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sabato 9 aprile 2016

I sacerdoti e l’oppressione del popolo di fra Ricardo Pérez Márquez OSM

I sacerdoti e l’oppressione del popolo 
di fra Ricardo Pérez Márquez OSM


«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione.….» (Lc 10,30-33).






Queste parole del vangelo di Luca, estratte da uno dei racconti parabolici che più caratterizzano il suo scritto, gettano una luce inquietante sull’argomento da affrontare. Una luce cupa, non tanto sui personaggi addetti al culto del tempio di Gerusalemme, come nel caso del sacerdote e del levita di cui parla il testo suddetto, quanto sull’intera casta sacerdotale giudaica, la cui scrupolosa osservanza delle norme di purità legale giustificava atteggiamenti disumani.

Secondo il filo narrativo della parabola, se i briganti avevano lasciato mezzo morto il malcapitato, il sacerdote e il levita, non prestandogli aiuto, gli assestavano il colpo mortale. Con poche parole e in forma indiretta, Luca mostra cosa si nasconde dietro il fasto delle sacre liturgie al tempio: il totale disinteresse per la vita e il bene degli esseri umani.

Tale constatazione sulla realtà del sacerdozio d’Israele, insieme alla denuncia che Gesù farà del tempio di Gerusalemme quale «covo di ladri» (Lc 19,46), dove i sacerdoti sono paragonati a dei briganti che nascondono nel tempio di Dio la loro refurtiva, spiega perché tutto ciò che riguardi il culto giudaico sia praticamente ignorato dagli evangelisti. Il termine greco e i suoi derivati (liturgico, liturgista, fare liturgia), con i quali nella LXX si indica il servizio che i sacerdoti svolgevano nel tempio, non appaiono mai nei vangeli, eccetto in una sola occasione, in Lc 1,23, e in un contesto negativo: l’incredulità del sacerdote Zaccaria e la sua incapacità di poter parlare. Luca scopre l’inconsistenza di un culto dove i suoi ministri possono svolgere la loro funzione anche se increduli e muti, come Zaccaria che, malgrado l’accaduto, continuerà il suo “servizio liturgico” nel santuario, completando il suo turno e poi tornando a casa.

Nonostante l’importanza del sacerdozio per lo svolgimento del culto nel tempio di Gerusalemme, i sacerdoti sono appena ricordati nei vangeli. Solo Luca per cinque volte ne fa menzione (Lc 1,5; 5,14; 6,4; 10,31; 17,14), mentre Marco e Matteo ne fanno accenno nella guarigione del lebbroso (Mc 1,44; Mt 8,4) e nella polemica con i farisei sull’osservanza del sabato (Mc 2,26; Mt 12,4.5). Giovanni li ricorda una sola volta: nell’interrogatorio al Battista (Gv 1, 19).

Più citati sono invece i Sommi sacerdoti, presentati sempre in un contesto conflittuale con il Cristo. Questa visione negativa del sacerdozio giudaico, tramandata dagli evangelisti, trova dei riscontri anche negli scrittidell’epoca. Lo storico Giuseppe Flavio, descrivendo le tensioni esistenti all’interno della casta sacerdotale, afferma: «esisteva una mutua inimicizia e lotta di classe tra i sommi sacerdoti da una parte, e i sacerdoti di Gerusalemme dall’altra. E quando si scontravano si servivano di un linguaggio ingiurioso, e si colpivano l’un l’altro con sassi» (Ant. 20,180). «(i sommi sacerdoti) non esitavano a mandare i loro servi sulle aie del grano battuto e prelevare le decime dovute ai sacerdoti, col risultato che i sacerdoti più bisognosi morivano di fame» (Ant. 20,181).


1. L’IMMAGINE CONTRASTANTE DEL SACERDOZIO ISRAELITICO
.. I sacerdoti si presentano come funzionari del sacro, nulla era lasciato all’improvvisazione, ma tutto veniva stabilito secondo un minuzioso regolamento. I sacerdoti di Gerusalemme formavano una casta ristretta, gelosa dei propri privilegi e diritti, e difendevano il loro interesse in quanto a decime e all’assegnazione di porzioni di bestiame sacrificato, come le stesse fonte storiche dell’epoca testimoniano. In quanto unici ufficiali autorizzati a svolgere le cerimonie del culto pubblico, dalle quali dipendevano la coesione e la salvaguarda della società giudaica, i sacerdoti erano anche indispensabili all’organizzazione politica della nazione


2. IL CULTO SACERDOTALE
In Israele, fino alla distruzione del tempio (70 d.C.), il sacerdote dipendeva dal culto sacrificale, fonte principale del suo sostentamento. Essendo egli il responsabile del sacrificio quotidiano, nonché di quello festivo e anche dei sacrifici privati, al sacerdote corrispondeva una parte dei sacrifici offerti nel santuario; nessuno lo poteva privare del diritto di mangiare il cibo consacrato delle offerte. Per il loro incarico di addetti ai sacrifici, i sacerdoti apparivano più come macellai professionisti che come uomini virtuosi della preghiera.
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3. IL SACERDOZIO IN ISRAELE, ASPETTI STORICO-SOCIALI
All’epoca dei patriarchi, quando ancora non esistevano né tempio né sacerdoti specializzati, Abramo, Isacco e Giacobbe sono presentati nel loro impegno di costruire altari (Gen 12,7; 13,18; 26,25) e di offrire sacrifici (Gen 22; 31,54; 46,1), esercitando una forma di sacerdozio familiare. Il sacerdozio israelitico sorge quando si costituisce il popolo dell’alleanza nel deserto (Es 6,7; Lv 26,12). A partire da questo momento, il sacerdozio avrà carattere ereditario.

Solo con Mosé la tribù di Levi, dopo la prima apostasia del popolo nel deserto, è eletta e consacrata da Dio per il suo servizio (cf. Es 32,25-29). Sotto la monarchia davidica la casta sacerdotale diventa un’istituzione organizzata, in particolare a Gerusalemme, dal momento che Davide trasferisce lì l’arca dell’alleanza, e
rende la città il centro nevralgico del culto israelitico. Tuttavia il re continuerà a esercitare alcune funzioni sacerdotali quali l’offerta dei sacrifici (1 Sam 13,9) e la benedizione del popolo (2 Sam 1,18; 1 Re 8,14), rimanendo a capo della casta sacerdotale. Con la riforma di Giosia, avviata attorno al 622 a. C., l’ambito dei sacerdoti sarà esclusivamente legato al tempio di Gerusalemme, unico luogo del culto sacrificale e centro
della vita d’Israele in tutti i suoi aspetti, sia politici sia religioso- sociali. Tale concentrazione del culto a Gerusalemme fece della classe sacerdotale un’unità compatta. Se nel periodo preesilico il sacerdote era un funzionario cultuale accanto ad altri, dopo il rientro da Babilonia il suo ruolo diventa più importante e si sviluppa una crescente articolazione gerarchica, al cui vertice si colloca la figura del Sommo sacerdote.

Il sacerdozio in Israele esiste per facilitare l’esecuzione del rituale, la cui funzione sociale primaria è quella di assicurare la sopravvivenza e il benessere materiale del popolo. 

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4. LA CRITICA DEI PROFETI
I sacerdoti sono stati spesso bersaglio di sospetti e di oltraggi, specie da parte dei profeti, che li accusano di venalità (Mi 3,11), di ubriachezza (Is 28,7), di negligenza, di ignoranza (Sof 3,4), e perfino di omicidio (Os ,9). Essendo uomini legati alla tradizione del passato, difficilmente i sacerdoti potevano venir incontro alle nuove esigenze e necessità in cui si trovava il popolo, inoltre la loro scrupolosa osservanza rituale di frequente nascondeva la mancanza di fedeltà nella pratica della misericordia e della giustizia.

Saranno i profeti a lanciare una forte critica contro le loro deficienze, come ben ricorda Isaia, all’inizio del suo libro, quando attacca il culto in se stesso: «Perché mi offrite i vostri sacrifici senza numero?
– dice il Signore. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di pingui vitelli. Il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede a voi questo: che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili; l’incenso per me è un abominio… Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue…» (Is 1,11-15)

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5. CONCLUSIONE
Con la caduta di Gerusalemme e la distruzione del tempio nel 70 d.C., scompare il culto sacrificale e la casta sacerdotale perde il suo ruolo preponderante nella società giudaica. Il sacerdozio diventa una carica onorifica senza alcun tipo di controllo, di mediazione o di gestione della pratica religiosa, legata all’ambito strettamente laico della Sinagoga.

La fine di un’istituzione religiosa, come quella del sacerdozio, che ha caratterizzato la storia del popolo d’Israele fin dai suoi inizi, è paradossalmente accompagnata dalla realizzazione di quel disegno divino che permetteva la piena comunione tra Dio e l’umanità.

La portata delle parole di Es 19,6, in cui la dignità regale e sacerdotale fu promessa agli israeliti nel deserto, è ampiamente superata nella persona di Cristo, poiché esse non saranno più ristrette a un’etnia particolare ma estese a tutte le genti. Quanti si aprono all’amore incondizionato del Padre e sono capaci di trasmetterlo come il samaritano della parabola di Luca, costoro rendono l’unico culto a Lui gradito (cf. Gv 4, 23).

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