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lunedì 26 marzo 2018

“Mai più” lo slogan per dire basta alle armi da fuoco nella ‘Marcia delle nostre vite’

“Mai più” lo slogan  per dire basta alle armi da fuoco nella ‘Marcia delle nostre vite’


March Four Our Lives. Marcia per le nostre vite. È lo slogan che sabato 24 marzo ha portato nelle strade degli Stati Uniti e in varie città del mondo centinaia di migliaia di giovani. Una marea umana di circa mezzo milione di studenti e cittadini ha manifestato per chiedere di proteggere la loro vita dalle armi da fuoco, la cui vendita negli Stati Uniti è ancora troppo facile. Il movimento di protesta è nato dopo la strage del 14 febbraio, quando 17 persone, in maggioranza studenti, sono state uccise da un killer in un liceo di Parkland, in Florida.

Da allora, la generazione del “mai più”, NeverAgain, è stata bravissima nel non permettere che la capricciosa attenzione dei media e dell’opinione pubblica si spegnesse sull’epidemia di morti per armi da fuoco negli Stati Uniti. 

Prima hanno scioperato, abbandonando le loro aule per 17 minuti un mese dopo la morte di 17 loro compagni in Florida. Poi hanno incontrato parlamentari statali e federali. Quindi, in poco più di una settimana, hanno raccolto tre milioni e mezzo di dollari per una campagna contro le armi d’assalto. E sabato scorso hanno riunito 800mila persone, secondo gli organizzatori, ai piedi del Campidoglio, a Washington, che hanno circondato di slogan, musica e discorsi per mettere in guardia deputati e senatori al suo interno. E altre marce si sono tenute in centinaia di altre città americane.

La manifestazione di Washington è stata la più imponente fra quelle organizzate. Gli studenti hanno issato cartelli con scritte come: “Proteggete i bambini, non le armi” e “Sarò io il prossimo?”. 

Ma in piazza negli Stati Uniti non c’erano solo adolescenti. C’erano genitori con passeggini, preoccupati del clima che I loro figli troveranno alle elementari. “Non è possibile che un bambino di 6 anni debba fare due esercitazioni all’anno per imparare a nascondersi, a non piangere e a non fiatare in caso di sparatoria a scuola”, spiega il padre di due bambine.

C’erano nonni che temono per la vita dei loro nipoti. C’erano insegnanti che si rifiutano di dover portare una pistola in classe, come ha suggerito Donald Trump per aumentare la sicurezza nelle scuole. E c’erano gruppi di sopravvissuti di altre sparatorie.

In mezzo alla folla e ai cartelli variopinti di Pennsylvania Avenue c’erano anche celebrità che si sono schierate, con il peso della loro fama e del loro denaro, a fianco dei ragazzi di NeverAgain, come George Clooney e la moglie Amal, che si sono detti “di nuovo orgogliosi del loro Paese”, come L’attrice Emma Watson, il cantante ex Beatles Paul McCartney e, virtualmente, Barack Obama. “Niente può ostacolare milioni di voci che chiedono il cambiamento", ha commentato su Twitter l’ex presidente Usa, che per otto anni ha tentato, invano, di fare approvare dal Congresso una serie di misure per contenere la diffusione delel armi da fuoco nel suo Paese. 


Dal canto suo l’attuale inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, ha fatto sapere tramite un portavoce di considerare coraggiosi i ragazzi scesi in piazza, assicurando che “tenere al sicuro i nostri bambini è la nostra massima priorità”, tuttavia ha passato la giornata giocando a golf in Florida e non ha mandato neanche un tweet di simpatia ai giovani scesi in piazza, ma ha detto di aver sollecitato il Congresso ad approvare un provvedimento per fermare la violenza nelle scuole, che prevede un maggiore addestramento delle guardie armate, la fornitura di pistole agli insegnanti e l’aggiunta di metal detectors all’ingresso degli istituti secondari. 

Misure che non basteranno certo per i ragazzi di NeverAgain, che sono convinti di aver finalmente avviato un cambiamento che era sfuggito alle generazioni che li hanno preceduti. O, come ha risposto ieri una ragazza a un automobilista che "clacsonava", impaziente di vedersi la strada sbarrata dai manifestanti: “Rilassati, siamo impegnati a cambiare il mondo”.

Non ci sono barriere tra palco e platea a Washington: la “Marcia per le nostre vite” ha solo dei portavoce elevati di qualche metro, ma sono queste migliaia di ragazzi, famiglie, anziani assiepati per ore sul viale che porta al Congresso che hanno storie da raccontare e scelte da far valere. 

Sono due donne, due ragazze, il volto simbolo della protesta studentesca affinché gli Usa rendano più stringenti le regole sull’acquisto di pistole e fucili. Nella marea che ha invaso Washington, le loro sono state le voci più potenti che si sono levate dal palco.

La nipote di Martin Luther King, Yolanda Renee, 9 anni, è salita sul palco e ha iniziato il proprio discorso con “I Have a Dream“, come fece suo nonno nel 1963. “Mio nonno aveva un sogno, che i suoi quattro figli non fossero giudicati per il colore della loro pelle ma per il loro carattere. Anch’io ho un sogno, che questo mondo sia un mondo senza armi“. Rapito dalle parole di Yolanda il fiume di gente riversatosi lungo Pennsylvania Avenue, è esploso in applausi e urla. Una energia che la piccola di nove anni ha saputo subito cogliere guidando i ragazzi in un coro all’unisono: “Lo avete sentito in tutta la nazione, noi saremo una grande generazione “.


Emma Gonzalez, una delle studenti di Parkland, in Florida, la scuola dove lo scorso 14 febbraio un suo ex compagno fece fuoco con un fucile semiautomatico, ha voluto onorare così i suoi 17 amici “portati via dalla violenza”. Ci sono voluti solo “6 minuti e 20 secondi perché Carmen non mi prendesse più in giro per le lezioni di piano, o Oliver non giocasse più a baseball, o Alex non camminasse più assieme al fratello per andare a scuola, o Gina, o Scott…”. 
Li ha nominati tutti e poi un lunghissimo momento senza parole
Infatti, dopo il breve discorso che ha commosso i presenti, Emma, uno dei volti e dei leader carismatici del movimento, è rimasta sul palco in silenzio "trascinando" tutta la piazza in uno dei momenti più toccanti di una giornata storica per gli Usa.



Sì, li ha nominati tutti e poi quel lunghissimo momento senza parole, dove solo un coro “Never again” si è levato con insistenza fino a ripiombare nel silenzio e nelle lacrime, mentre i ricordi di chi vittima, sopravvissuto o spettatore della Marcia fluivano senza sosta. Le stesse persone che si sono fermate immobili e le stesse che hanno gridato poco dopo il nome di Ricardo, il fratello di Edna Chavez ucciso in un sobborgo di Los Angeles prima che lei imparasse a leggere. E sempre la stessa folla ha intonato “Tanti auguri” per una delle vittime che in questo giorno avrebbe compiuto 18 anni e che mai più celebrerà con parenti ed amici.

Tra la folla ci sono anche decine di veterani, alcuni in sedia a rotelle, altri con gambe artificiali che reggono con orgoglio uno striscione che li unisce nella protesta. “Noi siamo stati addestrati ad usare le armi da guerra e non è possibile che nel nostro Paese vi accedano persone senza preparazione e senza sufficiente equilibrio – dice David, che indossa un gonnellino irlandese a sottolineare sulla divisa da marine le sue origini -. Noi non protestiamo contro il secondo emendamento o la National Rifle Association, ma chiediamo regole e chiediamo una sicurezza che non è dettata dall’armare tutti e dal creare una percezione di pericolo inesistente per far proliferare gli affari”.

Frate John è un francescano di Silver Spring. Dalla sua comunità sono venuti in 14, ma uno di loro, parroco in una chiesa locale ha organizzato ben 4 pullman. “Questo tema tocca la vita di tutti noi, dei piccoli e dei grandi. Nessuno può restare indifferente perché la pace vera parte anche da scelte decisive in questo campo”. Una rappresentanza di 300 studenti delle scuole cattoliche prevenienti da Ohio, Pennsylvania, Chicago, Bethesda si sono radunati nella chiesa di San Patrick per la messa e un momento di dialogo comune a cui si sono aggiunti anche studenti universitari. Pax Christi Usa ha invitato a partecipare alla marcia anche nel nome del beato Oscar Romero, che proprio il 24 marzo del 1980 era stato assassinato.