Una x su “X”?
Domandarsi se uscire o no da X testimonia una mentalità di approccio al web che misconosce i dati di realtà già esistenti
L’uomo più potente del mondo assieme all’uomo più ricco del mondo. Sul fatto che Trump sia il più potente avrei qualche riserva. Sulla ricchezza di Musk, invece, non ho dubbi. Ma quello che in questi giorni si sta vedendo mi ha lasciato molto perplesso. Chi per ripicca, chi per senso etico, chi per rivolta sociale, chi per questioni economiche; ognuno ha i suoi buoni motivi per lasciare la piattaforma X (ex Twitter). Anche dentro a Vinonuovo ne stiamo discutendo: se uscire, ed eventualmente in che modo.
Ma su cosa si appoggia il semplice fatto di porsi questa possibile domanda? Al di là e prima delle varie posizioni di risposta, mi sembra che si possa intravvedere, dietro alla domanda se andarsene o no, un assunto comune a tutte le posizioni possibili: i principi della realtà reale devono entrare nel web per fare in modo che esso sia un luogo più umano, così come accade nella realtà. In altre parole tendiamo a pensare che il web debba essere “interpretato” con gli stessi principi etici e giuridici della realtà reale.
A me sembra che questa idea di fondo non sia più reale e perciò efficace. Ci stiamo sempre più convincendo che il web è ben di più che una forma comunicativa, bensì una nuova dimensione umana, aggiunta a quelle che per ora abbiamo definito dimensioni reali dell’essere umano. Come tale la si “abita”, non la si “usa”. Ma il suo modo specifico di darsi è radicalmente diverso dalle altre dimensioni: manca il corpo con tutto ciò che esso significa. Ma proprio questa mancanza fa sì che le forme, i modi, le regole, i giudizi che sul web si realizzano non restano confinati lì come sarebbe se avessero a che fare con i limiti corporei, ma trasudano poi nelle altre dimensioni umane perché svincolati dal limite fisico. Perciò, quello che sta accadendo è che il web entra nelle dimensioni della realtà e ne modifica la geografia.
Finora abbiamo posto troppo poca attenzione a questo movimento. Riconoscerlo significa interrogarci sugli effetti reali che ne derivano. L’insegnante di sostegno picchiata a Salerno da un gruppo di genitori è l’ennesimo esempio di ciò. Ci sorprende e ci spiazza, perché la radice di questo atto non è nella realtà fisica, ma in quella virtuale. Lo stesso vale per gli innumerevoli atti di violenza e sopruso, nati sul web che si sono manifestati nella realtà reale. Già qualche anno fa il film “Disconnect” aveva ben mostrato cosa significa che non è la realtà che può entrare nel web e “sanarlo”, ma al contrario è il web che entra nella realtà e la destabilizza.
Questa presa di consapevolezza ha anche risvolti giuridici. Se davvero avesse ancora senso immaginare che il web deve essere “letto” come le forme di realtà fisica, dovremmo pretendere che i principi essenziali che garantiscono una convivenza umana nella realtà, siano obbligatori anche nel web. A cominciare da ciò che permette di applicare il principio di responsabilità individuale, uno dei fondamenti di uno stato di diritto: ad esempio rendere obbligatorio sul web un modo per tracciare, fino alla persona fisica, tutte e ciascuna le identità virtuali; oppure investire persone e soldi per presidiare stabilmente il territorio virtuale da parte delle forze dell’ordine; o anche rendere obbligatoria la dichiarazione delle fonti e la loro verificabilità di ogni informazione postata.
Oggi questo è utopistico, perché è la realtà reale a renderlo impossibile. Non esiste (e forse sarebbe un male) un’autorità mondiale in grado di obbligare gli stati, e la diversità delle loro legislazioni impedisce di poter vincolare il web a regole su cui alcuni non sono d’accordo. A parte il fatto che molti stati (e molte lobby che li dominano) non accetterebbero, perché ne andrebbe di mezzo la loro stessa possibilità di muoversi “nascostamente” sul web.
Perciò, se il web ha le sue regole etiche, (e le ha, con valori propri) radicalmente diverse da quelle della realtà, voler pretendere che esso si pieghi alla realtà corporea e alle sue regole è pura illusione e tempo perso. Quindi? Lasciamo che il web se ne vada per la sua tangente già chiaramente post umana, sperando che ciò non intacchi i valori di fondo che hanno presieduto agli ultimi tre secoli dello sviluppo umano, almeno in occidente? Pura illusione: questi valori sono già stati ampiamente corrosi.
C’è, allora, chi si appella a qualcosa come la “responsabilità sistemica”, e non individuale, a presidiare il web sul piano etico. Il che vorrebbe dire l’obbligatorietà per tutti gli attori del web di dotarsi di strumenti di auto analisi dei propri sistemi, che in automatico finiscano per oscurare e bloccare ciò che si manifesta, nelle interazioni web, come atto non rispettoso (oggi qualche strumento esiste). Ma poi: a chi lasciamo in mano questa possibilità? Solo al provider, agli stati o all’utente finale? Ma in ogni caso, la sanzione sarebbe economica? Molto difficile da realizzare. Meglio se la sanzione fosse l’esclusione, temporanea o permanente dal web stesso.
Poca cosa, certo, e soprattutto difficile da realizzare perché i singoli stati non sono per nulla d’accordo su questo. Di sicuro fino a che il web ha carta bianca, e riconosce solo le proprie regole del mercato, i suoi effetti dirompenti saranno sempre più reali e sempre meno saremo in grado di difenderci da essi.
Perciò domandarsi se uscire o no da X testimonia una mentalità di approccio al web che misconosce i dati di realtà già esistenti. Ipotizzare che se X perde una quota dei suoi utenti ciò spinga Musk a rivedere le sue posizioni sul web è pura utopia. Ma chi lo fa potrà sempre dire: “not in my name”. Piccola consolazione, che resta dentro all’idea del “si salvi chi può”. D’altra parte pensare di azzerare il suo mercato è impresa impossibile. Sappiamo bene come i boicottaggi servano a ben poco. Forse sarebbe più interessante vedere che accadrebbe se gli hacker che non condividono le posizioni di Musk, restassero dentro ad X col l’intenzione precisa di farne saltare dall’interno il funzionamento. Ma ho la certezza che questo non accadrà mai: anche gli hacker sono persone e credo che difficilmente si muoverebbero per un ideale etico, senza vantaggi di ritorno. E su questo Musk può “comprare” chiunque.
Personalmente confido nel tempo: come tutte le cose umane, se hanno un inizio hanno anche una fine. E nella possibilità di “sfaldamento” del sodalizio Trump – Musk: due galli in un pollaio fanno fatica a non beccarsi. Preferisco, perciò, continuare a lavorare nella vita reale, con le persone in carne ed ossa, affinché aumentino la percezione del proprio malessere e scelgano, piano piano, di lasciarsi condizionare sempre meno e rispettare sempre più se stessi. Per imparare a stare nel web senza perdere l’umanità.
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Gilberto Borghi 19/11/2024)