza di quel fronte. Con la scusa delle 'foto false' (e le due pubblicate da 'Avvenire' non possono essere definite tali per una didascalia errata) c’è chi continuerà ad etichettare come 'crociere' le spaventose traversate e 'una pacchia' il soggiornare in certi inqualificabili lager dalle nostre parti.

Mentre in Libia ogni attività ispettiva degli organismi internazionali è impedita e continuano a consumarsi atrocità inenarrabili, continua la 'caccia al negro' che tanto entusiasma i mancati adepti di un Ku Klux Klan de noantri. I problemi – tutti irrisolti – del Paese passano in secondo piano. L’importante è far crescere il consenso, poco importa se è quello di una folla furente e incontrollabile. Per incrementare l’approvazione popolare il delegittimare (e un domani lo zittire) la stampa scomoda è un passaggio obbligato. Basta saperlo. E magari spiegarlo a chi si conosce. Una sorta di vaccinazione, anche se pure questa – come la verità – non va di moda.

Vedi anche i post precedenti:

lunedì 3 settembre 2018

«La verità è silenziosa ... Con le persone che cercano soltanto scandalo e divisione: silenzio e preghiera» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)

S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
3 settembre 2018
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 

Papa Francesco:
La verità è silenziosa”


Silenzio e preghiera «con le persone che non hanno buona volontà, con le persone che cercano soltanto lo scandalo, che cercano soltanto la divisione, che cercano soltanto la distruzione, anche nelle famiglie». È il suggerimento proposto da Papa Francesco nella messa celebrata lunedì mattina, 3 settembre, a Santa Marta — la prima dopo la pausa estiva — commentando l’episodio evangelico di Gesù cacciato dalla sinagoga di Nazareth. Il Pontefice ha invitato a chiedere al Signore «la grazia di discernere quando dobbiamo parlare e quando dobbiamo tacere. E questo in tutta la vita: nel lavoro, a casa, nella società, in tutta la vita. Così saremo più imitatori di Gesù».

«Questo passo del Vangelo — ha fatto subito notare Francesco riferendosi al brano di Luca (4, 16-30) — ci fa riflettere sul modo di agire nella vita quotidiana, quando ci sono dei malintesi, delle discussioni». Ma «ci fa anche capire come il padre della menzogna, l’accusatore, il diavolo, agisce per distruggere l’unità di una famiglia, di un popolo».

Rilanciando i contenuti del passo evangelico proposto oggi dalla liturgia, il Papa ha fatto presente che «Gesù venne a Nazareth, dove era cresciuto». Certo, ha aggiunto, «se ne era andato, aveva incominciato la predica», ma «le voci sono arrivate: “Ma guarda, questo che è uscito da qua fa dei miracoli!”». Ed ecco che a Nazareth «la gente aspettava di vederlo e quando venne la gente lo guardava: tutti sappiamo cosa succede in un villaggio quando torna qualcuno che se n’era andato per far gli studi e torna con la laurea, o se n’è andato a cercare fortuna e torna con i soldi, ricco, e il villaggio si commuove: “È uno dei nostri che torna”. Tutti sappiamo questo» . E quel giorno a Nazareth è «successo questo».

Dunque, ha proseguito il Pontefice, «la gente lo ricevette bene e, quando andò in sinagoga, ascoltarono». Ma «Gesù non parla di se stesso direttamente: usa la parola di Dio. Sempre, quando Gesù vuol dire qualcosa d’importante, usa la parola di Dio; anche quando vuol vincere il diavolo — pensiamo alle tentazioni nel deserto — usa la parola di Dio».

Il Vangelo, ha affermato il Papa, ci racconta che Gesù «legge questo passo del profeta Isaia dove si preannuncia il tempo del messia». Quindi «riavvolse il rotolo, lo consegnò all’inserviente e sedette», come si legge nel Vangelo. E tutta «la sinagoga era piena di gioia, stupita», ha spiegato Francesco. Tanto che, scrive Luca, «nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di lui». E probabilmente, ha aggiunto il Papa, la sua gente diceva: «Ma, guarda, questo è uno dei nostri, ma che bello. Dio ci parlerà!».

Scrive ancora Luca nella pagina del suo Vangelo: «Allora incominciò a dire Gesù: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”». Infatti Gesù «non fa altra predica: sempre la parola di Dio — ha detto il Pontefice — e tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca».

Ma «a questo punto — ha fanno notare Francesco — la prima parola-ponte, diciamo, dalla gioia a un’altra cosa, dalla pace alla guerra: “Ma non è costui il Figlio di Giuseppe?”». E Gesù «raccoglie la sfida e rispose: “Certamente voi mi citerete questo proverbio: ‘medico, cura te stesso’. Fate, fate”». In sostanza la gente chiede a Gesù: «Fai fra noi i miracoli che dicono che hai fatto a Cafarnao, e noi crederemo».

Ma «Gesù spiega loro: “In verità, io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria”. E ricorda i profeti di Israele che sono andati a fare dei miracoli fuori dalla patria perché la patria era chiusa alla fede». E «quando finì di spiegare questo, della vedova di Sarèpta, del lebbroso di Sidone, del lebbroso che era stato guarito da Eliseo, la gente — tutti, ma gli stessi che erano stupiti, incantati — nella sinagoga si riempirono di sdegno: dallo stupore allo sdegno». Così «hanno cambiato: quel seme seminato dal diavolo ha incominciato a crescere. Si alzarono, lo cacciarono via, entrarono in questo atteggiamento di branco: non erano persone, erano una muta di cani selvaggi che lo cacciarono fuori dalla città. Non ragionavano».

Davanti a questo atteggiamento però «Gesù taceva. Lo portarono sul ciglio del monte per buttarlo giù». E, ha aggiunto, «questo passo del Vangelo finisce così: “Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino”. La dignità di Gesù: con il suo silenzio vince quella muta selvaggia e se ne va. Perché non era arrivata ancora l’ora». E, ha ha affermato Francesco, «lo stesso accadrà venerdì santo: la gente che la domenica delle palme aveva fatto festa per Gesù e gli aveva detto “Benedetto Tu, Figlio di Davide”, diceva “crucifige”: avevano cambiato». Così «il diavolo aveva seminato la menzogna nel cuore, e Gesù faceva silenzio».

«Questo ci insegna che quando c’è questo modo di agire, di non voler vedere la verità, resta il silenzio» ha ribadito il Papa, spiegando: «Il silenzio che vince, ma tramite la croce. Il silenzio di Gesù. Ma quante volte nelle famiglie incominciano delle discussioni sulla politica, sullo sport, sui soldi e una volta e l’altra e quelle famiglie finiscono distrutte, in queste discussioni nelle quali si vede che il diavolo è lì che vuol distruggere». Silenzio, è il suggerimento di Francesco: «Dire la sua e poi tacere. Perché la verità è mite, la verità è silenziosa, la verità non è rumorosa. Non è facile, quello che ha fatto Gesù; ma c’è la dignità del cristiano che è ancorata nella forza di Dio».

«Con le persone — ha rilanciato il Papa — che non hanno buona volontà, con le persone che cercano soltanto lo scandalo, che cercano soltanto la divisione, che cercano soltanto la distruzione, anche nelle famiglie: silenzio. E preghiera». E «sarà il Signore, dopo, a vincere, sia, come in questo caso, con la dignità di Gesù che rafforza e torna libero da quella volontà di buttarlo giù, sia con la dignità della vittoria della risurrezione, dopo la croce».

In conclusione il Pontefice ha chiesto al Signore «la grazia di discernere quando dobbiamo parlare e quando dobbiamo tacere. E questo in tutta la vita: nel lavoro, a casa, nella società, in tutta la vita. Così saremo più imitatori di Gesù».
(fonte: L'Osservatore Romano)

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La prefazione di Roberto Saviano al libro PREGHIERA DEL MARE di Khaled Hosseini - «Dammi la mano. Non ti succederà niente di male»

PREGHIERA DEL MARE

Preghiera del mare di Khaled Hosseini arriva in libreria a settembre in contemporanea con Usa e Regno Unito.

Preghiera dal Mare raccoglie in forma di lettera le riflessioni di un padre che guarda il proprio figlio dormire durante il viaggio che sperano li porterà verso una vita migliore. L’uscita avviene in occasione del terzo anniversario della morte di Aylan Kurdi, il bambino siriano di 3 anni il cui corpo era stato sospinto dalla marea su una spiaggia turca.

Un libro che nasce in collaborazione con l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati UNHCR ed è la risposta all’attuale crisi internazionale dei rifugiati.

“Ci troviamo nel mezzo di una crisi migratoria di enormi proporzioni. Preghiera del Mare vuole essere anzitutto un tributo a milioni di famiglie che, come quella di Aylan, sono state costrette ad abbandonare il proprio paese e la propria vita.” dice Hosseini che devolverà l’intera somma derivante dalla vendita del libro all’UNHCR e alla Fondazione Hosseini per finanziare azioni umanitarie a supporto dei rifugiati di ogni paese.

La preghiera di Hosseini
per il popolo del mare
 
Anteprima mondiale / Un padre sussurra al figlio prima di partire per la traversata verso una vita migliore: "Non ti succederà niente di male". Il dramma dei migranti e il coraggio che ci manca nel nuovo libro dell'autore del "Cacciatore di aquiloni". La prefazione di Roberto Saviano

«Dammi la mano. Non ti succederà niente di male» sono le parole più semplici che un genitore possa dire al proprio bambino per rassicurarlo, e le più efficaci. Spesso non c’è nemmeno bisogno di dirle, queste parole, basta un corpo adulto, amato, caldo. Basta percepirne il contatto per stare bene. Per tranquillizzarsi, per dormire. 
Nei miei ricordi «non ti succederà niente di male» mi veniva detto per esorcizzare un brutto sogno o per placare la paura del lupo, quella del diavolo. Non erano pericoli reali ma, senza quella rassicurazione, qualcosa mi diceva che forse sarei anche potuto morire. 
Che abisso incolmabile esiste tra un pericolo solo percepito e uno reale. Un abisso ai bambini ignoto. 
Oggi la storia chiede a tutti noi – adulti e bambini – di essere migliori di quello che siamo, di essere più grandi dell’epoca buia che stiamo vivendo. Di essere più forti di quanto sarebbe umano pretendere da un uomo e più umani di quanto non sia stato necessario fino a questo momento. Oggi dall’abisso salgono ombre, ombre che non riusciamo a ricacciare nelle viscere della terra perché ne abbiamo paura, perché siamo atterriti da ciò che potrebbe accadere se prendessero il sopravvento. E più aumenta la nostra paura, più quelle ombre si ingigantiscono, ci sembrano incombenti. Più noi ci rintaniamo in un angolo credendo di ripararci, più ci scopriamo intrappolati. E la storia, oggi, ci chiede una prova di coraggio, ci chiede di mostrare che siamo in grado di meritare ciò che stiamo vivendo. Ma come, direte, dobbiamo meritarci una storia che ci fa male, una storia che ci ferisce? Una storia iniqua? Perché oggi lo sappiamo cosa accade, conosciamo l’inferno che vivono i migranti per tentare la via dell’Europa. Come facciamo, dunque, a fingere di non sapere niente? Oggi esistono strumenti per leggere ciò che accade, ecco perché questa storia dobbiamo meritarcela. Dobbiamo meritarla perché abbiamo lenti sofisticate attraverso cui dissipare le ombre che ci spaventano. 
Se apriamo bene gli occhi, se li spalanchiamo fino quasi a farci venire i crampi, tutto diventa evidente. Ecco dunque la prova alla quale siamo chiamati: riuscire a guardare, guardare oltre, portare l’occhio al di là della linea dell’orizzonte, non fermarsi dove il mare e il cielo si toccano, perché la terra non finisce lì, anzi è proprio lì che comincia. E immaginiamo che oltre la linea dell’orizzonte ci siano persone come noi, identiche. Non più buone o più cattive, non più innocue o più pericolose: esattamente come noi. E poi andiamo ancora più lontano e immaginiamo i luoghi in cui quelle persone sono nate: le case, i sorrisi dei loro genitori, le domeniche con i nonni. Famiglie numerose, tanti bambini. E poi la scuola, i libri, la televisione, il lavoro. 
Tutto potrebbe essere così. O tutto questo potrebbe essere cambiato repentinamente. Un colpo di Stato. Siccità. Minoranze etniche o religiose costrette a fuggire. Ma chi fugge? Chi può, chi ce la fa, chi riesce a trovare le risorse per affrontare mesi di viaggio. E i libri? E i bambini? E i nonni? E le abitudini di ogni giorno? Tutto questo c’è, oltre quella linea, e tutto questo abbiamo il dovere di conoscere, avendo oggi gli strumenti per farlo. 
Ecco la prova che la storia ci chiede: essere all’altezza di questa sfida e fare, ciascuno, la propria parte. Incontreremo, durante il viaggio, sirene. Ci troveranno stanchi, spossati dal lungo cammino, affamati ci troveranno e assetati. Ci troveranno forse sofferenti e, se sarà così, dovremo coprirci meglio le orecchie e non dare ascolto. «State male? Soffrite? Fidatevi di noi, troveremo per voi il colpevole». Questo ci diranno, e se riusciremo a proseguire avremo trovato la formula per uscire dal labirinto. Avremo trovato la strada, questa: smetterla di cercare il colpevole, perché in quella ricerca partiamo Abele per ritrovarci Caino. 
E allora dammi la mano ché, se vorrai conoscere il mondo oltre l’orizzonte, questo libro è il posto giusto per iniziare. E se poi riuscirai a riconoscere, in una piazza affollata di persone che hanno la pelle di un colore diverso dal tuo, una umanità pulsante e non nemici da cui guardarti, non ti succederà niente di male. Mai.
(fonte: La Repubblica 02/09/2018)


«Anche oggi il Signore ci invita a fuggire il pericolo di dare più importanza alla forma che alla sostanza.» Papa Francesco, Angelus del 2 settembre 2018 (Testo e video)


ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 2 settembre 2018

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

in questa domenica riprendiamo la lettura del Vangelo di Marco. Nel brano odierno (cfr Mc 7,1-8.14-15.21-23), Gesù affronta un tema importante per tutti noi credenti: l’autenticità della nostra obbedienza alla Parola di Dio, contro ogni contaminazione mondana o formalismo legalistico. Il racconto si apre con l’obiezione che gli scribi e i farisei rivolgono a Gesù, accusando i suoi discepoli di non seguire i precetti rituali secondo le tradizioni. In questo modo, gli interlocutori intendevano colpire l’attendibilità e l’autorevolezza di Gesù come Maestro perché dicevano: “Ma questo maestro lascia che i discepoli non compiano le prescrizioni della tradizione”. Ma Gesù replica forte e replica dicendo: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”» (vv. 6-7). Così dice Gesù. Parole chiare e forti! Ipocrita è, per così dire, uno degli aggettivi più forti che Gesù usa nel Vangelo e lo pronuncia rivolgendosi ai maestri della religione: dottori della legge, scribi… “Ipocrita”, dice Gesù.

Gesù infatti vuole scuotere gli scribi e i farisei dall’errore in cui sono caduti, e qual è questo errore? Quello di stravolgere la volontà di Dio, trascurando i suoi comandamenti per osservare le tradizioni umane. La reazione di Gesù è severa perché grande è la posta in gioco: si tratta della verità del rapporto tra l’uomo e Dio, dell’autenticità della vita religiosa. L’ipocrita è un bugiardo, non è autentico.

Anche oggi il Signore ci invita a fuggire il pericolo di dare più importanza alla forma che alla sostanza. Ci chiama a riconoscere, sempre di nuovo, quello che è il vero centro dell’esperienza di fede, cioè l’amore di Dio e l’amore del prossimo, purificandola dall’ipocrisia del legalismo e del ritualismo.

Il messaggio del Vangelo oggi è rinforzato anche dalla voce dell’Apostolo Giacomo, che ci dice in sintesi come dev’essere la vera religione, e dice così: la vera religione è «visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo» (v. 27).

“Visitare gli orfani e le vedove” significa praticare la carità verso il prossimo a partire dalle persone più bisognose, più fragili, più ai margini. Sono le persone delle quali Dio si prende cura in modo speciale, e chiede a noi di fare altrettanto.

“Non lasciarsi contaminare da questo mondo” non vuol dire isolarsi e chiudersi alla realtà. No. Anche qui non dev’essere un atteggiamento esteriore ma interiore, di sostanza: significa vigilare perché il nostro modo di pensare e di agire non sia inquinato dalla mentalità mondana, ossia dalla vanità, dall’avarizia, dalla superbia. In realtà, un uomo o una donna che vive nella vanità, nell’avarizia, nella superbia e nello stesso tempo crede e si fa vedere come religioso e addirittura arriva a condannare gli altri, è un ipocrita.

Facciamo un esame di coscienza per vedere come accogliamo la Parola di Dio. Alla domenica la ascoltiamo nella Messa. Se la ascoltiamo in modo distratto o superficiale, essa non ci servirà molto. Dobbiamo, invece, accogliere la Parola con mente e cuore aperti, come un terreno buono, in modo che sia assimilata e porti frutto nella vita concreta. Gesù dice che la Parola di Dio è come il grano, è un seme che deve crescere nelle opere concrete. Così la Parola stessa ci purifica il cuore e le azioni e il nostro rapporto con Dio e con gli altri viene liberato dall’ipocrisia.

L’esempio e l’intercessione della Vergine Maria ci aiutino a onorare sempre il Signore col cuore, testimoniando il nostro amore per Lui nelle scelte concrete per il bene dei fratelli.

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

ieri, a Košice (Slovacchia), è stata proclamata Beata Anna Kolesárová, vergine e martire, uccisa per aver resistito a chi voleva violare la sua dignità e la sua castità. E’ come la nostra italiana Maria Goretti. Questa ragazza coraggiosa aiuti i giovani cristiani a restare saldi nella fedeltà al Vangelo, anche quando richiede di andare controcorrente e pagare di persona. Un applauso alla Beata Anna Kolesárová!

Questo fa dolore: spirano ancora venti di guerra e giungono notizie inquietanti sui rischi di una possibile catastrofe umanitaria nell’amata Siria, nella Provincia di Idlib. Rinnovo il mio accorato appello alla Comunità internazionale e a tutti gli attori coinvolti ad avvalersi degli strumenti della diplomazia, del dialogo e dei negoziati, nel rispetto del Diritto umanitario internazionale e per salvaguardare le vite dei civili.

Saluto tutti voi, cari pellegrini provenienti dall’Italia e da vari Paesi. In particolare, saluto le catechiste di Caerano San Marco, i ragazzi di Montirone, i giovani di Rovato e quelli giunti da diverse città della Spagna dopo un lungo cammino, e i partecipanti al raduno dei motociclisti in Vespa. Vedo lì il cartello, benvenuti!

A tutti auguro una buona domenica. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

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domenica 2 settembre 2018

Migranti accolti nelle diocesi - Striscioni offensivi e minacce sul Web.


Secondo noi. 
Intimidire i benefattori non è un'opzione.
Agisca chi ha il dovere

Striscioni offensivi e minacce sul Web. Movimenti nazionali e iniziative di gruppi locali cercano di guadagnare facili consensi e di mettere sulla difensiva vescovi, Caritas e comunità che hanno scelto la via generosa e più scomoda dell’accoglienza di fronte al dramma dei cento profughi salvati dalla nave "Diciotti". Si tratta di mettere in pratica il Vangelo, concretamente, rispondendo a una crisi umanitaria e ai bisogni specifici di persone che in questo modo troveranno una seconda chance per le proprie esistenze.

I giovani eritrei, in piccolissimi gruppi, da Vicenza ad Ascoli, da Milano a Taranto, troveranno un percorso di integrazione che li porterà, se vorranno, a diventare cittadini ben inseriti. Non invadono e non "sostituiscono", come diceva un becero slogan proposto da Forza Nuova. Quello che andrebbe sostituito, e rapidamente, è il clima di intolleranza che sembra avere acquisito spazio e impunità nel Paese. Come se intimidire chi lavora per i poveri e per il bene pubblico sia un’opzione politica al pari di tante altre forme di propaganda. Una deriva da fermare. E il compito spetta, secondo l’architettura istituzionale, proprio al Ministero dell’Interno e al suo titolare.

Migranti della Diciotti.
Trasferimenti nelle diocesi, proteste e intimidazioni

(Da Avvenire articolo di Fulvio Fulvi - 1 settembre 2018)

La macchina dell'accoglienza si è messa in moto dopo l'accordo tra Viminale e Cei. Ma c'è chi non tollera l'aiuto a chi fugge da guerre, persecuzioni, fame. E se la prende con Caritas e vescovi

Alcuni dei migranti della nave Diciotti arrivati a Milano e accolti alla Casa Suraya, della Caritas ambrosiana (Maurizio Maule)

Per adesso sono otto a Milano, quattro ad Arezzo e quattro a Terni, partiti tra venerdì e ieri dal centro di accoglienza “Mondo migliore” di Rocca di Papa, vicino Roma, per raggiungere le destinazioni loro assegnate. Sono i primi profughi salvati dall’equipaggio della Diciotti tra i circa cento della cui accoglienza si farà carico la Cei.

Ma mentre la macchina dell’accoglienza si è messa in moto, non sono mancate, ancora una volta le proteste e le intimidazioni. Dopo Milano, dove, venerdì scorso, era stata presa di mira la sede della Caritas, ieri anche Pistoia, Vicenza, Ascoli e Taranto sono finite nel mirino degli anti-migranti, con intimidazioni e striscioni di protesta rivolti ad alcuni vescovi e alla Caritas. Una campagna cavalcata da alcuni esponenti dell’estrema destra e iniziata subito l’indomani della disponibilità della Cei ad accogliere gli eritrei sbarcati dalla Diciotti al centro di Rocca di Papa. Parole di critiche pesanti e intolleranza, fomentate da una certa politica e che hanno trovato spazio ed eco anche su alcuni quotidiani. 

Intanto prosegue l’impegno della Chiesa per dare un tetto e assistenza ai profughi sbarcati dalla nave della guardia costiera dopo una lunga odissea.

I quattro richiedenti asilo arrivati ieri alla Caritas San Vincenzo di Arezzo sono eritrei di età compresa tra i 20 e i 24 anni. «La Chiesa aretina è onorata di accogliere gli ospiti del Papa» ha commentato l’arcivescovo Riccardo Fontana. Intorno alla mezzanotte di venerdì sono giunti a Casa Suraya gli otto migranti, anch’essi eritrei assegnati a Milano: sono ospiti del centro gestito dalla cooperativa Farsi Prossimo. Per protestare contro il loro arrivo, Forza Nuova aveva appeso un provocatorio striscione lungo 5 metri sulle pareti della sede di Caritas ambrosiana con la scritta «Cei: da crescete e moltiplicatevi a sbarcate e sostituiteci!». Lo stesso striscione, sempre firmato Fn, è apparso ieri anche sulla porta del vescovado di Pistoia. «Nel respingere ogni tipo di intimidazione – si legge in una nota della diocesi guidata dal vescovo Fausto Tardelli – rimarchiamo con estrema serenità la volontà di continuare ad operare nel solco del Vangelo per costruire un mondo più giusto e accogliente, in pace, dove si amano Dio e il prossimo».

Scritte contro la Cei sono apparse ieri anche nei giardini dell’episcopio di Ascoli Piceno, la città il cui vescovo Giovanni D’Ercole aveva annunciato tra i primi l’intenzione di accogliere i richiedenti asilo. «Ad Ascoli arriveranno solo due migranti della Diciotti che saranno accolti dal vescovo in casa sua e a suo totale carico», afferma una nota della diocesi. Ai lati del duomo di Malo, Vicenza, invece, è stato affisso l’altra notte uno striscione del Movimento Italia Sociale dove era scritto «Teorema solidarietà: Diciotti=4,35», in polemica contro il possibile arrivo di cinque migranti. In un post su Fb, il gruppo di destra prende di mira anche il parroco don Giuseppe Tassoni.

Senza clamori sono arrivati invece ad Otricoli, i quattro migranti eritrei ospitati dalla diocesi di Terni-Narni-Amelia nell’ex scuola materna delle suore di Nostra Signora di Fatima. Si tratta di giovani tra i 23 e 32 anni: hanno ringraziato per l’accoglienza esprimendo il desiderio di imparare presto l’italiano e iniziare a lavorare per aiutare i famigliari che hanno lasciato nel loro Paese. «In questo tempo particolare che stiamo vivendo sul versante migrazioni – ha commentato il vescovo Giuseppe Piemontese – la diocesi e la comunità hanno sempre collaborato ai progetti di accoglienza, con la prefettura e gli altri organi istituzionali. Anche in questa circostanza non potevamo restare indifferenti e così abbiamo dato la disponibilità all’accoglienza di alcuni migranti. Un segno di solidarietà umana per persone tutelate dal diritto internazionale, e per noi è un dovere cristiano di accoglienza».

A Taranto è bastata una dichiarazione e la disponibilità dell’arcivescovo Filippo Santoro ad accogliere una decina di migranti a scatenare l’ira dei social di alcuni tarantini che non sono d’accordo con questa scelta. Tanti i commenti provocatori al grido di «prima i poveri italiani». «Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determinino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto – ha detto l’arcivescovo Santoro –, il nostro Paese ha bisogno di essere pacificato, vanno superate le contrapposizioni ideologiche di cui fanno le spese i più deboli, gli indifesi». 
(Hanno collaborato Elisabetta Lomoro e Marina Luzzi)

Qui le foto degli striscioni di Forza Nuova nelle varie città

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Monsignor Giovanni D'Ercole propone per domenica 2 settembre una giornata di preghiera e di rinnovata fedeltà al Papa.


Domenica 2 settembre giornata di preghiera e fedeltà al Papa

Una giornata di fedeltà al papa dopo i veleni orchestrati dall'operazione mediatica che parte dal dossier firmato dall'ex nunzio apostolico a Washington monsignor Viganò. E' la proposta del vescovo di Ascoli Piceno monsignor Giovanni D'Ercole

Di seguito il testo integrale della lettera aperta del vescovo ai fedeli.

Cari fratelli e sorelle della diocesi di Ascoli Piceno, Non sono certo io a dovervi informare su quanto accaduto negli ultimi giorni e che è finito su tutti i giornali, le televisioni e i siti web. Proprio mentre il Santo Padre celebrava a Dublino l’Incontro internazionale delle famiglie (al quale ho preso parte anche io a nome di tutti voi) ribadendo l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e offrendoci bellissime catechesi e indicazioni concrete per la vita famigliare fondata sulla promessa “per sempreˮ che un uomo e una donna si scambiano vicendevolmente nel sacramento del matrimonio, qualcuno ha pensato di propagare un attacco feroce e senza precedenti al Vicario di Cristo. Non si era mai vista, infatti, una richiesta al Papa di dimettersi, orchestrata come una vera e propria operazione mediatica e politica, sfruttando la visibilità del viaggio in Irlanda e cercando di mettere in difficoltà il Santo Padre nel dialogo con i giornalisti sull’aereo. Non desidero entrare nel merito delle accuse rivolte a Francesco: prendiamo sul serio l’invito che il Papa stesso ha fatto ai giornalisti, l’appello alla loro professionalità nel leggere quel testo. Il Santo Padre ha detto così perché dalla lettura attenta del testo e delle circostanze che vi sono descritte (lettura che anche io ho potuto fare in questi giorni) è possibile comprendere la strumentalizzazione e l’assurdità della richiesta di dimissioni.

È bene che tutti sappiano che è stato proprio Papa Francesco a comminare all’anziano ex cardinale americano protagonista del caso la sanzione più dura: l’esclusione dal collegio cardinalizio, unita al divieto di celebrare in pubblico. Decisione che forse è avvenuta in questo modo rarissime volte nella storia. Noi riconosciamo nel Papa - e dunque oggi in Francesco - il successore dell’Apostolo Pietro e il Vicario di Gesù Cristo, Colui che da Gesù ha ricevuto il potere delle chiavi e il compito di confermare i fratelli nella fede. Riconosciamo in Lui la nostra guida e il nostro Pastore. Noi vogliamo bene a Papa Francesco, come abbiamo amato i suoi predecessori. Il Papa per me, Vostro vescovo, che vengo dalla scuola di San Luigi Orione, è “il dolce Cristo in terra “, è la garanzia della nostra fede. In questo momento vogliamo ripetergli il nostro attaccamento più cordiale e fedele nel modo più vero, affettuoso e utile: pregando quotidianamente per Lui. Anzi invito i sacerdoti, le parrocchie, le comunità monastiche e religiose, i movimenti e le associazioni ecclesiali a dedicare la domenica prossima, 2 settembre, a una speciale giornata di preghiera e di rinnovata fedeltà al Papa. Preghiamo perché il Signore lo guidi e lo sostenga, perché la Madonna lo consoli e lo conforti.

E con questa iniziativa la nostra Diocesi, stretta al suo vescovo e ai sacerdoti, vuole dirgli: papa Francesco non sei solo! Caro Papa Francesco, non sei solo a portare questa croce! Non sei solo a lottare contro gli abusi di minori perpetrati da chierici infedeli. Con la tua Lettera al Popolo di Dio ci hai invitato a pregare, a fare penitenza e digiuno, a collaborare tutti insieme per far sì che mai più avvengano abusi e coperture. Noi come figli che amano il loro Padre, ti diciamo di sì. Ti diciamo che puoi contare su di noi, sulla nostra preghiera. Noi, uomini e donne, bambini e anziani, popolo dei battezzati della diocesi di Ascoli Piceno siamo con Te, preghiamo per Te, seguiamo Te perché leggiamo il Vangelo prima dei blog o dei giornali, e crediamo al Vangelo. Tu nel marzo 2013 hai detto “sìˮ alla chiamata del Maestro che ti ha detto: “Pasci le mie pecorelleˮ. E oggi prosegui la tua missione. Oggi e sempre noi siamo con te e Ti vogliamo bene Francesco! 

Monsignor Giovanni D'Ercole,
vescovo di Ascoli Piceno
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Giornata Mondiale di preghiera per la cura del Creato - Papa Francesco: “Non abbiamo saputo custodire il creato con responsabilità. ... Preghiamo affinché le acque non siano segno di separazione tra i popoli, ma di incontro per la comunità umana.”



“Non abbiamo saputo custodire il creato con responsabilità”. Papa Francesco va dritto al cuore del problema nel Messaggio pubblicato in occasione della Giornata Mondiale di preghiera per la cura del Creato, quest’anno dedicato all’acqua “elemento tanto semplice e prezioso, a cui purtroppo poter accedere – scrive il Pontefice - è per molti difficile se non impossibile”.


MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
PAPA FRANCESCO
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LA CURA DEL CREATO
1 SETTEMBRE 2018 

Cari fratelli e sorelle!

In questa Giornata di Preghiera desidero anzitutto ringraziare il Signore per il dono della casa comune e per tutti gli uomini di buona volontà che si impegnano a custodirla. Sono grato anche per i numerosi progetti volti a promuovere lo studio e la tutela degli ecosistemi, per gli sforzi orientati allo sviluppo di un’agricoltura più sostenibile e di un’alimentazione più responsabile, per le varie iniziative educative, spirituali e liturgiche che coinvolgono nella cura del creato tanti cristiani in tutto il mondo.

Dobbiamo riconoscerlo: non abbiamo saputo custodire il creato con responsabilità. La situazione ambientale, a livello globale così come in molti luoghi specifici, non si può considerare soddisfacente. A ragione è emersa la necessità di una rinnovata e sana relazione tra l’umanità e il creato, la convinzione che solo una visione dell’uomo autentica e integrale ci permetterà di prenderci meglio cura del nostro pianeta a beneficio della presente e delle future generazioni, perché «non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia» (Lett. enc. Laudato si’, 118).

In questa Giornata Mondiale di Preghiera per la cura del creato, che la Chiesa Cattolica da alcuni anni celebra in unione con i fratelli e le sorelle ortodossi, e con l’adesione di altre Chiese e Comunità cristiane, desidero richiamare l’attenzione sulla questione dell’acqua, elemento tanto semplice e prezioso, a cui purtroppo poter accedere è per molti difficile se non impossibile. Eppure, «l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità» (ibid., 30).

L’acqua ci invita a riflettere sulle nostre origini. Il corpo umano è composto per la maggior parte di acqua; e molte civiltà, nella storia, sono sorte in prossimità di grandi corsi d’acqua che ne hanno segnato l’identità. È suggestiva l’immagine usata all’inizio del Libro della Genesi, dove si dice che alle origini lo spirito del Creatore «aleggiava sulle acque» (1,2).

Pensando al suo ruolo fondamentale nel creato e nello sviluppo umano, sento il bisogno di rendere grazie a Dio per “sorella acqua”, semplice e utile come nient’altro per la vita sul pianeta. Proprio per questo, prendersi cura delle fonti e dei bacini idrici è un imperativo urgente. Oggi più che mai si richiede uno sguardo che vada oltre l’immediato (cfr Laudato si’, 36), al di là di «un criterio utilitarista di efficienza e produttività per il profitto individuale» (ibid., 159). Urgono progetti condivisi e gesti concreti, tenendo conto che ogni privatizzazione del bene naturale dell’acqua che vada a scapito del diritto umano di potervi accedere è inaccettabile.

Per noi cristiani, l’acqua rappresenta un elemento essenziale di purificazione e di vita. Il pensiero va subito al Battesimo, sacramento della nostra rinascita. L’acqua santificata dallo Spirito è la materia per mezzo della quale Dio ci ha vivificati e rinnovati, è la fonte benedetta di una vita che più non muore. Il Battesimo rappresenta anche, per i cristiani di diverse confessioni, il punto di partenza reale e irrinunciabile per vivere una fraternità sempre più autentica lungo il cammino verso la piena unità. Gesù, nel corso della sua missione, ha promesso un’acqua in grado di placare per sempre la sete dell’uomo (cfr Gv 4,14) e ha profetizzato: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva» (Gv 7,37). Andare a Gesù, abbeverarsi di Lui significa incontrarlo personalmente come Signore, attingendo dalla sua Parola il senso della vita. Vibrino in noi con forza quelle parole che Egli pronunciò sulla croce: «Ho sete» (Gv19,28). Il Signore chiede ancora di essere dissetato, ha sete di amore. Ci chiede di dargli da bere nei tanti assetati di oggi, per dirci poi: «Ho avuto sete e mi avete dato da bere» (Mt 25,35). Dare da bere, nel villaggio globale, non comporta solo gesti personali di carità, ma scelte concrete e impegno costante per garantire a tutti il bene primario dell’acqua.

Vorrei toccare anche la questione dei mari e degli oceani. È doveroso ringraziare il Creatore per l’imponente e meraviglioso dono delle grandi acque e di quanto contengono (cfr Gen 1,20-21; Sal 146,6), e lodarlo per aver rivestito la terra con gli oceani (cfr Sal104,6). Orientare i nostri pensieri verso le immense distese marine, in continuo movimento, rappresenta, in un certo senso, anche un’opportunità per pensare a Dio che costantemente accompagna la sua creazione facendola andare avanti, mantenendola nell’esistenza (cfr S. Giovanni Paolo II, Catechesi, 7 maggio 1986).

Custodire ogni giorno questo bene inestimabile rappresenta oggi una responsabilità ineludibile, una vera e propria sfida: occorre fattiva cooperazione tra gli uomini di buona volontà per collaborare all’opera continua del Creatore. Tanti sforzi, purtroppo, svaniscono per la mancanza di regolamentazione e di controlli effettivi, specialmente per quanto riguarda la protezione delle aree marine al di là dei confini nazionali (cfr Laudato si’, 174). Non possiamo permettere che i mari e gli oceani si riempiano di distese inerti di plastica galleggiante. Anche per questa emergenza siamo chiamati a impegnarci, con mentalità attiva, pregando come se tutto dipendesse dalla Provvidenza divina e operando come se tutto dipendesse da noi.

Preghiamo affinché le acque non siano segno di separazione tra i popoli, ma di incontro per la comunità umana. Preghiamo perché sia salvaguardato chi rischia la vita sulle onde in cerca di un futuro migliore. Chiediamo al Signore e a chi svolge l’alto servizio della politica che le questioni più delicate della nostra epoca, come quelle legate alle migrazioni, ai cambiamenti climatici, al diritto per tutti di fruire dei beni primari, siano affrontate con responsabilità, con lungimiranza guardando al domani, con generosità e in spirito di collaborazione, soprattutto tra i Paesi che hanno maggiori disponibilità. Preghiamo per quanti si dedicano all’apostolato del mare, per chi aiuta a riflettere sui problemi in cui versano gli ecosistemi marittimi, per chi contribuisce all’elaborazione e all’applicazione di normative internazionali concernenti i mari che possano tutelare le persone, i Paesi, i beni, le risorse naturali – penso ad esempio alla fauna e alla flora ittica, così come alle barriere coralline (cfr ibid., 41) o ai fondali marini – e garantire uno sviluppo integrale nella prospettiva del bene comune dell’intera famiglia umana e non di interessi particolari. Ricordiamo anche quanti si adoperano per la custodia delle zone marittime, per la tutela degli oceani e della loro biodiversità, affinché svolgano questo compito responsabilmente e onestamente.

Infine, abbiamo a cuore le giovani generazioni e per esse preghiamo, perché crescano nella conoscenza e nel rispetto della casa comune e col desiderio di prendersi cura del bene essenziale dell’acqua a vantaggio di tutti. Il mio auspicio è che le comunità cristiane contribuiscano sempre di più e sempre più concretamente affinché tutti possano fruire di questa risorsa indispensabile, nella custodia rispettosa dei doni ricevuti dal Creatore, in particolare dei corsi d’acqua, dei mari e degli oceani.

Dal Vaticano, 1° settembre 2018

FRANCESCO

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"Un cuore che ascolta - lev shomea" - n. 40/2017-2018 (B) di Santino Coppolino

"Un cuore che ascolta - lev shomea"
Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)




Traccia di riflessione
sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino


Vangelo:  
Mc 7,1-8.14-15.21-23




Il brano è molto complesso e ricco di suggestioni. Tratta dell'incomprensione dei discepoli in relazione al legalismo religioso. Esiste in tutte le religioni, compresa la nostra, una religiosità tutta volta all'aspetto esteriore, una religiosità delle "labbra", fatta di parole e gesti da ripetere. Viviamo forme di religiosità fatte di belle parole, di discorsi teologicamente impeccabili, di lunghe preghiere e di rosari, di devozioni a questo o a quel santo, di sacrifici interminabili e chi più ne ha più ne metta. Una religiosità, se così possiamo dire, dell'immagine, bella di fuori ma vuota nel cuore (che nel linguaggio biblico indica la coscienza), che non ne è minimamente interessato. 
<<  Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite  >> , dirà Gesù ai discepoli (8,18) rifacendosi alla tradizione profetica (Ez 12,2 ; Ger 5,21 ; Is 6,9-10), per dire che il nostro modo di vivere la religione rasenta l'idolatria. Esiste invece una religiosità che scuote e cambia la vita di fede, una religiosità in cui l'uomo è pronto all'ascolto obbediente della Parola che, in Gesù, ci esorta ad amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati. Una religiosità che ci comanda di porre al centro delle nostre fatiche pastorali i poveri, gli umili, gli indifesi (stranieri, orfani, vedove...), tutti gli esuberi, della società, gli scartati dal banchetto della vita. Questa è <<  una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre  >> (Gc 1,27), una religione dove il primato non spetta alle nostre tradizioni religiose, al culto, alla legge (fosse anche la legge di Dio), ma al comandamento dell'amore. L'amore è l'unico comandamento che manifesta al mondo il volto del Padre (cfr.Gv 13,34-35), l'amore "Agapico" che viene da Dio, quello disinteressato, l'amore a perdere, amore che rimanda sempre al bene assoluto dell'uomo, che sta sempre al di sopra di ogni legge e tradizione.


sabato 1 settembre 2018

"Il cuore di pietra, la malattia meno diagnosticata" di p. Ermes Ronchi - XXII Domenica – Tempo Ordinario Anno B

Il cuore di pietra, la malattia meno diagnosticata

Commento
XXII Domenica – Tempo ordinario – Anno B

Letture:  Deuteronomio 4,1-2.6-8; Salmo 14; Giacomo 1,17-18.21-22.27; Marco 7,1-8.14-15.21-23

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». [...] 

Gesù, eri sicuro di trovarlo sui problemi di frontiera dell'uomo, in ascolto del grido della terra, all'incontro con gli ultimi, attraversando con loro i territori delle lacrime e della malattia: dove giungeva, in villaggi o città o campagne, gli portavano i malati e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. E quanti lo toccavano venivano salvati (Mc 6,56). Da qui veniva Gesù, portava negli occhi il dolore dei corpi e delle anime, l'esultanza incontenibile dei guariti, e ora farisei e scribi vorrebbero rinchiuderlo dentro piccolezze come mani lavate o no, questioni di stoviglie e di oggetti! 

Si capisce come la replica di Gesù sia dura: ipocriti! Voi avete il cuore lontano! Lontano da Dio e dall'uomo. Il grande pericolo, per i credenti di ogni tempo, è di vivere una religione dal cuore lontano e assente, nutrita di pratiche esteriori, di formule e riti; che si compiace dell'incenso, della musica, degli ori delle liturgie, ma non sa soccorrere gli orfani e le vedove (Giacomo 1,27, II lettura).
Il cuore di pietra, il cuore lontano insensibile all'uomo, è la malattia che il Signore più teme e combatte. «Il vero peccato per Gesù è innanzitutto il rifiuto di partecipare al dolore dell'altro» (J. B. Metz).

Quello che lui propone è il ritorno al cuore, una religione dell'interiorità: Non c'è nulla fuori dall'uomo che entrando in lui possa renderlo impuro, sono invece le cose che escono dal cuore dell'uomo...
Gesù scardina ogni pregiudizio circa il puro e l'impuro, quei pregiudizi così duri a morire. Ogni cosa è pura: il cielo, la terra, ogni cibo, il corpo dell'uomo e della donna. Come è scritto Dio vide e tutto era cosa buona. Ogni cosa è illuminata.

Gesù benedice di nuovo la vita, benedice il corpo e la sessualità, che noi associamo subito all'idea di purezza e impurità, e attribuisce al cuore, e solo al cuore, la possibilità di rendere pure o impure le cose, di sporcarle o di illuminarle.
Il messaggio festoso di Gesù, così attuale, è che il mondo è buono, che le cose tutte sono buone, «piene di parole d'amore» (Laudato si'). Che devi custodire con ogni cura il tuo cuore perché a sua volta sia custode della luce delle cose.
Via le sovrastrutture, i formalismi vuoti, tutto ciò che è cascame culturale, che lui chiama «tradizione di uomini». Libero e nuovo ritorni il Vangelo, liberante e rinnovatore. Che respiro di libertà con Gesù! Apri il Vangelo ed è come una boccata d'aria fresca dentro l'afa pesante dei soliti, ovvi discorsi. Scorri il Vangelo e ti sfiora il tocco di una perenne freschezza, un vento creatore che ti rigenera, perché sei arrivato, sei ritornato al cuore felice della vita.

Il clericalismo patriarcale e la riscoperta del padre

Il clericalismo patriarcale e la riscoperta del padre

Il Messaggio nella "Lettera al popolo di Dio". Francesco indica la strada per la Chiesa-famiglia

Rembrandt, Il ritorno del figliol prodigo

«Abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli» è l’amara constatazione che fa papa Francesco nel documento che ha scritto il 20 agosto scorso e che ha titolato 'Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio'. Uno stile inusuale per un pontefice che, tradizionalmente, formula dottrine o elabora un pensiero teologico a guida e norma dei fedeli cattolici. Il genere letterario richiama una prassi davvero popolare della Chiesa: quella delle origini. Autori di Lettere furono gli Apostoli che usarono questo strumento tanto familiare per 'edificare' le chiese giovinette che loro stessi avevano dato alla luce. Non a caso, dunque, Francesco ha scritto al popolo di Dio una lettera: voleva esprimere la sua intimità con tutti coloro che ne fanno parte, la sua fiducia e amicizia in un momento di grande bisogno. «Abbiamo trascurato i nostri bambini»: una parola che suona della dolcezza e la desolazione che un padre o un nonno potrebbero avvisare dinanzi al dolore e alla sventura che, malvagia e inesorabile, si abbatta sui propri figli o nipoti. Una tristezza che evoca scene di dopoguerra quando si aprivano gli occhi sulle atrocità subite dai bambini, rimaste come cicatrici di memoria sulle loro membra ancora e sempre troppo ignare, troppo morbide, troppo sacre. O scene di miseria e di fame, quando ci si trovava a dover alienare i propri figli a qualcun altro, a chi potesse dargli il necessario, perdendoli, talvolta, completamente di vista. Abbandonandoli, appunto.

Gli occhi della memoria degli italiani più grandi rivedono una solenne Sofia Loren nelle vesti di Filomena Marturano che costringe l’uomo che ama a riconoscere tutti i figli suoi, non solo quello che aveva avuto da lui. A restituire, insomma, il diritto – violato – di ogni figlio di avere un padre a prescindere dal Dna. Le immagini di tanto cinema neorealista italiano, quelle di Mamma Roma , ad esempio, un film di Pier Paolo Pasolini interpretato da una struggente Anna Magnani. Costretta a prostituirsi, abbandonata e sfruttata dal suo uomo, aveva lasciato nel paese d’origine suo figlio, perché non capisse il mestiere di sua madre e non vedesse quanti sacrifici faceva, quante umiliazioni dovesse subire per riuscire a procurargli una casa e un futuro decenti. E quando, all’età di sedici anni, finalmente lo porta a Roma con sé, piena di speranza e d’intenzione di dargli quella dignità che a se stessa aveva dovuto negare, era ormai troppo tardi e a completare l’opera dell’abbandono ci pensa la Città, con la sua anima impura. Quelle di Francesco sono parole che sorgono da un senso d’impotenza insopportabile, poiché riguardano i bambini, quanto di più caro ci sia al cuore del mondo. E di Dio.

Uscite dalla bocca del Papa mostrano il suo cuore di padre, non sempre scontato in un uomo e neppure in un Vescovo di Roma; l’identità petrina è stata, infatti, declinata più spesso come autorità e magistero che come paternità in senso stretto, a dispetto del nome: 'Santo Padre'. E giungono in un tempo in cui, nella civiltà occidentale, si è consumata la morte del padre: dalla 'morte di Dio' alla fine della figura paterna, fenomeno già denunciato agli inizi del secolo scorso. Una figura essenziale che Luigi Zoja – uno dei più illustri psicoanalisti e saggisti di questi ultimi anni – considera la più grande costruzione del mondo occidentale, realizzata dai Greci, e che ha permesso all’Occidente di darsi una struttura culturale solidissima con cui è riuscito a conquistare il mondo. Nel suo prezioso libro: Il gesto di Ettore, Zoja ne denuncia la scomparsa iniziata nel Novecento e portata a pieno compimento negli ultimi decenni. Una mancanza che ha lasciato un mondo unicamente di figlifratelli senza il legame e l’autorevolezza di un padre a legittimare il diritto-dovere di ognuno di condividere la casa, la mensa, la fraternità; a indicare la giustizia, la solidarietà e la pace. Orfani di padre, i figli del Novecento si fecero la guerra tra di loro per cinquant’anni; privati e incapaci di paternità, quei fratelli di ieri non reggono alla prova dei figli di oggi: alcuni giungono persino a ucciderli (insieme alle loro madri) prima di suicidarsi; molti altri rinunciano a essere per loro la stella polare, la direzione, la via dell’anima, e non soltanto corpo e denaro. È a questi ultimi che si rivolge Antonio Polito in un lucido libro il cui titolo è una parenesi: Riprendiamoci i nostri figli. Quei figli che non patiscono ormai più del complesso di Edipo, ma sono malati di ciò che Massimo Recalcati ha definito Il complesso di Telemaco . Una patologia rovesciata dove i Telemaco, che sono i nostri figli, piuttosto di ribellarsi – a un padre che non c’è! – si mettono alla ricerca disperata di lui, ché riporti attenzione, distinzione e relazione tra i fratelli; che doni un nome e una vocazione, un senso e un progetto di famiglia, di comunità e di politica.

Figli di un padre scomparso sono anche quei sacerdoti pedofili, nutriti solo di clericalismo: «Un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa – molto comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza – è il clericalismo, quell’atteggiamento che non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale dello Spirito Santo». Questa l’analisi di papa Francesco. Il 'patriarcato' del clericalismo si rivela il vero nemico della paternità nella Chiesa. E qui sono le donne, le sorelle e le madri a dover denunciare la latitanza e la violenza dei mancati padri. Il loro obbrobrio sulla pelle dei figli.

Oggi ritroviamo un Papa padre. Si rivela con evidenza in questa Lettera al 'popolo di Dio' che porta una supplica forte e accorata: quella di assumere tutti insieme la responsabilità della salus della famiglia-Chiesa: «È sempre bene ricordare che il Signore nella storia della salvezza ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella Comunità umana».

Le sue parole sono quelle di un genitore abbattuto e addolorato, quasi sconfitto, che piange per le ferite dei suoi piccoli. Un padre di cui si avverte persino la vergogna di quella sofferenza, lo smacco di non aver potuto 'passare' da loro quel calice amaro e di non averlo bevuto egli stesso. Un linguaggio autentico che rimette vita nella Chiesa, la quale ritrova il suo sapore di casa, di famiglia, di corresponsabilità, di reciprocità, di carità degli uni verso gli altri, di fedeltà dei padri verso i figli, di legami indissolubili e liberi, doverosi e gratuiti, allo stesso tempo. Di vera paternità. Una Chiesa che mostra all’Occidente il ritorno del padre. Non più 'padrone', non più giudice di condanna e di morte, ma Servo e Salvatore, Diacono come Gesù e come Marta di Betania, fondamento su cui i figli potranno costruire, riconciliati, il futuro. Un padre che non si dimette quando pensa o capisce di aver sbagliato, ma chiede perdono.

Se la Chiesa è questa, la Chiesa è viva. E può rigenerarsi in ogni suo membro, in ogni sua parte. Preziosa è la coscienza di chi ricorda che: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1Cor 12,26). Un’aria buona, un odore di pane, l’umiltà e l’amore che fa sentire tutti figli legittimi di questa famiglia universale. Che ascolta, che dialoga, che chiede scusa, che discute, che corregge e si corregge, che non scarta e non scomunica, che si sente in debito con tutti e ha bisogno del credito di ognuno. Una Chiesa che non si nasconde dietro nessuna 'immunità', che versa lacrime sui propri delitti, che si riconosce umana e fragile, che digiuna e fa penitenza. Per questa famiglia il Papa invita a pregare. Come un buon padre sa che la coralità darà futuro e salvezza. Là dove i migranti vengono trattati non da figli, ma da figliastri, ci vuole questa Chiesa materna e paterna. Ci fa sentire vivi e felici. Perché la madre è la ragione evidente della fraternità; mentre il padre ne stabilisce il diritto, dopo aver diretto la discussione tra i due fratelli litiganti. Nessuno dovrà restare senza la sua stanza nel mondo. Qualcuno ha detto che la Chiesa non cerca di 'fare notizia', ma di portare una 'buona notizia'. E questa lo è davvero.

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1° settembre 2018 13ª Giornata Nazionale per la Custodia del Creato

13ª Giornata Nazionale per la Custodia del Creato
1° settembre 2018

Sabato 1° settembre ricorre la quarta Giornata Mondiale di Preghiera per la cura del creato, che celebriamo in unione con i fratelli e le sorelle ortodossi e con l’adesione di altre Chiese e Comunità cristiane.


Nel Messaggio di quest’anno desidero richiamare l’attenzione sulla questione dell’acqua, bene primario da tutelare e da mettere a disposizione di tutti.

Sono grato per le diverse iniziative che in vari luoghi le Chiese particolari, gli Istituti di vita consacrata e le aggregazioni ecclesiali hanno predisposto. Invito tutti a unirsi in preghiera, sabato, per la nostra casa comune, per la cura della nostra casa comune.

Coltivare l’alleanza con la terra

“’Finché durerà la terra, seme e mèsse, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte, non cesseranno’ (Gen. 8, 22). Con queste parole la Scrittura indica nell’alternanza dei tempi e delle stagioni un segno di quella stabilità del reale, che è garantita dalla fedeltà di Dio”. Così i Vescovi italiani nel Messaggio per la 13ª Giornata Nazionale per la Custodia del Creato che si celebra il 1° settembre 2018.
Nel Messaggio si mette in rilievo come oggi ci si senta talvolta “come se tale alleanza fosse intaccata”: dalle devastazioni dei fenomeni atmosferici a causa del cambiamento climatico all’inquinamento diffuso. Per questo “talvolta si fa strada un senso di impotenza e di disperazione, come fossimo di fronte ad un degrado inevitabile della nostra terra”.
Ricordando l’incoraggiamento che arriva dall’Enciclica “Laudato si'”, i Vescovi richiamano a “un’attiva opera di prevenzione”, attenti a ritrovare la “prospettiva pastorale” “nella presa in carico solidale delle fragilità ambientali di fronte agli impatti del mutamento, in una prospettiva di cura integrale. Occorre ritrovare il legame tra la cura dei territori e quella del popolo”.
Una sfida, conclude il documento, da affrontare “in orizzonte ecumenico”: “È importante operare assieme, perché possiamo tornare ad abitare la terra nel segno dell’arcobaleno, illuminati dal “Vangelo della creazione””.




L’acqua al centro della Giornata di preghiera per il Creato
Presentato in Sala stampa vaticana il tema della Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, che si celebra sabato insieme alla Chiesa ortodossa. Domani l’incontro ecumenico di Assisi con i rappresentanti di diverse confessioni cristiane.


È l’acqua la parola chiave della IV Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato che si celebra domani, sabato primo settembre. A presentare questa mattina in Sala stampa vaticana il tema dell’iniziativa ecumenica, istituita da Papa Francesco il 10 agosto 2015, è stato mons. Bruno Marie Duffé, segretario del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, il quale ha voluto porre i riflettori sui 600 milioni di persone che nel mondo non hanno accesso all’acqua potabile.

L’acqua diritto umano

“Il mare, gli oceani, l’acqua” secondo il presule chiamano tutti "a pensare alla fraternità". L’accesso all’acqua è infatti “il primo dei diritti umani”, afferma ancora il segretario del Dicastero, “è un invito a dire io credo, io curo, io spero, io amo la vita e il mio fratello”. Il mare però è diventato anche luogo di morte e disperazione per migranti rifugiati. La Giornata di domani pertanto è un invito a ripensare “la fraternità e la solidarietà con i quattro verbi indicati da Papa Francesco: accogliere, proteggere, promuovere e integrare”.

La lotta alla desertificazione

In Sala stampa era presente anche mons. Segundo Tejado Munoz, sotto segretario del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale. Mons. Tejado, come responsabile della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel, ha parlato degli effetti della desertificazione in Africa e degli aiuti concreti portati dai missionari alla popolazioni più povere, tramite la costruzione di nuovi pozzi e strutture per l’irrigazione.

Marittimi sensibilizzati alla cura delle risorse marine 

Infine padre Bruno Cicero, direttore dell’Apostolato del Mare, ha raccontato del lavoro di sensibilizzazione portato avanti con i marittimi e pescatori. Tutti coloro che traggono profitto dal mare sono infatti chiamati a tutelare questa risorsa dall’inquinamento. “Noi aiutiamo le popolazioni che vivono con il mare a proteggere i loro diritti – ha spiegato padre Cicero - ma anche conservare le acque per le generazioni future”.


In occasione della quarta Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato, istituita da Papa Francesco il 10 agosto 2015, Assisi accoglierà cristiani di tutto il mondo per la prima preghiera ecumenica per la tutela e la salvaguardia della creazione

Vogliamo riflettere “sulla necessità della nostra conversione ecologica” e dare un segnale comune, un “messaggio forte” per sollecitare tutti, in primo luogo i cristiani, nella tutela dell’ambiente, la nostra “casa comune”. Con queste parole Cecilia Dall’Oglio, direttrice dei programmi europei del Movimento cattolico mondiale per il clima, presenta la prima preghiera ecumenica per il Creato, tra il 31 agosto e il primo settembre ad Assisi. L’evento si incastona tra le iniziative del Tempo del Creato, tra il 1 settembre, Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato, e il 4 ottobre, festa di san Francesco d’Assisi, fondatore dell’Ordine francescano e patrono d’Italia. Il tema 2018 è: “Camminare insieme”. La preghiera ecumenica costituirà anche l’avvio del pellegrinaggio “Il Sentiero di Francesco” da Assisi a Gubbio, attraverso cui lo “Spirito di Francesco” giungerà in pellegrinaggio fino in Polonia, a Katowice, sede della Conferenza internazionale sul clima COP 24 delle Nazioni Unite, appuntamento cruciale per la reale implementazione dell’Accordo di Parigi.
Uniti per difendere la creazione

Il Tempo del Creato è una celebrazione annuale di preghiera e azione per proteggere la “casa dell’umanità”, celebrato da migliaia di cristiani in tutto il mondo. Quest’anno, tra le tante iniziative, nelle Filippine il card. Luis Antonio Tagle celebrerà una Messa per la Creazione; in Svizzera, si terrà un servizio eucaristico anglicano presso un corso d’acqua inquinato; negli Stati Uniti, alcune religiose pregheranno nelle vicinanze di una zona radioattiva. “Noi crediamo che questa cura del Creato”, insiste Cecilia Dall’Oglio, “non debba essere posticipata in alcun modo, che sia un appello urgente all’azione perché vediamo ogni giorno sotto i nostri occhi gli effetti devastanti del degrado ambientale”. Il Movimento cattolico mondiale per il clima è una coalizione di oltre 650 organizzazioni cattoliche da tutto il mondo, impegnate a vivere la Lettera enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, promuovendo un impegno reale, che passa attraverso la trasformazione degli stili di vita e politiche coraggiose, capaci di invertire il processo di degrado in corso. Per sottolineare ulteriormente la chiamata all’unità tra le fedi cristiane alla luce dell’attuale crisi ecologica, il primo settembre ad Assisi sarà rilasciata una Dichiarazione ecumenica congiunta, con una speciale attenzione “ai più vulnerabili”. Vogliamo “metterci in movimento, rischiare qualcosa perché le nostre comunità vivano questa attenzione agli ultimi”, conclude Cecilia Dall’Oglio, “abbiano quello sguardo, quell’ascolto della Chiesa in uscita, per una testimonianza di prossimità nei luoghi dove operano”.
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