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sabato 8 ottobre 2016

Amando si impara ad amare - Le opere di misericordia di Egidio Palumbo

Amando si impara ad amare 
Le opere di misericordia 

di Egidio Palumbo


Fr. Egidio Palumbo, carmelitano

Da HOREB, 
tracce di spiritualità a cura dei Carmelitani, 
anno XXV - 2016 - n. 2 
"La misericordia, volto di Dio, volto dell’uomo"







Nell’indire l’Anno Santo della Misericordia Papa Francesco ha sollecitato ad aprire il cuore e a concentrare l’attenzione sul dramma delle periferie esistenziali che la nostra società crea spesso in modo cinico e perverso. Dentro questo contesto il Papa ci esorta a meditare sulle opere di misericordia corporale e spirituale – cadute da tempo nell’oblio della coscienza credente – e a metterle in pratica come discepoli del Signore: 


«È mio vivo desiderio – scrive il Papa nella Misericordiae vultus al n. 15 – che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. […] In ognuno di questi “più piccoli” è presente Cristo stesso. La sua carne diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura. Non dimentichiamo le parole di san Giovanni della Croce: “Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore ” (Parole di luce e di amore, 57)». 


In questa mia riflessione non intendo commentare le singole opere di misericordia corporale e spirituale – altri l’hanno già fatto con competenza e sapienza1, ma concentrare l’attenzione sullo stile umano e di fede, sulla postura esistenziale più corretta che è opportuno assumere quando persone e comunità decidono di offrire l’operosità delle loro mani, della loro mente e del loro cuore per dedicarsi alla cura delle ferite impresse negli impoveriti, negli scartati, nei deboli e negli smarriti della nostra società.
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Diventare fratelli, per grazia
Accostandoci più da vicino alle opere di misericordia, rileviamo che vi è una pagina evangelica che fortemente le ha ispirate: il giudizio universale di Mt 25,31-46. Qui nei vv. 35-36 vengono indicate sei opere di misericordia: «ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi», dove si sente l’eco di altre pagine bibliche dell’Antico e del Nuovo Testamento che enucleano atti similari di realizzazione della misericordia5. Ebbene, se Mt 25,31-46 è stato testo ispirante, di esso non devono sfuggirci alcune particolarità che mirano a plasmare il nostro stile, il nostro modo di essere nel fare misericordia.
Innanzitutto, davanti al Figlio dell’Uomo Crocifisso Risorto, vengo- no convocati tutti i popoli (v. 32), vale a dire tutta l’umanità e non solo i credenti in lui. I cristiani appartengono a tutta l’ecumene, a tutta la fami- glia umana; non sono una élite di privilegiati a cui il Signore riserva un giudizio a parte. Nel Giorno del Giudizio, quando saremo davanti a Lui, noi cristiani verremo giudicati nello stesso modo e assieme a tutte le altre persone umane di questo mondo.

E il giudizio – che a dire il vero inizia già da quaggiù e dal nostro oggi

– riguarda l’amore fattivo verso i piccoli della terra (v. 40.45). La misericordia, infatti, stando al linguaggio biblico, la si fa o non la si fa: non c’è alternativa. Se la sofferenza altrui risuona in me e nelle mie “viscere” umane in maniera acuta come tenerezza e compassione, essa allora mi spinge all’azione; se invece rimane un semplice sentimento emotivo, essa mi lascia nell’indifferenza e nell’apatia. Per questo al v. 40 il Signore dice:

«tutto quello che avete fatto…», e al v. 45 «tutto quello che non avete fatto…»; come al termine della parabola del Buon Samaritano dice al dot- tore della Legge (al teologo di turno): «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,37).
Nel Giudizio di Mt 25, la differenza tra i giusti e quelli che il Signore dichiara maledetti sta tutta qui: i primi hanno fatto misericordia, i secondi non l’hanno fatta. E si badi bene, i primi non hanno fatto misericordia per- ché nei piccoli già da subito hanno riconosciuto la presenza del Signore. No, i giusti il Signore non l’hanno riconosciuto, come neppure i maledetti (vv. 37.44): su questo punto non c’è differenza tra gli uni e gli altri. La differenza sta nel fatto che i giusti hanno visto una persona umana ferita nella sua dignità, hanno sentito nei suoi confronti una profonda compassione e hanno agito di conseguenza. I giusti sono veramente tali perché non hanno agito per meritare dal Signore una ricompensa, ma semplicemente per autentica solidarietà umana verso coloro che si trovano nel bisogno. E dopo, soltanto dopo, cominceranno a comprendere che i più piccoli sono l’ottavo “sacramento” della presenza storica del Signore. E se c’è per i giusti una ricompensa, sarà quella di partecipare alla beatitudine del Regno, ovvero alla presenza paterna e materna di Dio che per grazia, per suo amore gratuito, e non per meriti acquisiti o lucrati, ci fa diventare fratelli dei più piccoli della terra, come lo è stato e lo è tutt’ora Cristo Gesù, il Signore Risorto e Vivente in mezzo a noi.
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Amando si impara ad amare - Le opere di misericordia  (PDF)



Leggi anche il post già pubblicato:
LA MISERICORDIA, VOLTO DI DIO, VOLTO DELL’UOMO - HOREB n.2/2016 (n. 74)



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