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mercoledì 19 febbraio 2025

Ancora a proposito di Sanremo 2025... commenti ed opinioni

Ancora a proposito di Sanremo 2025...
commenti ed opinioni


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Sanremo 2025, la legge del più forte

Sanremo ha retto alla grande anche quest’anno, anzi ha superato se stesso, e non solo negli ascolti stellari. Con qualche sorpresa nei verdetti, ha vinto Olly con un brano che ha sintetizzato perfettamente l’anima insieme modernista e tradizionalista di questa edizione

Olly, vincitore di Sanremo 2025, Lucio Corsi, secondo classificato, e Carlo Conti, 15 febbraio 2025.
ANSA/ETTORE FERRARI

Martedì sera papa Francesco l’aveva detto chiaro: «La musica può aprire il cuore all’armonia, alla gioia dello stare insieme, con un linguaggio comune e di comprensione facendoci impegnare per un mondo più giusto e fraterno». Questo 75esimo Festival, in fondo e a modo suo, ha provato a dimostrarlo, anche sacrificando, in nome della restaurazione conservatrice e di un improbabile ricompattamento sociale, gran parte delle problematiche dell’oggi, quasi del tutto assenti nei testi delle canzoni di quest’anno: niente migranti, niente guerre, femminicidi o morti sul lavoro, nessun j’accuse ai sovranisti o accenni all’iperbolico gap che separa un manipolo di tycoon dai miliardi di poveracci del pianeta. In tutto questo l’Abbronzatissimo attorniato dall’assortita pattuglia dei co-conduttori, sguazzava in un brodo di giuggiole: tra sbrilluccichi di strass, piumaggi variopinti, mazzolon di fiori, allegrie più o meno forzate, e qualche siringata di commozione, giusto per non venir tacciati di superficialità.

E tuttavia l’impressione finale è che il Paese Reale abbia definitivamente metabolizzato questo Evento, un passetto alla volta, anno dopo anno, fino a scoprirlo parte inalienabile di sé. È la resa definitiva dei detrattori e degli sberleffatori (sottoscritto compreso) che a questo punto debbono inchinarsi all’ineluttabilità di un marchingegno fors’anche diabolico, ma funzionante e funzionale a questo Paese, sia a chi lo popola che a chi lo governa.

E le canzoni? Mediamente più che accettabili con un sestetto d’una buona spanna sulle altre, a parer mio: oltre alla trionfante Bastarda nostalgia di Olly, la commuovente Quando sarai piccola di Cristicchi (incredibile la quantità di haters che l’hanno stroncata giudicandola furbescamente opportunista), l’ottimo esercizio cantautorale de L’albero delle noci di Brunori Sas, l’impeccabile La cura per me della favoritissima Giorgia (solo sesta), l’elegante Incoscienti giovani di Achille Lauro (decimo), e la tenerissima Volevo essere un duro di Lucio Corsi (sorprendente secondo), l’unico personaggio davvero sorprendente di questa edizione sfilata per il resto nella più perfetta ortodossia festivaliera.

Sui tempi lunghi probabilmente Giorgia – la favoritissima della vigilia – si riprenderà quanto le votazioni le hanno negato, così come mi aspetto i Cuoricini dei Coma_Cose al primo posto tra i tormentoni post-festivalieri; loro e Willy Peyote hanno dimostrato che si può essere trendy senz’essere iconoclasti così come l’immarcescibile Ranieri ha suffragato ancora una volta l’assioma che la classe non ha età; deludente invece la quaterna dei giovanissimi, compreso il vincitore. In compenso, fra le note positive di questo festival, c’è anche il fatto d’aver dimostrato che perfino in questo tempio del pop da supermercato la canzone d’autore non solo ha ancora diritto d’asilo, ma sa ancora offrire qualche lezione di stile e poesia a molti trappers e poppettari d’ultima generazione.

Kermesse a parte, di questo Sanremo sopravviveranno alcuni grandi duetti (nel music-business le rivalità di un tempo appartengono fortunatamente solo agli archivi del pittoresco), i sorrisoni pieni di voglia di vivere di Bianca Balti, la pirotecnica esibizione degli artisti del Teatro Patologico, le estroversioni del “solito” Benigni, e fors’anche la disarmante dolorosa sincerità di Edoardo Bove.

Un Sanremo, insomma, al meglio del suo format, entrato trionfalmente nell’era carlocontiana che poi è quella pippobaudesca. Così è, e così sarà ancora a lungo, anche se non vi pare.
(Fonte: Città Nuova, articolo di Franz Coriasco 16/02/2025)

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ALBERTO PELLAI
Simone Cristicchi e Brunori sas: Musica per l'anima


“E ora ti vedo camminare con la manina in quella di tua madre
E tutta questa felicità forse la posso sostenere
Perché hai cambiato l’architettura e le proporzioni del mio cuore
E posso navigare sotto una nuova stella polare”
(Da L’albero delle Noci di Brunori SAS)

“Ci sono cose che non puoi cancellare, ci sono abbracci che non devi sprecare.
Ci sono sguardi pieni di silenzio che non sai descrivere con le parole.
C’è quella rabbia di vederti cambiare E la fatica di doverlo accettare.
Ci sono pagine di vita, pezzi di memoria Che non so dimenticare”.
(Da “Quando sarai piccola” di S. Cristicchi)

In questi giorni, queste due canzoni sul palco di Sanremo stanno toccando il cuore di molte persone. Sono canzoni che raccontano in modo poetico e pieno di bellezza l’intimità affettiva e profonda che lega un genitore al proprio figlio. 
Ne “L’albero delle noci” Brunori Sas racconta di sé uomo che, diventando padre, cambia l’architettura del proprio cuore per fare spazio all’amore per la figlia, un amore che – da quando lei è comparsa nella sua vita – lo ha attraversato e trasformato, mettendo bellezza e fatica, desiderio e paura.
In “Quando sarai piccola” Simone Cristicchi racconta di sé figlio che, di fronte alla malattia della propria mamma, diventa suo genitore e se ne prende cura, raccontando in musica qualcosa che molti adulti di oggi stanno vivendo – o hanno vissuto – con i propri genitori.

Queste due canzoni sono esempi di come la musica sia un balsamo per le nostre vite. Ci sono canzoni che hanno il potere di entrarci nel cuore. Canzoni che, mentre le ascolti, ti danno la sensazione di farti sentire “sentito”. Ovvero, mentre tu le ascolti, loro ascoltano te. Stanno parlando di te. Stanno cantando di te.

La nostra mente ha bisogno di nutrirsi di bellezza. E quando la incontra sulla propria strada, si accorge immediatamente che dentro una canzone si può trovare “cibo per l’anima”. Sarebbe bellissimo che tutto questo pervadesse la musica tutta. Senza distinzione di generi e di età.
(fonte: bacheca facebooke dell'autore 12/02/2025)

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Non pietre ma piume: Le parole delle canzoni sul podio di Sanremo


Le tre canzoni sul podio di questo Sanremo sono il manifesto di un nuovo maschile. 
Ci sono tre uomini che parlano di sentimenti usando un linguaggio emozionale e diretto, così vero che quando ascolti ciò che cantano non solo senti loro, ma senti anche il te stesso cantato da loro. Ci sono le emozioni dei padri e dei figli. Nei tre testi c’è la bellezza ma anche il dolore associati all’amare e all’essere amati. E poi c’è la consapevolezza di un’imperfezione che non è fragilità, ma è verità. 

Il sottotesto di questo podio è che non si diventa uomini rincorrendo il modello del “vero uomo”, ma lo si diventa essendo veri a se stessi. 
In un tempo in cui la musica ha messo la potenza distruttiva della “parola pietra” – quella che la scagli e ti colpisce per la violenza con cui ti arriva al cuore – sento che questo podio sanremese celebra la “parola piuma”. Sono canzoni con testi profondi e diretti, sentimentali ma non melensi. E mi piace anche guardare l’età di questi tre artisti. C’è un giovane adulto, da poco fuori dall’adolescenza. C’è un giovane uomo che sta consolidando la sua adultità. E poi c’è un uomo adulto che è diventato padre. Tre tempi della vita adulta che divengono tre passaggi evolutivi e trasformativi.

Non avrei mai immaginato che quest’anno il Festival della Canzone Italiana sarebbe diventato per noi uomini un vero manifesto di che cosa è quel cambiamento di “ruolo di genere” maschile di cui noi uomini abbiamo bisogno. Eppure, su questo podio, il cambiamento da “vero uomo” a “uomo vero” lo vedo raccontato bene. Vedo un uomo che sa stare dentro il dolore della fine di un amore e lo canta per ciò che è. Vedo un uomo che rinuncia all’idea di Super-uomo che avrebbe dovuto/ voluto essere e che comprende che questa rinuncia è la migliore verità che può donare a se stesso. Vedo un uomo che celebra la propria paternità come un passaggio evolutivo che lo rende capace di essere un uomo migliore.

Si c’è proprio tanta bellezza sul podio, quest’anno. Secondo me, mancava Giorgia lì sopra. Anche lei doveva essere lì. Per tanti motivi. E anche per aver messo al centro del suo brano una delle parole più importanti per noi esseri umani del terzo millennio: la parola “cura”. Ma Giorgia sa chi è. Sa che non è il podio, ma è la vita che con il suo incedere lento, ti permette di raccogliere le vittorie più grandi.
(fonte: bacheca facebooke dell'autore 16/02/2025)

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I veri vincitori di Sanremo? Lucio Corsi e Fedez

Il voto ha premiato il giovane Olly, ma due artisti così diversi resteranno nella storia di quest'edizione per aver dato voce al disagio della loro generazione. Un malessere che, tra i tanti eventi esclusivi che hanno fatto da contorno allo show, abbiamo visto con i nostri occhi tanto tra i cantanti quanto tra i loro fan


Se il vincitore decretato dal complicatissimo meccanismo di voto del nuovo Sanremo dei record firmato da Carlo Conti è Olly, per noi sono due i veri vincitori di quest’edizione: Lucio Corsi e Fedez. Si tratta di due artisti agli antipodi come storia personale (il primo è un 31enne finora sconosciuto al grande pubblico, riservatissimo sulla sua vita privata; il secondo, almeno finché ha fatto coppia con Chiara Ferragni, ha fatto della propria vita privata il focus della sua attività); e come storia musicale (il primo è un menestrello che scrive canzoni poetiche e surreali rifacendosi alla lezione di Ivan Graziani e di Rino Gaetano, il secondo è un rapper specialista nella confezione di tormentoni pop).

Ma abbiamo scoperto che c’è un legame fortissimo tra loro, come cantano nelle rispettive canzoni che hanno portato al Festival: la paura del buio. Ed è ecco perché sono secondo noi i veri vincitori di questo Sanremo. Perché nelle loro rispettive canzoni, Battito di Fedez e Volevo essere un duro di Lucio Corsi, hanno raccontato tutte la fragilità e il senso di inadeguatezza di una generazione, quella di chi ha tra i 30 e i 40 anni, di cui nessuno parla perché, in quella fascia d’età la società di oggi ti impone, appunto, di essere un duro, un uomo e una donna che si affermano nel lavoro e (ma dopo, solo dopo) nella vita personale. E se non ci si riesce ecco quello che ti capita, come ha cantato il 32enne Mahmood nel suo ultimo singolo Sottomarini presentato nella serata finale: «C'è chi ti giudica solo per un abbraccio. Nella fragilità vediamo sempre il marcio»

Nei giorni del Festival, una delle cantanti in gara, Clara, diventata famosa come attrice nella serie Mare fuori, ha aperto nel centro di Sanremo “La farmacia dell’amore”, uno spazio in cui incontrarsi e prendersi cura di sé: tutti i giorni una psicologa, la dottoressa Laura Servidio, offriva consulti gratuiti a chi sentiva di averne bisogno. Noi l’abbiamo incontrata. Ci ha detto che a suo giudizio circa il 70% delle persone con cui ha parlato, adolescenti, adulti e anziani, ha manifestato un disagio così profondo per cui ha consigliato di intraprendere un percorso di terapia. E quando le abbiamo chiesto quale fascia d’età è messa peggio, la psicologa è stata netta: i 30-40enni. Perché? «Non sanno chi sono. Se chiedo di descriversi con cinque parole, fanno molta difficoltà perché hanno intrapreso una strada non per loro scelta, ma per soddisfare il volere di qualcun altro. Così si ritrovano a vivere una vita che non è la loro». Tutto questo si ritrova perfettamente nelle canzoni di Fedez e di Lucio Corsi. Il rapper ha spiegato che la donna a cui si rivolge è una personificazione della depressione contro cui combatte («Prenditi i sogni, pure i miei soldi, basta che resti lontana da me») e il Battito del titolo è quello accelerato del suo cuore che lo tormenta durante le notti insonni e che cerca di combattere con i farmaci («Spengo la luce e mi vieni a trovare. Fluoxetina, poca saliva»). In modo meno crudo e più poetico, ma altrettanto esplicito, Lucio Corsi esprime lo stesso disagio provocato dalle pressioni e dalle aspettative del mondo esterno che noi facciamo nostre: «Quanto è duro il mondo per quelli normali. Che hanno poco amore intorno o troppo sole negli occhiali. Volevo essere un duro, però non sono nessuno. Cintura bianca di judo, invece che una stella uno starnuto».

Bisogna aver coraggio e chiedere aiuto come ha raccontato nella serata finale Edoardo Bove, il 22 enne calciatore della Fiorentina che lo scorso dicembre è stato tra la vita e la morte a causa di un malore cardiaco che l’ha colpito mentre era in campo: «Vivo alti e bassi, perché il calcio è la mia forma di espressione, senza non mi sento lo stesso. Sono vuoto, incompleto. È come se mi mancasse qualcosa, è come se a un cantante togliessero la voce o una persona perdesse il grande amore. Ci vuole coraggio. E stasera voglio ringraziare tutti voi per l’affetto e dirvi che ho iniziato un percorso di analisi per vivere certe emozioni che ho provato, mi servirà per il futuro».

Ma uscire da questa logica della velocità, della performance a tutti i costi, del massimo risultato con il minimo sforzo, è davvero difficile. Noi, nel nostro piccolo, lo abbiamo sperimentato nel nostro lavoro a Sanremo. Fino a qualche anno fa si veniva per raccogliere una decina di interviste ai cantanti che poi venivano pubblicate nei giorni e nelle settimane successive come si fa ancora, per esempio, nei festival cinematografici. Interviste vere, dove si incontravano i cantanti prima delle prove, in camerino o anche mentre facevano jogging sul lungomare e dove loro avevano l’opportunità di mostrare davvero al pubblico le tante sfaccettature della loro personalità. Oggi invece i loro management decidono che spesso non vale più nemmeno la pena partecipare alle tradizionali conferenze stampa dentro l’Ariston. Molto meglio organizzare degli eventi “esclusivi” dove, tra una tartina e un bicchiere di prosecco, gli artisti raccontano barzellette, cantano canzoni di quando erano bambini e rispondono a domande acuminate di qualche influencer come “Pensi di aver scritto la tua canzone più bella?”. Il risultato è che, durante i giorni del Festival, molti cantanti, soprattutto quelli meno sgamati, appaiono come dei poveri deficienti che ripetono sempre le stesse due banalità. Ma questo, evidentemente, al sistema che ruota loro attorno non importa: ciò che conta è avere la massima copertura nelle radio e soprattutto sui social. Poi è inevitabile che qualcuno non ce la faccia più ed esploda. L'anno scorso uno dei cantanti più amati tra i giovani, Sangiovanni, alla fine del Festival ha annunciato di voler sospendere ogni attività per preservare la sua salute mentale e da allora non sappiamo più niente di lui. Così come non si sa più niente di Angelina Mango, la vincitrice dell'anno scorso che ha annunciato una pausa lo scorso autunno perché "devo prendermi cura di me".

Per fortuna, c’è anche chi tra i cantanti si ribella questa logica. Il sottovalutato Rkomi nella sua Il ritmo delle cose, canta: «Esco da un’altra festa, esco dall’algoritmo. Ritrovo la bellezza solo dietro l’imprevisto». Sono solo canzonette, come ha ribadito sull’Ariston il grande Edoardo Bennato, ma ci dicono tanto su chi siamo.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Eugenio Arcidiacono 16/02/2025)

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Vedi anche i post precedenti: