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sabato 20 febbraio 2016

L’accoglienza in Gesù e nei suoi seguaci come sguardo d’amore verso l’altro di Giovanni Mazzillo

L’accoglienza in Gesù e nei suoi seguaci
 come sguardo d’amore verso l’altro
 don Giovanni Mazzillo, teologo



Messina 28 gennaio 2016, 
Biblioteca provinciale 
Frati Minori Cappuccini






1) Benevolenza ed accoglienza di Dio 
Mi piace partire da un testo ascoltato a Natale. È di San Paolo a Tito: «Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone» (Tt 2,11-14). La grazia, la charis, cioè l’amore immeritato e tuttavia elargito, l’amore che è tenerezza ed eleos, sguardo d’amore di Dio, tutto ciò, e proprio in tale forma, si è palesato (epéfanē). È la radice dell’accoglienza, così come lo è della “misericordia”, che altro non è che “ospitalità” innanzi tutto nel proprio cuore e dentro la soglia della propria coscienza, di colui che non si deve considerare “hostis”, nemico, o meglio forestiero, ma hospes, anche se, paradossalmente, tale termine sembra imparentato originariamente con la stessa radice1 . Tale accoglienza nasce da uno sguardo di benevolenza, di benignità, di hesed, in quanto amore fedele2 e di rahamim, in quanto attaccamento viscerale, materno, di Dio verso i suoi figli3 , anche verso gli stranieri e persino verso i peccatori. Pertanto sguardo di hamal, amore e compassione solidale con cui Dio ci solleva e ci prende con sé4 . I diversi e complementari aspetti di quanto detto sono raccolti nel greco del Nuovo Testamento, come già nella traduzione dei LXX, nel termine éleos, più comunemente in relazione con la “misericordia”. Noi cristiani lo apprendiamo soprattutto da Gesù, che ci “evangelizza”, offrendoci la bella notizia, che la misericordia è benevolenza ed accoglienza. Lo è verso i peccatori, gli esclusi e gli emarginati, ed è una delle tre cose più gravi della legge. Mt 23,23-24: 23: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull'anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia [krisis], la misericordia [eleos] e la fedeltà [pistis]. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle»: t¦ barÚtera toà nÒmou, t¾n kr…sin kaˆ tÕ œleoj kaˆ t¾n p…stin. Eleos, pertanto, con la krisis, strumento di discernimento e con la pistis, cioè la fede. L’accoglienza, infatti, è la modalità attraverso cui Gesù esprime il suo amore, veicolato anche attraverso i suoi sguardi. Lo vediamo già dai primi capitoli del Vangelo di Marco, che narrano l’approccio liberante di Gesù alle persone solitamente tenute lontane anche dal semplice contatto: gli indemoniati, le donne malate, i lebbrosi, i paralitici (Mc 1,23-28; 1,29-34; 1,40-44; 2,3-12). La misericordia di Gesù, che accoglie e crea nuove possibilità di vita, è ben visibile nella chiamata di Levi, figlio di Alfeo, che organizza in suo onore un banchetto, al quale siedono «molti pubblicani e peccatori». Alla reazione di scandalo dei farisei Gesù reagisce descrivendo nei fatti l’accoglienza di Dio verso i bisognosi di perdono, assimilati ai malati bisognosi del medico: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (la forma verbale kalšsai, chiamare, esprime persino qualcosa di più dell’accoglienza). L’accoglienza in quanto tale è espressa testualmente nei Vangeli laddove Gesù invita ad accogliere (dšcomai dechomai5 ) i bambini. Infatti «preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: "Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato"» (Mc 9,36-37).
... le nostre comunità cristiane devono prendere coscienza della centralità dell’accoglienza nell’insegnamento di Gesù e nella prassi dei primi cristiani. Devono pertanto convertirsi dal peccato della xenofobia, che se altrove arriva alla distruzione del diverso, dei diversi, fino al genocidio, da noi mai come oggi, si ammanta e imbelletta sotto belle parole, come la difesa della propria identità, la salvaguardia del cristianesimo ecc. Ma assume anche la forma della paupero-fobia, dimenticando che proprio i poveri sono destinatari e protagonisti del Vangelo e prima ancora del Regno di Dio . Occorre riconciliarsi con coloro che costituiscono un problema sociale e che sono una sfida ecclesiale: i poveri, o meglio gli “impoveriti”, cioè coloro che la società rende poveri, diminuendo di fatto la loro dignità, i loro diritti e il primo diritto di ciascun essere umano, che è il diritto alla felicità. In questa riconciliazione con gli “impoveriti” della terra e della società si pratica la vera accoglienza di Dio e di Gesù, riprendendo nel cuore, nelle idee e nella progettazione del futuro, la declamata, ma di fatto trascurata, rivoluzione dell’amore, vera e propria rivoluzione antropologica, recuperando la rivoluzione evangelica e sociale di Gesù e dei primi cristiani. Una rivoluzione nonviolenta, ma che affiora sempre più come storicamente attendibile nella vita di Gesù e dei primi cristiani. Infatti essa muoveva dall’intento di “costruire” una comunità di discepoli tale da rinnovare le 12 tribù d’Israele, con il proposito di annunciare la venuta del Regno di Dio come mondo nuovo e modo nuovo di essere e di vivere. In esso gli oppressi e gli “impoveriti”, gli schiavi, le donne e gli stranieri assunsero l’importanza dei portatori di una inedita e innovativa socializzazione, mentre le strutture vissute da molti in maniera sacrale, quali il tempio, la legge, la centralità di Gerusalemme, venivano relativizzati, a vantaggio delle persone riscoperte come templi viventi di Dio. Tutto ciò dovette farsi strada anche contro gli ordini delle autorità religiose e civili del tempo, che se cercarono di bloccare quest’ultima e definitiva rivelazione del Dio biblico, non ci riuscirono a motivo di quell’accoglienza del nuovo e del diverso, dell’altro e degli altri popoli che la caratterizzava. Sicché l’annuncio del Vangelo e dell’accoglienza da parte di Dio di Gesù, uno sconfitto morto tra i tormenti sulla croce, fino alla sua glorificazione, fu e deve restare il cuore di un annuncio per buona parte ancora da realizzare, ma che tuttavia deve essere portato ad ogni creatura

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L’accoglienza in Gesù e nei suoi seguaci