Nell'identikit tracciato dal Papa sul modello dei Magi s'insiste sul pastore che deve essere «preso» dalle vicende degli uomini
Il rapporto di un vescovo con la sua gente è questione antica (si pensi alle pagine di Antonio Rosmini nelle "Cinque piaghe") ma anche sempre attuale: in un gruppo giovanile, ad esempio, capita di dover discutere e "raccontare" il ministero episcopale, superando la diffidenza per mitria, pastorale e dorati paramenti indossati ex cathedra, per cogliere le qualità evangeliche, il vero "x factor" di un pastore della Chiesa.
Domenica scorsa, all'omelia dell'Epifania, il Papa ha offerto nel suo identikit vescovile un tratto che potrebbe far breccia anche in una sensibilità moderna: quando ha detto - ma l'espressione non è stata evidenziata nei titoli dedicati piuttosto alla "promozione" del segretario Georg - che il vescovo "deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora egli si interessa veramente anche degli uomini. Potremmo dirlo anche inversamente: un vescovo dev'essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini".
"Dev'essere un uomo per gli altri - proseguiva il Papa - . Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l'inquietudine verso Dio è diventata un'inquietudine per la sua creatura, l'uomo...
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