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sabato 12 marzo 2016

Il vero senso della sofferenza di Luigino Bruni


Un uomo di nome Giobbe/13 - 
Il dialogo, anche il più inaspettato, 
aiuta a capire la vita e Dio



Il vero senso della sofferenza
di Luigino Bruni







Iob dice che i buoni non vivono e che Dio li fa ingiustamente morire. Gli amici di Iob dicono che i cattivi non vivono e che Dio li fa giustamente morire. La verità è che tutti muoiono.
(Guido Ceronetti, Il libro di Giobbe)

Giobbe ha terminato i suoi discorsi. I suoi ‘amici’ lo hanno umiliato e deluso, ma gli hanno anche consentito di trovare ragioni via via più profonde della sua innocenza. Nei momenti di discernimento profondo sulla giustizia della nostra vita e di quella del mondo, il dialogo è strumento essenziale. Riusciamo a capire le domande più profonde sulla nostra esistenza, a penetrare le profondità più buie della nostra anima, solo in compagnia, dialogando. Anche quando gli interlocutori non sono nostri amici, non ci capiscono e ci fanno male, la verità su di noi emerge dialogando con altri umani, con Dio, con la natura. Le solitudini sono buone solo quando rappresentano una pausa tra due dialoghi. Per conoscere chi siamo veramente, per raggiungere gli angoli più nascosti e veri del nostro cuore, c’è bisogno soprattutto di parlare e di ascoltare. Nelle notti della vita è meglio essere male-accompagnati che soli. 
...
La sofferenza fa parte della condizione umana, è nostro pane quotidiano; e se Elohim è il Dio della vita lo possiamo senz’altro trovare anche in fondo alle sofferenze nostre e degli altri. Qualche volta la notte del dolore consente di vedere stelle più lontane, e di sentire ‘abitato’ il vuoto creato dalla sofferenza. L’incontro con la sofferenza ci può far accedere a dimensioni più profonde della nostra vita, quando nella nudità dell’esistenza possiamo incontrare un io più vero che ancora non conoscevano. Altre volte, invece, la sofferenza peggiora le persone, toglie la luce del giorno e non riusciamo più a vedere neanche il sole a mezzodì. Troppi poveri sono schiacciati da sofferenze che non li fanno più umani. I primi capitoli della Genesi ci dicono che la sofferenza dell’Adam non era nel progetto originario di Dio, e che la sua sorgente è esterna ad Elohim. La Bibbia sa che gli dei che si nutrono della sofferenza degli uomini si chiamano idoli. Ma Elihu non può usare il suo argomento per spiegare la sofferenza di Giobbe. Giobbe è giusto e innocente, non si trovava né si trova in nessuna condizione di peccato mortale da cui uscire grazie alla sofferenza. Allora pur dovendo riconoscere il valore antropologico e spirituale che la sofferenza qualche volta può produrre, nessuna lettura umanistica e quindi vera della Bibbia può far di Dio la causa della sofferenza degli uomini, tanto meno degli innocenti. Quale Dio può associare alla sua azione la sofferenza dei bambini, l’annientamento dei poveri, l’urlo dei tanti Giobbe della storia? E chi lo fa costruisce religioni disumane e dèi troppo piccoli per essere all’altezza della parte migliore di noi che continua a patire quando incontra la sofferenza umana. Quale senso religioso avrebbe un mondo dove gli esseri umani migliori combattono le sofferenze che Dio stesso procurerebbe? Nessuno. I crocifissi senza resurrezione non salvano né gli uomini né Dio, e chiunque cerchi di bloccare le religioni al venerdì santo sta impedendo la fioritura degli uomini e di Dio. La solidarietà e la fraternità sono nate e rinascono dalla nostra capacità di soffrire per la sofferenza altrui, dalla nostra compassione per il dolore di ogni donna e di ogni uomo. È questo Dio solidale che Giobbe cerca: un Dio che sia il primo a soffrire per la sofferenza del mondo, il primo ad agire per ridurla riscattando i poveri e le vittime.

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