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giovedì 9 luglio 2015

Affetto ecclesiale vo cercando di Enzo Bianchi


Affetto ecclesiale vo cercando

di Enzo Bianchi






“Anaffettività” come incapacità di entrare nella sensibilità dell’altro e degli altri: questa secondo me è la più estesa e profonda patologia che oggi ammorba il corpo ecclesiale. È vero che questa anaffettività è un male presente in tutta la società, perché in essa da qualche decennio si è insinuata l’indifferenza che domina e pervade tutti gli spazi della vita sociale. Ma nella chiesa l’anaffettività è patita maggiormente, forse perché i cristiani nella loro dimenticanza non avvertono che il loro vissuto contraddice fortemente il comandamento nuovo, ultimo e definitivo, prima del quale e dopo il quale non ve ne sono altri: il comandamento dell’amore reciproco (cf. Gv 13,34; 15,12), amore che nelle prime comunità cristiane si esprimeva addirittura con un bacio sulla bocca al termine delle assemblee eucaristiche (cf. Rm 16,16; 1Cor 16,20, ecc.).

Anaffettività a tutti i livelli: non si riesce più a manifestare affetto ilare verso qualcuno, non si riesce più a partecipare ai sentimenti dei pastori della chiesa, e questi a loro volta non riescono a conoscere, a condividere le fatiche e le sofferenze dei fedeli comuni e anche degli uomini e delle donne non cristiani che incontrano. Mi diceva un anziano prete, uno dei pochi rimasti con la postura di Primo Mazzolari o di don Michele Do: “È più facile trovare un prete che ha una storia d’amore che un prete amico”. L’amicizia come vittoria sull’anaffettività è diventata ormai sconosciuta. Quando si accende un rapporto di collaborazione con gli uomini ecclesiastici, si può essere certi che sarà di breve durata; e anche se si sono impegnati fatica e lavoro, questi non vengono mai riconosciuti, il che sarebbe almeno occasione evangelica per dire: “Siamo servi inutili” (Lc 17,10). Questo rapporto è invece vissuto con frustrazione da parte di chi vi aveva investito affetto, sentimento umano che è sapore e sale di ciò che facciamo.

Così nella chiesa le relazioni appaiono occasionali, non diventano mai storia, si interrompono e si dimenticano presto, e la gratitudine, la sorpresa, il cuore che batte per la presenza dell’altro sono quasi impossibili da rinvenire. Perché? Me lo chiedo più volte. È una mancanza di qualità umana, di “stoffa” umana? È dovuto al fatto che per tanti anni si sono fatti vescovi obbedienti all’autorità ma diafani, a volte “senza carne” e comunque mediocri per intelligenza e conoscenza? È dovuto al fatto che la vita ecclesiale si è talmente burocratizzata che non c’è più tempo per l’amicizia trasparente e pura, per gli incontri gratuiti ma carichi di gioia?
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E non lo si dimentichi: dove non c’è affettività, nasce e cresce il risentimento.